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 2012  ottobre 20 Sabato calendario

Ulivi del Getsemani testimoni viventi - Gli ulivi oggi presenti nel giardino del Getsemani po­trebbero essere gli stessi che hanno visto Gesù sudare san­gue e sotto i quali si sono addor­mentati Pietro, Giacomo e Gio­vanni, incapaci di vegliare e prega­re in quel momento cruciale per la salvezza dell’umanità? La doman­da è rimasta, per così dire, sottesa all’intera conferenza stampa con la quale ieri a Roma, presso la Ra­dio Vaticana, la Custodia di Terra Santa, rappresentata da Pierbatti­sta Pizzaballa, ha reso noti i risul­tati di una ricerca scientifica su quegli alberi antichissimi

Ulivi del Getsemani testimoni viventi - Gli ulivi oggi presenti nel giardino del Getsemani po­trebbero essere gli stessi che hanno visto Gesù sudare san­gue e sotto i quali si sono addor­mentati Pietro, Giacomo e Gio­vanni, incapaci di vegliare e prega­re in quel momento cruciale per la salvezza dell’umanità? La doman­da è rimasta, per così dire, sottesa all’intera conferenza stampa con la quale ieri a Roma, presso la Ra­dio Vaticana, la Custodia di Terra Santa, rappresentata da Pierbatti­sta Pizzaballa, ha reso noti i risul­tati di una ricerca scientifica su quegli alberi antichissimi. Durato tre anni, lo studio è stato condotto dai massimi esperti inter­nazionali di biologia e fisiologia ve­getale (tutti di università italiane), coordinati dall’agronomo speciali­sta in storia dell’ulivo Giovanni Gianfrate e da Antonio Cimato del Cnr, con l’obiettivo essenziale di capire lo stato di conservazione delle piante, le prospettive di so­pravvivenza e la necessità di inter­venti specifici. Il risultato è stato sorprendente, anche se una rispo­sta alla domanda iniziale, hanno spiegato sia Gianfrate che Cimato, può essere data solo per via indiret­ta. La datazione del legno dei loro tronchi, nella parte sopra il livello del terreno (epigea), riporta alla metà del XII se­colo. Quel che più stupisce, però, è che il dna di tutte le piante presenti nel ’recin­to’ storico del Getsemani è identico. Si tratta cioè di e­semplari tratti da un’unica pianta madre. Non dai suoi semi (perché tecnicamente dai semi di una stessa pian­ta non nascono piante i­dentiche), ma da talee otte­nute con rami vivi recisi da essa. Si tratta inoltre di al­beri perfettamente sani. Non affette da alcuna ma­­lattia, nemmeno di caratte­re ambientale come quelle generate da pur presenti fonti di in­quinamento. Come se (Cimato lo ha definito «un piccolo miracolo») il terreno sul quale crescono sia ca­pace di bloccare la proliferazione di batteri, insetti e virus capaci di at­taccare radici e legno. Così oggi quelle piante sono in grado di vege­tare e di fruttificare per altri secoli ancora, oltre che di produrre un o­lio con caratteristiche superiori e chimicamente uniche. Ma andiamo per ordine. Gli ulivi più antichi del Getsemani sono ot­to. Particolarmente contorti, pre­sentano tronchi svuotati al centro. La parte più antica di essi, in so­stanza, non esiste più. Per la data­zione con metodologia dendrome­trica (basata su misurazioni e carat­teristiche biologiche della pian­ta) e per quella con la cosiddet­ta tecnologia del ’carbonio 14’, ne sono stati scelti tre. I prelievi sono stati effettuati nel 2010 e il C14 è stato rilevato in due di­stinti laboratori: Vienna e Uni­versità del Salento. L’incrocio dei dati ha condotto a datare la prima pianta al 1198, la secon­da al 1092, la terza al 1166. Valutan­do il normale range di errore e la di­versa conservazione del legno in ciascuna pianta, è quindi presumi­bile che i tre tronchi abbiano co­minciato a vegetare negli stessi an­ni. Cioè nel periodo in cui i crociati, riconquistata Gerusalemme (1099), hanno ricostruito le basiliche (quella del Getsemani è datata fra il 1150 e il 1170) e risistemato i luoghi sacri, quindi anche l’orto degli ulivi. Ma come ha ben spiegato Gianfra­te, gli ulivi sono tecnicamente im­mortali. Se vengono tagliati o bru­ciati, sono in grado di rigermoglia­re da quel che resta dei loro ceppi o da una semplice radice rimasta celata nel terreno. Insomma, se anche i musulmani avessero di­strutto quell’orto (proprio in quanto luogo sacro ai cristiani), i crociati potrebbero aver trovato (Gianfrate lo ritiene molto proba­bile) dei cespugli incolti di olivi precedenti che, opportunamente curati, hanno generato i tronchi che oggi possiamo vedere. In ogni caso, essendo il loro Dna identico, sia nelle radici, che nel tronco e nelle foglie, significa che le otto piante hanno un’unica origine an­che nei loro ceppi predecessori. Origine che, è stato sottolineato in conferenza stampa, si deve comun­que a una mano che, traendo le ta­lee da un unico soggetto, potrebbe aver voluto perpetuare proprio quel preciso olivo (aveva forse un significato particolare?), non uno qualunque. E, seguendo questo ra­gionamento, considerando che le notizie storiche della coltivazione di olivo in quel sito risalgono al ter­so secolo a.C., la cura successiva di ortolani e contadini, anche per la sacralità del luogo, potrebbe aver portato alla singolarità del fatto che gli alberi di oggi siano genetica­mente identici (cioè gli stessi) di quelli di duemila anni fa. Ecco perché, ha ricordato padre Pizza­balla, «per ogni cristiano questi u­livi costituiscono un riferimento ’vivente’ alla Passione di Cristo». In questo senso «raffigurano il ’ra­dicamento’ e la ’continuità gene­razionale’ della comunità cristia­na della Chiesa Madre di Gerusa­lemme. Come questi ulivi, nel cor­so della storia sono stati piantati, bruciati, abbattuti e di nuovo ger­mogliati su una inesauribile cep­paia, così la prima comunità cri­stiana sopravvive vigorosa, anima­ta dallo Spirito di Dio, nonostante gli ostacoli e le persecuzioni».