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 2012  ottobre 22 Lunedì calendario

APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 22 OTTOBRE 2012

«L’amavo più della sua vita»: così si giustificò l’assassino di Stefania Noce, ventiquattrenne studentessa catanese di Psicologia uccisa il 27 dicembre dopo un amore finito. Mariella Gramaglia: «Femminicidio, parola una volta lontana, usata per le feroci esecuzioni di donne da parte dei trafficanti di droga messicani di Ciudad Juarez, è oggi entrata nel nostro lessico di europei sempre più incerti di noi stessi e della forza dei nostri valori. Non è accaduto per bizzarria ed esotismo, ma per dolore, per sdegno, per sottolineare che viene un momento in cui ciò che non si voleva guardare diventa un’ossessione della coscienza, che ciò che ad alcuni pareva sopportabile – uno dei tanti dolorosi dettagli della cronaca – prende il corpo di un’emergenza democratica, di una ferita al patto sociale che ci unisce». [1]

«Una volta l’uomo dominante uccideva la donna di cui si voleva liberare, ora la uccide perché ne è dipendente. Non riesce a essere lasciato» (il criminologo Francesco Bruno). [2] Le cronache raccontano storie che seguono quasi sempre le stesse modalità: i litigi, i soprusi, la sopraffazione crescente fino all’omicidio. [3] Il problema non riguarda solo noi. Gramaglia: «È un dramma della modernità, non dell’arretratezza, o meglio non solo dell’arretratezza. Su questo non possiamo darci consolazioni facili. Una zona buia dell’anima convive con l’epoca delle Cancelliere e delle Segretarie di Stato donna: sembra ignorarle e affondare nella preistoria. Nel 2009 in Finlandia, Danimarca e Norvegia ci sono state in media sette donne uccise ogni milione di cittadine. Un po’ di più che in Italia: da noi 6,57». [1]

L’ultima vittima italiana (la n° 100, 101 o 102 a seconda delle fonti) è la palermitana Carmela Petrucci, 17 anni. Figlia di Serafino, impiegato delle poste, e di Giusi Mercurio, dipendente della Regione Sicilia, graziosa, serena, brava a scuola («aveva voti altissimi»), il sogno di diventare medico, frequentava con la sorella Lucia l’ultimo anno del liceo classico Umberto I di via Perpignano (era avanti d’un anno sin dalle elementari) ed era appena tornata da un viaggio di studio di tre settimane a Brighton. Venerdì la nonna come d’abitudine andò a prendere le ragazze a scuola ma invece di entrare con loro nel portone di via Uditore 14 proseguì per fare la spesa al supermercato lasciandole davanti a casa. Lì comparve d’un tratto l’ex fidanzato di Lucia, un Samuele Caruso di anni 23 che alla fine della loro storia non s’era mai rassegnato e che da settimane la perseguitava con telefonate e sms. Lucia spaventata citofonò al fratello Antonio gridandogli di aprire in fretta il portone ma il Caruso la raggiunse nell’androne del palazzo, tirò fuori un grosso coltello e urlando e piangendo la colpì alla testa. Carmela per difendere la sorella si mise in mezzo e si beccò la lama dritta nel cuore (Lucia, ricoverata in ospedale, è grave ma non rischia la vita). [4]

Il delitto di Carmela Petrucci ha tratti tremendamente penosi, che lo sottraggono all’abitudine e alla statistica, e tuttavia appartiene al catalogo di quelli che l’hanno preceduto e che lo seguiranno. Adriano Sofri: «Un’epidemia che accomuna donne ammazzate, qualunque età abbiano, qualunque rango. Liceali con la media del nove e prostitute romene. Non sono loro a somigliarsi, ma i loro carnefici, uomini che uccidono donne, uomini che non sanno resistere alla perdita, e se ne consolano ammazzando, uomini che amano troppo per lasciar esistere fuori dal loro guinzaglio la donna che amano, uomini troppo orgogliosi per sopportare la ferita alla loro vanità». [5]

Sono tanti i siti che tengono il conto degli accessi e dei dettagli di questa epidemia, e si moltiplicano i libri che li ricapitolano. E però si moltiplicano anche violenze e uccisioni. Sofri: «L’orrore ha varianti infinite, e un’unica radice. Sono quasi sempre crimini di mariti, fidanzati, amanti, a volte padri e fratelli. Uomini che, una volta divenuti padroni di una donna — alla sua nascita, o al suo assenso, o alla sua conquista — non accetteranno più di esserne espropriati, da lei o da un rivale: che è lo stesso, perché ai loro occhi lei non esiste per sé, ma solo per un altro padrone. Hanno dalla loro, i poveri assassini di donne, una millenaria compassione, un’aura di grandiosità fatale e mai davvero sfatata». [5]

Anche quando si sono fatti chilometri con un coltello in tasca, si impiega il termine “raptus”: l’ha fatto anche Caruso, venerdì, quando ha detto al pm di aver perso momentaneamente la testa. Nella maggioranza di queste tragedie, minacce confidate o denunciate sono la norma. Sofri: «E nemmeno il più forte disgusto per la galera, quando non sia un modo necessario a impedire il male fatto ad altri, mi impedisce di pensare che occorra trattare come violenze — fino all’omicidio — già compiute le minacce e le molestie accertate vere e gravi di uomini alle “loro” donne. Salvo piangere il giorno dopo su una donna trucidata in un raptus con 50 coltellate dal “suo” uomo cui, tutt’al più, era stato consegnato un foglio che lo diffidava dal frequentare il quartiere della “sua” donna». [5]

La politica non è impotente, se vuole. Gramaglia: «Le volontarie del “Telefono rosa”, esaminando un campione di mille e cinquecento telefonate, hanno scoperto che il novanta per cento delle donne che le chiamano perché già colpite, picchiate, a rischio di vita, non denunciano il loro persecutore. I tempi del procedimento sono troppo lunghi, durano in media cinque anni, e nel frattempo la protezione per loro e per i loro bambini non è tale da rassicurarle». [1] Secondo Massimo Lattanzi, coordinatore dell’Osservatorio sullo stalking, la legge voluta dall’ex ministro per le Pari opportunità, Mara Carfagna, «non è efficace per contenere gli omicidi», che dal 2009 sono infatti in aumento. [2]

La legge prevede misure cautelari, l’ammonimento e anche il carcere, ma sono strumenti non efficaci. Lattanzi: «C’è bisogno di affiancare un percorso di risocializzazione, altrimenti continueremo a vedere casi di questo tipo. In Spagna hanno adottato un protocollo simile e si è registrata una riduzione del 50%». [2] Gramaglia: «Qualcosa potrebbe essere cambiato. I centri di sostegno contro la violenza potrebbero essere rafforzati e infittiti. È quello su cui preme anche la comunità internazionale, con la Convenzione di Istanbul che impone agli Stati più protezione per le vittime, sanzioni penali per i matrimoni forzati, robuste strategie di prevenzione». [1]

Il ministro Elsa Fornero (delega alle Pari Opportunità) l’ha già firmata. Gramaglia: «Peccato che nella seduta del 20 settembre, in cui il Senato avrebbe dovuto dare solennità al suo mandato, la discussione fu sospesa alla maniera di una riunione di condominio: il vicepresidente Domenico Nania era sparito, Rosi Mauro non poteva perdere un aereo e il presidente Schifani tardava a farsi vivo in aula. Non era mai accaduto nella storia della Repubblica. Brutto segno di un brutto Parlamento. Fornero è decisa a tornare alla carica il venticinque novembre prossimo, giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Intende chiedere la ratifica della Convenzione e presentare il suo programma in materia di violenza sulle donne. Non disperiamo. La politica qualche volta può anche essere una cosa seria». [1]

Note (tutte le notizie sono tratte dai giornali del 20/10): [1] Mariella Gramaglia, La Stampa; [2] Rosaria Talarico, La Stampa; [3] Corriere della Sera; [4] Felice Cavallaro, Corriere della Sera; Salvo Palazzolo, Alessandra Ziniti, la Repubblica; Romina Marceca, la Repubblica; Laura Anello, La Stampa; [5] Adriano Sofri, la Repubblica.