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 2012  ottobre 19 Venerdì calendario

QUEI PAZZI DI VAN GOGH E DALÌ LA SCIENZA SPIEGA LA FOLLIA DEI GENI

«Non esiste genio senza una vena di follia ». Se ne era accorto Seneca. Per Aristotele «gli uomini eccezionali in filosofia, politica, poesia o arte» hanno un eccesso di bile nera che li rende malinconici. Un legame fra squilibrio mentale e talento era addirittura inconcepibile secondo Lombroso. Salvador Dalì però non era d’accordo. «L’unica differenza — diceva con gli occhi allucinati e i baffi come due aghi verso il cielo — fra me e un matto è che io non sono matto».
Il fascino del rapporto fra genio e follia nel frattempo ha contagiato anche le neuroscienze. Per dare risposta a un quesito con più di duemila anni sulle spalle, il Karolinska Institutet di Stoccolma ha messo in piedi uno studio gigantesco, coinvolgendo quasi 1,2 milioni di pazienti psichiatrici visitati o ricoverati in Svezia negli ultimi 40 anni insieme ai loro parenti, arrivando ai cugini di secondo grado.
Nello studio più esteso mai condotto sull’argomento, il legame fra creatività e malattia mentale
è apparso in tutta la sua nitidezza. I più colpiti dal “mal di genio” sono gli scrittori. La loro mente, come Lord Byron, David Foster Wallace e infiniti altri possono testimoniare, sembra un campo minato. Oltre ad avere il 50% di probabilità in più di suicidarsi, gli autori professionisti soffrono più della media di schizofrenia, ansia, depressione, abusi di alcool e droghe. Le altre categorie prese in considerazione dallo studio (scienziati, danzatori, fotografi, artisti) non sono di per sé rappresentate negli studi degli psichiatri più della media. Ma fanno parte di famiglie che soffrono in maniera spiccata di schizofrenia e disturbo bipolare. Un dato in sintonia con il fatto che per molte malattie psichiatriche è stata scoperta una base genetica ed ereditaria.
Una volta accertato un legame fra arte, scienza e mestieri creativi da un lato e malattia mentale dall’altro, resta ancora da capirne il perché. Studi precedenti, al Karolinska come in altri istituti del mondo, avevano già cercato di scrutare all’interno del rapporto fra creatività e follia. Una delle teorie più gettonate è che il cervello
di artisti e scienziati non abbia un filtro efficiente con la realtà esterna. Tutti gli stimoli provenienti dal mondo vengono riconosciuti come importanti, permettendo all’individuo di stabilire connessioni originali e sorprendenti.
Creatività e capacità di pensare fuori dagli schemi vengono però in alcuni casi pagate caro, perché l’incapacità di filtrare gli stimoli è considerata una fra le possibili cause delle psicosi ed è stata osservata nelle fasi iniziali della schizofrenia, in cui a volte si affacciano pensieri mistici ed esperienze religiose.
In termini di evoluzione, la ma-lattia mentale può essere considerata come un prezzo da pagare in cambio di una grande originalità di pensiero. In realtà resta ancora un mistero se sia nato prima l’uovo o la gallina. Se cioè sia la malattia mentale a scardinare il flusso ordinato dei nostri pensieri donandogli originalità o siano piuttosto creatività e profondità di pensiero a condurre il cervello sull’orlo dell’abisso della malattia mentale.
In ogni caso Simon Kyaga, il giovane ricercatore del Karolinska che ha condotto lo studio e sembra deciso a sbrogliare la matassa, è convinto che «In psichiatria, e in medicina in generale, si è abituati a considerare una patologia in termini di bianco o nero. Se imparassimo a riconoscere che alcuni aspetti della malattia mentale possono essere benefici, potremmo escogitare nuove tecniche per trattarla».