Alessandro Marzo Magno, Linkiesta 21/10/2012, 21 ottobre 2012
QUANDO A LONDRA I CATTIVI ERANO I BANCHIERI ITALIANI
Maledetti italiani, sfruttatori, usurai, affamatori, gente che toglie il lavoro importando beni a basso prezzo, usando per i trasporti economiche navi fiamminghe, anziché solide e affidabili navi inglesi. Cambiano i tempi, cambiano i soggetti, ma i temi sono sempre quelli: stranieri inaffidabili che attentano al benessere dei docili abitanti. In questo caso siamo a Londra, a metà Quattrocento. Lo scenario è quello del cuore della City: Lombard Street (che però al tempo si chiama ancora in parte Great Tower Street) dove sono insediati i banchieri italiani. Il termine “lombardo” è la parola, vagamente dispregiativa (un po’ come il tedesco “Welsch” e l’anglo-americano “Dago”) per indicare gli italiani in genere. Anzi, i “lombardi” non provengono dall’odierna Lombardia, bensì dal Piemonte (Alba, Asti, Chieri) e dall’Emilia (Piacenza).
Esercitano il prestito su pegno, quindi vengono considerati sordidi usurai e sono molto mal visti (il loro posto sarà preso dagli ebrei, ma questa è un’altra storia). I toscani (lucchesi, senesi, fiorentini), invece, sono grandi prestatori internazionali e per questo godono di buona considerazione. Spesso si trovano distinti lombardi da toscani: pessimi i primi, ottimi i secondi. La Lombard Street di oggi non è più quella del tempo dei banchieri italiani: distrutta dal terrificante incendio che ha divorato Londra nel 1666, è stata completamente ricostruita.
Era da tempo che gli inglesi macinavano contro i lombardi, nel 1436 era anche stato composto un poemetto che li accusava, il “Libelle of Englyshe Policye”. C’è scritto che affamano la nazione britannica, vendendo inutili beni di lusso, come uccelli esotici e scimmiette («Le grandi galee di Venezia e Firenze/ Son ben cariche con cose di piacere...»). Nel 1450 il capo della rivolta dei contadini del Kent, John Cade, marcia su Londra e chiede ai lombardi armi e denaro, pena il vedere le loro teste (dei lombardi) far bella mostra di sé infilzate sulle picche. La rivolta finisce male, ma sei anni più tardi il sangue degli italiani di Londra scorre davvero.
Un giorno di inizio maggio del 1456 il domestico di un mercante inglese di stoffe, mentre va a spasso per Cheapside, si imbatte nel domestico di un mercante italiano che porta un pugnale alla cintura. In Italia agli inglesi non è concesso girare armati e quindi affronta il suo collega chiedendogli soddisfazione. L’italiano però, o si sottrae, o non fornisce una risposta a tono, e così l’inglese gli sottrae l’arma e gliela spacca in testa.
Immediatamente il mercante lombardo suo datore di lavoro protesta con il sindaco, Thomas Canyng. Questi convoca il giovane feritore a Guildhall dove una corte lo imprigiona. Ma tutta Londra sa quel che sta accadendo, e al di fuori di Guildhall si riunisce una folla che invece solidarizza col ragazzo detenuto e protesta rumorosamente. Quando il sindaco, accompagnato dai suoi due sceriffi, decide di lasciare la sala, si trova la strada sbarrata da un muro umano. Non riesce a farsi largo tra la folla, e mentre cerca di spiegare i motivi della condanna, viene zittito da alte urla di protesta. A quel punto Canyng viene preso dal panico, teme per la sua vita e ordina che il prigioniero sia liberato.
Se il sindaco sperava in tal modo di acquietare gli animi, capisce presto di essersi sbagliato di grosso. La notizia del rilascio del domestico passa di bocca in bocca e viene presa come un’approvazione del comportamento della folla da parte delle autorità. Immediatamente si scatena la caccia all’italiano: alcuni mercanti fiorentini, lucchesi e veneziani vengono rapinati, e i londinesi si danno al saccheggio di quattro case abitate da stranieri nella Bread Street. Il sindaco fa catturare alcuni capi della rivolta. Ma sembra che pure gli italiani si siano difesi perché anche qualcuno di loro finisce in prigione.
Sabato 8 maggio è il giorno del verdetto: tre uomini vengono condannati all’impiccagione: due sentenze saranno eseguite lunedì, una più tardi. Veder penzolare qualcuno da una forca tranquillizza un pochino gli animi: il sindaco fa leggere in tutta la città un proclama in cui si afferma che non saranno tollerate ulteriori violenze e che i lombardi devono poter svolgere le loro attività come sempre. Intanto il Senato della Serenissima vota un decreto che condanna «lo straordinario insulto perpetrato dai cittadini di Londra».
Intanto trascorre l’inverno, arriva la primavera 1457 e in maggio, come ogni anno, è previsto l’arrivo a Londra della muda di Fiandra, cioè il convoglio di galee da mercato veneziane dirette nei porti nel Nord Europa. Alcuni mercanti italiani si sono presi in anticipo e hanno già fatto giungere a Londra a bordo di navi fiamminghe, in attesa di trasferirli nelle galee col vessillo di San Marco, lana grezza e tessuti di lana, pagando i consueti dazi. Ma una notte, mentre si dondolano nel Tamigi, i vascelli fiamminghi sono attaccati da unità inglesi provenienti Calais e Sandwich. L’azione è clamorosa e subito il re scrive al sindaco ordinandogli che le navi siano rilasciate e i beni restituiti ai loro legittimi proprietari.
Il sindaco però non riesce a far giustizia come gli viene richiesto, probabilmente perché gli organizzatori del colpo di mano se la sono data prontamente a gambe. Trascorrono alcuni mesi di quiete, ma poi la situazione precipita di nuovo. Verso la fine di luglio una folla di londinesi si raduna fuori città, a Bishopswood, con l’intenzione di farsi giustizia da sé: per i lombardi si prospettano ore molto poco piacevoli. Questa volta però l’azione del sindaco Canyngs è vigorosa e immediata: manda un contingente di uomini armati incontro ai rivoltosi e ingiunge ai lombardi di barricarsi nelle loro case. Cosa sia accaduto esattamente in quelle ore concitate non si sa, non sono sopravvissuti documenti che ne parlino. Di sicuro ci sono stati numerosi arresti, ma non ci è noto se siano avvenuti dopo un combattimento tra rivoltosi e forze del sindaco, o dopo il saccheggio di alcune case dei lombardi, che parrebbe essere in ogni caso avvenuto.
Il risultato è che i terrorizzati lombardi si riuniscono tra loro e decidono di lasciare Londra armi e bagagli per trasferirsi a Southampton. Londra, però, ha bisogno dei mercanti e dei banchieri italiani, non può vivere senza, e quindi comincia un paziente lavoro di ricucitura. Nel 1460 la muda di Fiandra si affaccia di nuovo al porto sul Tamigi e da allora è business as usual. Da allora non si registrano più testimonianze di ostilità contro gli italiani.