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 2012  ottobre 20 Sabato calendario

COPPI, BARTALI E IL LEONE CON MAGNI SCOMPARE L’ETÀ D’ORO DEL CICLISMO

Ultima corsa di Fiorenzo Magni il Lombardia del ‘56. Sarà stata la smorfia di sofferenza che gli deformava il viso mentre strattonava la bici sui tornanti verso San Luca, al Giro, una clavicola rotta, il freno azionato da un tirante improvvisato, e poi per difendere un secondo posto, ma in quella stagione l’Italia aveva amato Magni un po’ di più. Coppi, in quel Lombardia, cerca il canto del cigno. Fuga da lontano, col giovane Ronchini. Sorpassando il gruppo, la Dama Bianca fa un gestaccio a Magni, che se ne stava tranquillo in gruppo. E scoppia un inferno. Magni le urla insulti, poi si mette a tirare come un pazzo, e gli altri campioni pure. Coppi raggiunto a 12 km dal Vigorelli, ma ci riprova in volata. Va in testa, Magni lo sorpassa, Coppi a sua volta lo sorpassa e tutti e due sono bruciati sul traguardo da Darrigade. Quarto Van Looy. Quel pomeriggio, per la prima volta in vita sua, Coppi pianse. E sì che aveva aiutato Magni a vincere il Giro del ’55, tutt’e due attaccarono Nencini che aveva bucato in una discesa sterrata verso San Pellegrino, e Magni alla fine aveva vinto con 11” su Cecchi. Resta il più anziano ad aver vinto il Giro.
Era chiamato Terzo uomo e Leone delle Fiandre. Terzo dopo Coppi e Bartali, oppure insieme a Coppi e Bartali e contro Coppi e Bartali. Non ci fossero stati quei due, Fiorenzo? «Meglio che ci siano stati. Mi hanno insegnato a perdere, ma anche a studiare come vincere». Appena vedeva una crepa, Magni s’infilava, ma sarebbe riduttivo dipingerlo come un profittatore. È stato un campione, inferiore a Bartali e Coppi in salita, ma imbattibile in discesa, leggendario.
Dovevano arrivare Francesco Moser, Freuler e Savoldelli perché si vedesse qualcuno come Magni, e si tenga conto che le discese quasi sempre erano sterrate. Solo un campione poteva vincere per tre anni di fila il Fiandre, la prima volta correndo da isolato, l’ultima sotto la grandine. «Si andava in terza classe, per risparmiare».
Da giovane, alto e sottile, era chiamato Cipressino. Girardengo lo vide da dilettante e disse: «Se questo qui non diventa un campione, sono rimbambito». Non lo era. Magni fu campione nei tempi di Bartali e Coppi, ma anche di Bobet, Robic, Koblet, Kubler, Van Steenbergen, Van Looy, De Bruyne, Gaul. Non era per caso che Magni vinse tre Giri, tre Fiandre, tre campionati italiani, tre Piemonte, tre Baracchi a cronometro. Né 18 tappe complessive tra Giro, Tour e Vuelta. E in pista nel ’42 stabilì il primato mondiale di velocità sui 50 e sui 100 chilometri.
Nel ’42 era già capofamiglia, il padre era morto in un incidente stradale nel ’37. Fiorenzo lavorava e correva. Una volontà di ferro, questo aveva. Come per le carriere di Coppi e Bartali, anche su quella di Magni pesò la guerra, più che per gli altri perché dopo l’8 settembre si schierò coi repubblichini e fu uno dei 24 processati per la strage di Valibona: nel ’44 furono uccisi Lanciotto Ballerini e altri partigiani. Nel ’46 lo appiedò la federciclo, per questo episodio e per aver corso sotto false generalità quando si era trasferito a Monza. Al processo, svoltosi a Firenze, non comparì. La difesa chiamò a testimoniare Bartali, Bini e Martini. Gino il cattolico e Fredo il partigiano rosso testimoniarono a favore di Magni, sempre dichiaratosi estraneo ai fatti («mai sparato un colpo di fucile»). Condanna a 30 anni, non scontata perché rientrata sotto l’amnistia che anche Togliatti aveva approvato. L’amicizia tra Magni e Martini, più anziano il primo di tre mesi, non s’è mai affievolita. «Come un fratello», diceva uno dell’altro.
In un’Italia che sentiva la necessità di schierarsi anche nel ciclismo, Magni fu il meno amato dei tre. Va ricordato di sfuggita, perché lo spazio è quel che è, che in quegli anni l’epica non era solo l’abbeveratoio dei giornalisti, ma si nutriva di fatti e fattacci molto frequenti sulle strade. Nel Giro ’48 la Bianchi accusò Magni di aver organizzato una catena di spinte sul Pordoi. La penalizzazione di 2’ inflittagli dalla giuria fu giudicata insufficiente da Coppi, che si ritirò con tutta la squadra.
E al Tour del ’50 fu Bartali a pretendere il ritiro degli italiani dal Tour, a St. Gaudens. E sì che aveva vinto la tappa, ma era stato aggredito sull’Aspin. E sì che Magni, capitano della squadra cadetti, era maglia gialla. La piegò in valigia e tornò a casa, come tutti. Forse quel Tour l’avrebbe vinto, ma non l’ho mai sentito dire qualcosa contro Bartali. Un altro mondo, lo so. Coerente, Magni è stato il più tenace, l’ultimo a sparire dietro a un tornante. Gli sia lieve la terra.