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 2012  ottobre 21 Domenica calendario

DARWIN, I VERMI PILASTRI DELL’EVOLUZIONE

C’ era una volta la talpa della storia, intenta a scavare in maniera instancabile. Ma, decisamente più oscuro, e più in profondità, c’è un piccolo invertebrato che, pure lui, scava indefessamente. E se la prima aveva sollecitato la riflessione politicoescatologica di Karl Marx, anche il secondo, l’oscuro Lumbricus terrestris (più volgarmente conosciuto come verme), ha attirato l’attenzione, sino a tramutarsi in una sorta di magnifica ossessione, di un altro grande dell’Ottocento. Vale a dire, Charles Darwin (1809-1882), il padre della teoria dell’evoluzione per selezione naturale, il quale, nel 1881, diede alle stampe L’azione dei vermi nella formazione del terriccio vegetale , la sua ultima opera, per tanto tempo negletta e adesso sugli scaffali delle librerie italiane per i tipi di Mimesis (pp. 196, euro 16, con la cura di Giacomo Scarpelli e la traduzione di Milli Graffi).

Fu una passione inarrestabile quella che legò lo scienziato ottocentesco a uno dei più umili esponenti del regno animale, destinata a prendere avvio proprio al suo ritorno dalle Isole Galapagos, dove aveva sottoposto alla sua attenta osservazione ben altre, e molto più voluminose, specie etologiche. Il «colpo di fulmine» scientifico per il piccolissimo animale scoppiò sul finire dell’estate del 1837, a Maer Hall, la proprietà di campagna di suo zio, Jos Wedgwood, ove Charles ebbe modo di notare un lembo dell’appezzamento incolto, nel quale detriti di varia natura (pietrisco da costruzione, calce e cenere) erano penetrati nel terreno in profondità, generando uno strato anomalo di limo argilloso. Effetto, a giudizio del più anziano parente, non dell’erosione atmosferica, ma dell’operato dei lombrichi: un’ipotesi investigativonaturale da sottoporre, quindi, a esami empirici. Si configurò così la ferma volontà darwiniana di restituire ai vermi il giusto posto che spettava loro nella grande trama evolutiva, e che il disprezzo cui soggiacevano da secoli aveva occultato, a partire dalle campagne dove, rimarcava sempre il saggio zio Jos, gli agricoltori per primi non si erano mai resi conto di quanto la fecondità dei loro campi dipendesse dal lavorio incessante di questi oltraggiati animaletti.

Nei decenni seguenti, Darwin si rivelò troppo indaffarato nell’elaborazione della sua poderosa teoria dell’evoluzionismo, destinata a cambiare la nostra visione della storia degli esseri viventi e il volto delle scienze biologiche (influendo pure, seppure all’insegna di interpretazioni non direttamente discendenti dal naturalista, su quelle sociali). Ma il «primo amore» non si scorda mai, e lo studioso ebbe modo di recuperarlo, per restituire ai vermi il loro onore nella catena evolutiva, in finale di partita. Allo scoccare dei settant’anni, immerso nella tranquillità della sua casa di Down, nel Kent, Darwin si rimette di buzzo buono sull’argomento e completa lo studio. Con molta passione, trasformando la sala da biliardo di casa in un laboratorio, e decidendo perfino – vincendo così le preoccupazioni per la sua salute della moglie Emma – di effettuare un sopralluogo nel sito megalitico di Stonehenge, dove si accorse di come il parziale interramento dei menhir fosse da attribuire al millenario intervento dei vermi. Il volume vede finalmente la luce sei mesi prima della dipartita di colui che era divenuto, nel tempo, un’autentica star planetaria delle scienze naturali, e proprio per questo la comunità scientifica lo accoglierà con rispetto, pur considerandolo, alla fin fine, alla stregua di un’eccentricità senile. Invece, il fondatore dell’evoluzionismo aveva individuato in questa specie animale un attore a pieno titolo, e fondamentale, per l’impianto esplicativo della sua teoria, poiché, sosteneva, «c’è da dubitare che ci siano molti altri animali che hanno giocato un ruolo così importante nella storia del mondo». E, così, con L’azione dei vermi licenziava un dettagliatissimo zibaldone sulla loro etologia, i loro comportamenti e le loro abitudini, occupandosi davvero, in maniera enciclopedica, di ogni aspetto della vita dei lombrichi, dall’alimentazione alla modalità di scavare, sino all’ipotesi della presenza, in loro, di una forma di intelligenza (delle «facoltà mentali», come le chiamava) a lungo sottovalutata e che si esprimeva, per esempio, nel fatto di introdurre materiali all’interno dei tunnel che scavavano non prendendoli sempre nello stesso modo.

I microscopici eroi dell’ultimo libro darwiniano, in virtù della funzione da loro giocata nell’erosione e nell’escavazione della terra, nella conservazione delle antiche rovine e nella fertilizzazione delle campagne, rappresentano gli oscuri (sordi e privi di occhi, ma capaci di distinguere la luce del buio), ma imprescindibili, operatori dell’evoluzione.

E ci voleva, giustappunto, uno non qualunque per farcelo notare, dopo tanti secoli.