Chiara Beria Di Argentine, La Stampa 20/10/2012, 20 ottobre 2012
FONTANA, IL BABY SCRITTORE CHE ASSOMIGLIA A SCIASCIA
Ai tempi di Tangentopoli Giorgio Fontana era alle medie e, più di tutto, amava giocare a pallone («Sono un interista radicale») su un campetto di Caronno Pertusella, cittadina della cintura industriale lombarda. «Mio nonno era immigrato dal Friuli, mio padre diventò magistrato; a quei tempi era ancora possibile fare un salto sociale. A Caronno ricordo gli ultimi contadini e gli operai al lavoro in grandi fabbriche; la mafia sembrava una cosa lontana. Ora è come il Midwest: stradoni deserti, rotonde, enormi centri commerciali».
Milano, 2012. A 31 anni, Giorgio, laurea in Filosofia, dopo aver lavorato in un call center e in un negozio in Irlanda si mantiene dirigendo «Web Target», piccola rivista digitale. Al suo quinto romanzo intitolato «Per legge superiore», edito da Sellerio, sul dilemma morale che una giovane precaria suscita in Roberto Doni, integerrimo sostituto procuratore generale, Fontana ha infine trovato la sua storia.
Ambientato in una Milano profondamente spezzata tra palazzi simbolo del potere, come quello di Giustizia, solo all’apparenza granitici e via Padova, la zona multietnica densa di problemi ma anche la più vitale della metropoli, il romanzo finalista al premio Stresa ha vinto in agosto il premio Racalmare-Leonardo Sciascia. Denuncia civile, riflessione etica. «Non oso lontanamente paragonarmi a Sciascia!», si schermisce Giorgio. Eppure, recensendo il suo libro su «Internazionale» Goffredo Fofi ha parlato proprio di modello Sciascia: «Fontana ha scritto un romanzo inaspettatamente maturo, denso, chiaro, importante, seguendo un modello che tanti hanno cercato malamente di copiare ma con risultati scadenti, spesso opportunistici e furbetti».
E ancora. «Il personaggio di Doni è uno dei più belli della nostra letteratura recente, con la sua storia comune, i suoi dubbi e incertezze morali, e infine il suo rifiuto di accettare il mondo com’è, l’Italia com’è». Ed allora come vive questo giovane scrittore la nuova ondata di scandali? «Non c’è più nulla da dire», è il suo primo, amaro commento. All’appuntamento Giorgio arriva in bicicletta («Milano è piccola, non mi serve l’auto»). Racconta della sua passione per «l’intransigenza lucida» di pensatori come Piero Gobetti e della sua vita: «Mi piace lavorare duro. Ho quasi un sogno monastico: stare in una celletta in mezzo ai miei libri con il mio computer. Per poi uscire e godere al meglio le piccole cose che mi danno felicità: vedere la partita al bar, una birra con gli amici, qualche viaggio». Dichiaratamente di sinistra - «Sono un grande ammiratore del sindaco Pisapia. Fa bene saperlo lì» Giorgio ha una lettura affatto scontata sugli umori dei suoi coetanei in questo ennesimo autunno di crisi. «Altro che rassegnazione, c’è rabbia. Un giorno licenziano un tuo amico, un altro amico teme di perdere quel poco di stabilità che a stento si è assicurato. Paura, fatica, frustrazioni. Di questo si parla, non certo di che fine farà Formigoni! Nati negli Anni Ottanta siamo cresciuti con grandi sogni ma, dopo la laurea, abbiamo scoperto che «Tutto era finito». Precarietà è la prima parola che senti quando inizi a lavorare; ti contamina tutta la vita, ti strozza.
Il punto è: dove sfocerà questa rabbia? Finora la mia generazione sembra vaccinata alla violenza. Ma durerà? Trovo orribile che una classe dirigente che ha vissuto quegli anni drammatici non si renda conto del pericolo». Nel suo libro è la giovane Elena a spingere il magistrato ad assolvere un immigrato che tutti vogliono colpevole; una scelta che metterà in crisi non solo la sua carriera. «Apri gli occhi, esci, guarda le stelle», riflette Giorgio. «Non serve distruggere tutto; trasformare la rabbia in futuro è la sola utopia possibile». Per intanto, non sa proprio chi votare alle primarie. «Bersani? Mi sembra paleolitico. Vendola? Boh, forse. Su alcune cose Renzi ha ragione ma, a parte i toni violenti, la sua enfasi sulla questione generazionale non mi convince. Dico troppi no? Il fatto è che nessuno ci parla del dopodomani e noi sappiamo solo ciò che non siamo e ciò che non vogliamo».