Viviana Domenici, Corriere della Sera 21/10/2012, 21 ottobre 2012
STORIA DI DE GASPARI, L’ILLUSTRATORE DI BUZZATI
«Nel corso degli anni Settanta è lontano dall’Italia, impegnato in numerosi viaggi, fino al definitivo trasferimento a Pellestrina, località nei pressi di Venezia». Termina così la «scheda» dedicata a Giorgio De Gaspari, pubblicata nel catalogo della mostra «Il Novecento italiano» che nel 2007 il Corriere della Sera organizzò a Palazzo Reale, a Milano, per presentare al pubblico l’eccezionale patrimonio di immagini realizzato dagli illustratori della vecchia Domenica del Corriere.
Giorgio De Gaspari era uno di questi illustratori — il preferito di Dino Buzzati e, per molti, il più grande del 900 italiano — e nei giorni scorsi Giorgio se n’è andato anche dal suo rifugio di Pellestrina, per sempre. In quelle tre righe del catalogo c’è ora tutto il rimpianto di chi lo conobbe, lo ebbe come amico, gli volle bene davvero, e per quarant’anni ha rispettato il suo desiderio di non disegnare più per nessun editore, di non farsi più vedere al bar Jamaica, di farsi dimenticare da tutti, amici e familiari. Un rispetto che ora pesa come un macigno pensando a quante volte, con il comune amico Aldo Di Gennaro — altro grande illustratore della Domenica del Corriere — abbiamo progettato di presentarci inaspettati a Pellestrina dove Giorgio condivideva l’isolamento con la sua compagna Marlene. Ma ogni volta avevamo rinunciato, temendo di fargli del male.
Quarant’anni di silenzio rotti solo da una telefonata che azzardai qualche anno fa. Rispose come se ci fossimo visti il giorno prima, la stessa voce calma, apparentemente serena, la promessa di un incontro prima o poi. Ma sapevo che non ci sarebbe mai stato alcun incontro. Mi bastò la voce, poche parole, per tornare ai primi anni Sessanta quando, appena approdato nella redazione della Domenica del Corriere di Alfredo Pigna e Dino Buzzati e Walter Molino, lo vidi arrivare per consegnare un disegno che mi parve una finestra sul futuro, tanto era avanti rispetto allo stile allora dominante delle immagini alla vecchia Domenica.
Rimasi sbalordito, ma non solo dal suo disegno. Anche dal suo aspetto: alto, fisico da attore americano, vestito come peggio non avrebbe potuto, stivali di gomma, mani sporche di colori, taglio di capelli autarchico con le forbici di redazione, bocchino d’avorio con la sigaretta sempre accesa, la doccia dimenticata da tempo, espressione seria, sorriso da bambino. Colto, curioso, generoso fino all’autolesionismo. Impossibile non volergli bene come a un fratello geniale, ma bisognoso di essere protetto dal mondo e dalla sua stessa natura. Per questo quando arrivava in redazione era il momento più entusiasmante della settimana. Più difficile era andare a cercarlo al bar Jamaica o in qualche trattoria di Brera per convincerlo a consegnare il disegno promesso, a cambiarsi i vestiti che aveva da settimane, a indossare quelli che in redazione mi incaricavano di comprargli. Lui capiva al volo, sorrideva, si divertiva delle nostre preoccupazioni e ci provocava comportandosi (per qualche ora) come un manichino obbediente e senza testa. Poi tornava quello di sempre.
Finché decideva di prendere colori e pennelli e lavorare due o tre giorni di seguito — dormendo sdraiato sulla mia scrivania — per stupirci con l’ultimo disegno. Quindi spariva per settimane, senza consegnare altri lavori concordati. Senza un perché. Ma era Giorgio e si faceva perdonare con i suoi disegni, con le sue bizzarrie incontenibili, con le sue parole sempre acute, sensibili, mai fuori posto. Ma un giorno sparì davvero, qualcuno ci disse che forse era a Londra, forse in Turchia. Poi più nulla finché sapemmo che si era ritirato a Pellestrina e non pubblicava più nulla. Scoprimmo però che continuava a disegnare capolavori quando comparvero certe fotocopie di meravigliosi disegni che ci passavamo tra amici come reliquie; fotocopie di fotocopie, sempre più sbiadite, ma per noi ugualmente preziose. Chissà se un giorno chi ha gli originali di quei disegni deciderà di renderli pubblici. Certi impegni non vanno rispettati.
Ora Giorgio se n’è andato. Aveva compiuto 85 anni, almeno la metà spesi nel tentativo di farsi dimenticare da tutti. Non c’è riuscito: noi lo ricorderemo sempre.
Viviano Domenici