Ettore Livini, la Repubblica 19/10/2012, 19 ottobre 2012
ALITALIA, 5 MILIARDI PER SALVARLA MA LA PICCHIATA NON SI FERMA
[Pesa la concorrenza di treni veloci e low cost] –
MILANO
— Saranno due Derby — uno tutto tricolore e l’altro per l’Europa League — a decidere il futuro di Alitalia. L’ex compagnia di bandiera ha fatto una scelta strategica chiara sin dalla genesi della gestione Colaninno: rinunciare ai (costosissimi) sogni di grandezza che avevano fatto della Magliana il settimo vettore mondiale a inizio anni ‘80 e tornare con i piedi per terra.
Il ragionamento non fa una grinza: la società non ha le ali abbastanza larghe per far concorrenza sull’intercontinentale a colossi come Air France, Lufthansa e Ba e fatica a tenere il passo nella Ue con rivali — leggi le low cost — molto più flessibili e solidi finanziariamente. Il suo vero tesoretto è la quota del 50% sulle rotte nazionali, il quarto mercato più ricco d’Europa. E i nuovi soci, dopo aver lasciato come ricordo ai contribuenti italiani un conto tra i 4 e i 5 miliardi, hanno deciso di far quadrato sui cieli di casa per presentarsi in salute all’appuntamento (apparentemente inevitabile) per le nozze con Air France.
IL NEMICO IN CASA
La strada per arrivare in forma ai fiori d’arancio con Parigi non è però in discesa. Il mercato tricolore fa gola a molti e il primo vero nemico Alitalia ce l’ha in casa: il treno. L’alta velocità ha rimescolato le carte dei trasporti sulle tratte più redditizie del Belpaese, specie la Milano-Roma. Carta canta: cinque anni fa la Magliana trasportava tra Fiumicino e Linate (a prezzi spesso da brividi) 2,5 milioni di persone l’anno, il 56% del totale dei trasporti tra le due città. Poi il Frecciarossa ha fatto saltare il banco. Nel 2011 sui voli con la livrea tricolore si sono imbarcati solo 1,5 milioni di persone (il 32%). Alitalia ha provato a difendere i margini riducendo del 30% i collegamenti. Il Derby con la rotaia — tuttora in corso a suon di sconti dopo l’arrivo di Italo — ha però lasciato lo stesso una ferita profonda nella redditività del gruppo. Una piaga destinata ad allargarsi ora che l’antitrust ha obbligato l’aerolinea a cedere otto slot (su 60) a un competitor sulla Roma-Milano.
IL DERBY EUROPEO
L’altra grande spina nel fianco di Alitalia è l’arrembaggio delle low cost, sbarcate in Italia dieci anni fa con quote da prefisso telefonico ma cresciute a ritmi garibaldini fino al 40% del mercato. Ryanair e Easyjet, cifre alla mano, sono oggi le due vere compagnie di bandiera per i viaggi oltreconfine. La prima trasporta dal Belpaese quasi 24 milioni di passeggeri l’anno, a un soffio da Alitalia. Easyjet (che gestisce 134 collegamenti dalla penisola) è a quota 12 milioni grazie alla leadership a Malpensa.
Il segreto del loro successo è semplice: basta accendere un computer e provare a prenotare un volo andata e ritorno Milano-Londra a metà novembre, come abbiamo
provato a fare noi ieri. Prezzo Alitalia: 197,77 euro. Easyjet: 72 euro. Ryanair (da Bergamo): 38,48 euro. Certo, per imbarcarsi sulle low cost si deve sgomitare. Alla fine però — specie in tempo di crisi — il risparmio paga e l’azienda tricolore è costretta (senza troppo successo) a sacrificare i margini per non finire fuori mercato.
Le carte di questa partita, accusa Alitalia sono truccate. Specie da Ryanair che applica ai dipendenti italiani i contratti di lavoro di Dublino. «Potessimo farlo anche noi — dicono fonti dell’aerolinea tricolore — risparmieremmo 150 milioni di oneri sociali e saremmo in utile». Non solo: la compagnia di Michael O’Leary si fa remunerare dai piccoli aeroporti per garantire i suoi voli. Rimini ha stanziato nel 2010 7 milioni, Ancona 2,5. Una pratica nel mirino della Ue come aiuti di stato.
SE PAGA PANTALONE
Alla fine, insomma, paga pure Pantalone. Mettendo oltretutto i bastoni tra le ruote ad Alitalia. Spiccioli, comunque, confronto al super assegno pagato dai contribuenti tricolori quattro anni fa per salvare la compagnia e consegnarla con 7mila dipendenti in meno ai patrioti sponsorizzati da Silvio Berlusconi. Ci siamo fatti carico di due miliardi di debiti, di 300 milioni di prestito ponte andati in fumo. Abbiamo sacrificato gli interessi di azionisti e obbligazionisti (Stato in primis), pagato qualcosa come 1,5 miliardi per gli ammortizzatori sociali che hanno fatto da paracadute agli “esodati” dalla vecchia compagnia non riassunti da Cai. Conto finale: tra i 4 e i 5 miliardi. Risultato: la nuova Alitalia, alleggerita a spese nostre, fatica a rimanere in quota ed Air France potrebbe alla fine acquistarla per 6-700 milioni. Un quarto di quanto aveva offerto quattro anni fa.