Flavia Amabile, La Stampa 21/10/2012, 21 ottobre 2012
BOMBE E DESOLAZIONE AL BARON’S HOTEL DI ALEPPO DOVE ALLOGGIAVA LA STORIA
[Lo storico albergo era amato da re, generali, spie e scrittori Ora va in rovina, ma il titolare Armen non vuole abbandonarlo] –
Madame Flavia, la Siria è finita, Aleppo è finita». Armen Mazloumian fa una pausa, si sente un silenzio irreale. Baron’s street ad Aleppo è sempre stata una strada trafficatissima, popolatissima ad ogni ora del giorno e della notte, nel pieno centro, a 5 minuti dal suq. I clacson delle auto, la musica dei negozi e delle radio, le voci della folla sono sempre state un sottofondo continuo ai limiti del sopportabile.
Oggi è una strada muta, deserta e il deserto di tanto in tanto interrotto dallo scoppio di una bomba o dal rumore dei mezzi dell’esercito del governo che lì ha una postazione fissa. Al centro della via c’è ancora lui, il Baron’s Hotel, l’albergo aperto nel 1911 dalla famiglia Mazloumian che da sempre dà il nome alla strada, un omaggio alla sua storia, perché lo sanno: la sua storia è la storia della Siria. E guardano al suo destino per capire che cosa ne sarà di questo Paese.
Era un luogo di cultura e potenti quando la Siria era un luogo di cultura e potenti. Lawrence D’Arabia non sarebbe mai andato a dormire altrove quando rientrava dalle sue missioni a metà tra le spedizioni archeologiche e lo spionaggio. I ricordi della sua permanenza al Baron’s sono ancora nella sala a destra subito dopo l’ingresso, fogli di un conto sbagliato, lettere. Ma ora la sala è chiusa, i vetri delle finestre rotti dall’ultima bomba scoppiata una settimana fa, e da almeno due anni nessuno più va a curiosare davanti alla vetrinetta per osservare la scrittura minuta dell’inglese che aveva deciso di guidare la rivolta araba.
Di fronte si apre un’altra sala, una stanza di cui si favoleggiava tra i viaggiatori del passato, stupiti di trovare un arredamento in stile country house inglese nel cuore del Medio Oriente. Sprofondata nella poltrona di pelle a destra dell’ingresso negli Anni Trenta Agatha Christie scrisse «Assassinio sull’Orient-Express», e in tanti arrivarono da ogni parte del mondo negli anni e nei decenni successivi per cercare di catturare quel particolare tocco di atmosfera di quella sala. Oggi il bar più famoso nel Medio Oriente degli archeologi e degli scrittori del secolo passato è chiuso, sprangato, i vetri in frantumi anche lì.
«Nessuno ha mai tentato di assalirci, no, - racconta Armen Mazlou-
U
mian – la strada è difesa dai soldati dell’esercito». Ma dalle bombe che arrivano dal cielo nessuno può difendere nessuno, e lui lo sa bene. «Metà Aleppo è andata via – prosegue – hanno preso d’assalto il suq e la cittadella, è stato bombardato anche il Tourism Hotel, il museo no, è ancora salvo».
Chi poteva è fuggito quando ancora c’era la possibilità. Armen è rimasto. Forse un po’ di tempo fa avrebbe anche potuto unirsi ai tanti in fuga, non sarebbe stata la prima volta. Aveva già dovuto allontanarsi quando Hafiz al-Assad, il padre di Bashar, aveva deciso di mettere a ferro e fuoco Homs. Anche quella fu una stagione difficile per la Siria e Armen che stava lottando contro il governo per evitare che mettesse le mani sull’albergo, aveva subito minacce, inseguimenti, finché avevano sparato contro di lui mentre era in auto. Era rimasto lontano da Aleppo per alcuni mesi, poi la situazione si era rasserenata ed era tornato. Ma allora aveva la madre ed il padre ancora saldi alla guida dell’albergo. Ora il Baron’s è tutto sulle sue spalle. Il padre non c’è più e la madre, Sally, è una signora di ormai 92 anni, gran parte dei quale trascorsi ad inseguire un sogno. Nel 1945 era una bellissima infermiera inglese fuggita dalle bombe di Londra e capitata ad Aleppo dove voleva iniziare una nuova vita senza sapere che al capolinea 60 anni dopo avrebbe trovato lo stesso incubo.
Non è facile sopravvivere in queste condizioni. Sally non esce di casa da tempo e non sempre è del tutto presente a se stessa. Armen è un signore anziano pieno di acciacchi seri, le scorte di medicine tra un po’ finiranno e lui già fa fatica a camminare. Uscire è impossibile, non potrebbe correre a cercare un riparo se scoppiasse una bomba. Un ragazzo lo aiuta andando a comprare qualcosa da mangiare per lui e per la madre nei pochissimi negozi ancora aperti.
Armen riesce a malapena ad andare una volta al giorno su, al primo piano, quello delle stanze degli ospiti più importanti, da Charles De Gaulle a Rockefeller, arredate con i pregiati tappeti tessuti a mano collezionati dal nonno agli inizi del ’900. Quelle dove con uno stratagemma furono salvate migliaia di armeni dal genocidio da parte dei Giovani Turchi e dove furono conservati i documenti che permisero di avere la conferma definitiva che di genocidio si trattava e non di un massacro.
Da oltre un secolo dalla terrazza di questo albergo si è affacciata la storia del Medio Oriente, e il suo destino ha seguito quello del Paese. Nei prossimi giorni Armen dovrà capire dove trovare delle assi di legno per proteggere le finestre dalle esplosioni che non mancheranno o del gasolio per affrontare l’inverno che si annuncia durissimo. E’ questo il suo destino, ora, accompagnato da una sgradevole sensazione, che questo per il Baron’s e per la Siria sia l’ultimo capitolo da scrivere. «Madame Flavia, è finita», ripete, e alle sue parole segue di nuovo un pesante silenzio.