Filippo Ceccarelli, la Repubblica 19/10/2012, 19 ottobre 2012
LA MELANDRI AL MAXXI ROTTAMATA E RICICLATA
Sono giorni difficili. E anche per questo non ha reso un buon servizio alla politica e neanche alla cultura e in ultima analisi al suo governo il ministro tecnico dei Beni culturali Ornaghi, benedett’uomo, che ieri ha nominato l’onorevole Giovanna Melandri, del Pd, alla presidenza del Maxxi di Roma, il più prestigioso, ma già gracile museo per le arti contemporanee. Sono anche giorni un po’ selvatici, come in Italia ne capitano più o meno ogni vent’anni. E siccome adesso – come suona l’esclamativo slogan della rottamazione — non si va troppo per il sottile, ma chi governa ha la responsabilità di valutare in anticipo reazioni e conseguenze delle proprie scelte, forse il ministro Ornaghi, che è un valente studioso di politica e un prudente, anzi un prudentissimo, di più, è un prudentissimissimo uomo molto vicino a Santa Romana Chiesa, potrebbe anche chiedersi se non ha reso un cattivo servizio anche a Melandri.
La quale tuttavia ha subito accettato l’incarico, non si dirà qui la poltrona, e dopo aver cortesemente ringraziato ha promesso che ce la metterà tutta. E su questo c’è da esserne sicuri perché il personaggio, a suo modo, è tosto e anche piuttosto infaticabile assommando su di sé, insieme ovviamente ai limiti, le virtù della secchiona e quelle della prima della classe, e tante altre che qui, a parte un’ottima conoscenza dell’inglese, caso raro nel ceto politico nostrano, non pare comunque il caso di approfondire, perché non è questo il punto, o non è più solo questo.
A maggior ragione si chiederà indulgenza nel ridurre al minimo le ragioni che hanno portato alla scelta. Basti sapere che a Melandri, ministro dei Beni Culturali nei governi D’Alema e Amato, risale l’impegno di aver dato via al progetto originario del Maxxi; e se questo si è poi rapidamente indebolito, per innata cialtroneria alla vaccinara, mancanza cronica di fondi e spudoratissimo eccesso di appetiti politici (Polverini, per dire, ci ha piazzato dentro il suo temerario spin doctor), se sul Maxxi incombe l’ombra di un definitivo fallimento non è colpa della neo nominata presidente.
Né francamente pare opportuno approfondire
la nomina di monsignor Ornaghi inoltrandosi con fiducia in una complicata rete parentale per cui Giovanna è effettivamente cugina di Giovanni Minoli, la cui figlia è la sposa di un alto dirigente, a nome Salvo Nastasi, che a via del Collegio Romano fa da qualche annetto il bello e il cattivo tempo. Con dei risultati, occorre purtroppo aggiungere, di cui è assai difficile rallegrarsi.
Ma queste malevoli spiegazioni, che immediatamente hanno fatto il giro dei palazzi e delle redazioni, e che da ieri sera entreranno ufficialmente nell’agenda salottiera capitolina, sono a loro modo un segno, un indizio, un sintomo del clima generale, come si diceva un po’ aspro e ruvido e crudo e perciò, dall’altra parte,
eccezionalmente aperto alla legge del “si salvi chi può”.
In altre parole la rottamazione, formula tanto crudele e sbrigativa quanto efficace e contagiosa, poneipotenziali“rottamandi”nell’infelice, ma pressante stato d’animo di trovarsi non già una via d’uscita dal potere, ma qualche sistema, qualche marchingegno, qualche amicizia, qualche soluzione o nomina per restarci. Sotto altre forme, in altre vesti, con obiettivi diversi e anche nobili, ma trasmettendo drammaticamente il messaggio secondo cui senza potere (stipendio, segretaria, telefoni, macchina, rassegna stampa, viaggi, giorna-listi, fotografi, primi posti in platea e ammirazione dei gonzi), insomma senza tutto questo non c’è salvezza. E pazienza se il pubblico non lo capisce: io sono io.
Anche per definire questo percorso c’è un’espressione ingenerosa e poco simpatica, che in Italia ricorre anch’essa ogni ventennio: riciclaggio. Così sarà anche umano, ma proprio quando ci sarebbe più bisogno di umiltà, di ottimismo, di spirito di sacrificio, i “rottamandi” fanno di tutto per togliersi quelle virgolette e decisamente, rispetto a quella sorte, si preferiscono riciclati. Anche a costo di capirlo, questo processo, e perfino di soffrirne, diventando permalosi e irascibili con se stessi e con gli altri.
Melandri ha avuto finora una carriera molto bella e fortunata. Sempre che sia un vantaggio – e questa storia un po’ lo smentisce – è entrata gloriosamente a Montecitorio, unica eletta della sinistra a Roma dopo l’alluvione berlusconiana, a 32 anni. Ha dato parecchio alla sua causa. Ma molto le ha dato la politica e, per quel poco che si può giudicare, anche la vita.
C’era qualche ragione di pensare che qualcosa si sentisse, per ragioni anche di formazione oltre che sentimentali, di restituire. Anche a se stessa, in termini di fiducia. Nella primavera dell’anno scorso, a Oxford, era rimasta folgorata da un progetto di imprenditoria e innovazione sociale, capitalismo filantropico, storie anche straordinarie di impegno sul futuro, tecnologie, alfabetizzazione, università “a piedi scalzi” capaci di trasformare vecchie signore analfabete del Sudamerica in ingegneri solari. A questo mondo fantastico di persone “irragionevoli”, pochi giorni fa, aveva dedicato il suo impegno battezzandolo “Uman”. E presentazioni, prolusioni, articoli, tutto. Ma adesso si scopre che non era tutto. È passato il Maxxi e lei, zàc, l’ha preso al volo. Magari farà benissimo, ma forse non se lo meritava.