Giovanni Sartori, Corriere della Sera 20/10/2012, 20 ottobre 2012
TANTO SEMPLICE CHE NON SI FARÀ
La vicenda dei nostri sistemi elettorali spiega, o comunque concorre a spiegare, il fallimentare andazzo della politica italiana. Nel mio ultimo pezzo (Il Porcellum e i Porcellini di domenica scorsa) concludevo dicendo che un modo non corruttibile di consentire all’elettore di esprimere le sue preferenze sui candidati esiste. Ma non lo indicavo. È che il mio spazio era finito, e anche che volevo mettere assieme e ricordare quante leggi elettorali sbagliate, e quindi dannose, abbiamo accumulato negli ultimi decenni. Ricordare gli sbagli serve ad evitarli? In Italia no. Non mi illudo, ma provo lo stesso.
Nel dopoguerra, e dopo l’esperienza del fascismo, era normale adottare un normale sistema proporzionale. Che funzionò senza proliferare partitini perché la paura del Pci portava a concentrare il grosso dei voti sulla Dc. Così fu il Partito comunista che, senza volere, fece funzionare un «bipartitismo imperfetto» che, per quanto imperfetto, ricostruì il Paese e produsse il miracolo economico del nostro dopoguerra. La Francia, con un Pcf molto meno forte, restò invece impantanata in una «repubblica dei deputati» che era poi un parlamentarismo anarchico.
Però anche noi, tra gli anni 50 e 60, abbiamo avuto un Gianburrasca, per l’esattezza Marco Giacinto Pannella, che si impadronì dal 1967 in poi, e oramai si direbbe a vita, del Partito radicale e che affascinò, tra i tanti, anche Mariotto Segni. Pannella riuscì a persuadere Segni (e molti altri, si intende) che l’Italia doveva adottare un sistema maggioritario secco (puro e semplice) che avrebbe immancabilmente prodotto un sistema bipartitico all’inglese. Mai tesi fu più campata in aria. Ho scritto e riscritto senza sosta, nei decenni, che Pannella e i suoi si sbagliavano di grosso. E per decenni ho sostenuto che mentre il maggioritario a un turno avrebbe frantumato il nostro sistema partitico, era invece il maggioritario a due turni che ci avrebbe avvicinati al bipartitismo.
Ma come resistere alla prepotenza e ai digiuni di Pannella? Vinse anche la viltà della Dc che, sfaldandosi, preferì il meno pericoloso (ritenne) Mattarellum, un sistema misto, maggioritario secco per tre quarti e proporzionale per un quarto. Con il Mattarellum cominciò così la nostra scivolata elettorale verso il peggio e la ingovernabilità. L’alibi invocato dai difensori del Mattarellum è di addebitare la moltiplicazione dei partiti al quarto proporzionale di quella legge. Ridicolo. Quella moltiplicazione fu dovuta alle «desistenze»: i partitini che non potevano vincere nella contesa uninominale ricattavano i partiti maggiori chiedendo in cambio dei loro voti una serie di collegi sicuri per sé.
Grazie al Mattarellum siamo così arrivati alla frantumazione partitica che si è conclusa nella grande ammucchiata del secondo governo Prodi. E il rimedio fu ancora peggiore del male che si doveva curare, fu l’ancor vigente legge Calderoli, il Porcellum.
Nel frattempo erano tornate alla ribalta le preferenze che poco più di 20 anni prima avevamo ripudiato a furor di popolo. Fortuna vuole che ora si scopra che i voti di preferenza si comprano anche a Milano. Aggiungi che le preferenze ricreano i partiti di corrente, o di fazioni, addetti appunto a catturare le preferenze che poi, in realtà, il popolo non sa dare o a chi dare.
Eppure un sistema che consente e anzi produce una genuina espressione delle preferenze degli elettori esiste: è il maggioritario a doppio turno. L’ho proposto più volte. Ma no; i nostri legislatori non lo vogliono. Né vogliono capire che il doppio turno è anche un indicatore di preferenze. Lo debbo rispiegare? Per amor di patria (si dice ancora?) forse sì.
Comincio dal ricordare che il sistema maggioritario a doppio turno (che funziona bene da sempre nella V Repubblica francese) è, al primo turno, come un sistema proporzionale: ogni elettore esprime liberamente la sua prima preferenza e, così facendo, immette la sua scelta nel meccanismo elettorale. Meccanismo che conta i voti, che scarta le preferenze dei meno, e che ovviamente non è comprabile.
Supponiamo, per esempio, che la mia prima preferenza sia Marco Giacinto Pannella. So benissimo che il mio sarà un voto perduto. Ma lo voto lo stesso e nessuno potrà dire che non mi è stata data la libertà di preferire e di scegliere. Al secondo turno, la seconda volta, mi toccherà invece scegliere un candidato di mia seconda preferenza, o anche il meno sgradito. Ma anche questa è una scelta mia, non del partito o della mafia. In nessun caso sono mai un sovrano spodestato. Dunque, se le preferenze si vogliono le possiamo avere così. Ma il maggioritario a doppio turno (proposto, ma a sprazzi e senza troppa convinzione, soltanto dal Pd) non piace a nessun altro. Forse per ignoranza, non infrequente nei nostri legislatori; ma soprattutto, sospetto, perché manderebbe troppa gente a casa.
Siccome non sono cattivo come ho la fama di essere, anni fa proposi un addolcimento. In primo luogo il passaggio al secondo turno sarebbe consentito ai primi quattro. Dopodiché, al secondo turno i due partiti minori (dei quattro) hanno la scelta di ritirarsi e così di fruire di un «premio di tribuna», mettiamo, del 20 per cento dei seggi; oppure di combattere le elezioni, perderle, ma così facendo perdendo anche il proprio premio di tribuna.
Questa, oso dire, è una proposta «pulita», tanto più che oggi come oggi è difficile prevedere chi se ne avvantaggerebbe; siamo troppo nel caos (con Grillo, Renzi, i non votanti e una valanga di incerti) per indovinare. Per una volta sarebbe facile fare il bene del Paese. Invece appena presentata in Aula la proposta della commissione Affari Costituzionali del Senato, viene ricevuta da 222 emendamenti. Troppa grazia Sant’Antonio.
Giovanni Sartori