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 2012  ottobre 21 Domenica calendario

LE OPINIONI FUORI MISURA

Pendete la canzone di Celentano: Io sono un uomo libero. È bello credere che meno vincoli abbiamo, più gradi di libertà acquisiamo. Ma poi arriva la domanda infame: sarà vero? Si potrebbe partire da uno schema ideale: le nostre opinioni vengono lette dai politici di riferimento e trasformate in leggi. Buone opinioni, democrazia in salute. Viceversa, invece, è un disastro.
I passaggi, così descritti, non tengono conto di molte variabili, però almeno questo schema ha un vantaggio: la nostra attenzione è concentrata non sui politici o sulle leggi, ma sulle nostre opinioni. C’è una categoria di persone, gli intellettuali, in senso lato si intende, che partecipa alla formazione delle opinioni. Certo bisognerebbe approntare un’ulteriore classificazione, suddividere gli intellettuali in gruppi e sottogruppi, indicare quelli che influenzano di più, quelli che comunicano solo con specifiche categorie. E poi non c’è dubbio, esaminare i media: i giornali contano ancora nella formazione delle opinioni? Sì, e quanto? La televisione? La Rete?

Ma limitiamoci allo schema basico: gli intellettuali. Lo sappiamo: spingono sui concetti di verità e libertà, spesso con un insopportabile tono oracolare e profetico. Domanda: non sarebbe meglio sostituire il concetto di verità con quello di misurazione? La suddetta parola, lo so, è seccante, non eccita la nostra immaginazione, mica siamo fatti per vivere con righelli e squadre. Tuttavia la pratica della misurazione dà la priorità non al concetto di verità e libertà, ma al metodo di indagine. Quest’ultimo richiede raffronti, comparazioni, statistica e analisi dei dati.
Per dirla con il premio Nobel per l’economia, Daniel Kahneman (Pensieri lenti e veloci, Mondadori, pp. 548, 22) le buone opinioni necessitano del sistema due. Kahneman ha individuato due modalità di formazione delle opinioni: quelle prodotte attraverso il sistema uno e quelle che passano per il sistema due. Il sistema uno ha avuto origine nel paleolitico, è veloce, ecosostenibile (consuma poco glucosio), fortemente associativo, funziona in automatico e salta subito alle conclusioni. Il sistema due è invece lento, pigro, analitico e comparativo. Consuma molto glucosio, richiede attenzione costante e provoca tensione muscolare per lo sforzo. Ora, appunto, il sistema uno funziona bene (nel senso che dimostra una sua logica) quando il tempo a nostra disposizione per una decisione è limitato. Immaginate i nostri antenati nella savana che si chiedono: quelle macchie gialle che vedo nella boscaglia cosa sono? Meglio saltare subito alla conclusione: una tigre dai denti a sciabola. Meglio fuggire che avvicinarsi per vedere meglio e misurare le macchie.
Insomma, a volte, less is more — il libro di Gerd Gigerenzer, Decisioni intuitive (Raffaello Cortina, pp. 284, 24,50) è molto chiaro in proposito. Tuttavia studi di neuroscienza hanno individuato una caterva di errori valutativi, tipici del sistema uno. Sono pregiudizi, in gergo bias cognitivi, che falsano le misurazioni — e con esse le nostre sensazioni di libertà. Accade soprattutto quando il sistema uno prende il sopravvento e il sistema due risulta troppo pigro per contraddirlo.
Un bias è, per esempio, il fenomeno dell’introspezione rosea. La sensazione che il passato sia migliore del presente — un’eccellenza italiana. Questo pregiudizio inquina la misurazione, se il passato è una dimensione ideale, qualsiasi comparazione con il presente sarà falsata. Oppure, il bias della disponibilità: lasciarsi trascinare dall’onda emotiva. Maggiore è la facilità con cui recuperiamo certi ricordi, tanto più intensamente ci lasceremo trascinare. Il mese scorso sono precipitati due aerei, quindi io prendo il treno. Il rischio in realtà non è cambiato e siamo soggetti a un bias di disponibilità. Ancora: sottovaluto i rischi di un certo inquinamento perché i media ne hanno parlato poco, e quindi non ho ricordi in proposito, o al contrario li sopravvaluto perché se ne parla tanto. Il bias della certezza rispetto al dubbio: ovvero la tendenza a evitare il caso e il disordine. Esperimento: prendiamo il sesso dei bambini nati in un ospedale e consideriamo tre sequenze MMMFFF (maschio maschio maschio femmina….) FFFFF, MFMMFM. Qual è la più probabile? Nella maggioranza dei casi l’ultima è giudicata la più probabile, perché più ordinata. In realtà il sesso del primo nato non influenza quello del secondo. Si tratta di eventi casuali. Ma noi cerchiamo modelli, e immaginiamo un mondo coerente e regolare. Questo bias spinto all’estremo dà luogo al «complottismo» (altra eccellenza italiana), la tendenza a cercare cause e manovratori occulti.
Ancora, l’effetto ancoraggio. In uno studio fu chiesto di indicare il prezzo medio di un’auto in Germania. Se veniva mostrata una Mercedes il prezzo si alzava, se si mostrava una Volkswagen il prezzo si abbassava. Insomma uno stimolo tende a evocare informazioni che sono compatibili con lo stimolo stesso: se getti un’ancora, poi li attorno graviti. Ora, abbiamo tutti tempo per fischiettare io sono un uomo libero, ma sempre meno voglia di mettere in moto il sistema due.
È un problema moderno, l’eccessiva presenza di bias. In una società complessa, rischiamo di non prendere buone decisioni. Voglio dire se, per esempio, giudichiamo più probabile la morte per fulminazione che per botulismo — quest’ultima è 52 volte più frequente — pensate a quante nostre opinioni su temi sensibili sono inquinate da errori simili.
Meglio affidarci agli intellettuali di servizio — sono quelli che si prendono la briga di dimostrare ipotesi, non con aggettivi, ma con metodo analitico/comparativo — che a quelli creativi (spesso concentrati sulla ricerca dell’effetto emotivo). Per far questo gli intellettuali dovrebbero integrare le conoscenze, studiare e tanto, mettere a disposizione i propri dati in un costante e organico (nei media) sistema di peer review — un ottimo esempio di sistema di dati, integrato e condiviso, è il sito www.gapminder.org. Oppure gli studi in peer review che troviamo sul sito www.worldvaluessurvey.org, dove le analisi coprono un esteso arco temporale, con costanti integrazioni di nuovi dati.
Io sono un uomo libero, dunque? Forse libero no, ma se attraverso un metodo d’analisi condiviso e rigoroso eliminiamo i bias cognitivi, di sicuro saremo più precisi. Poi sarà anche più bello canticchiare.
Antonio Pascale