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 2012  ottobre 16 Martedì calendario

I PUNTATA 13/10/2012

Qui ballano miliardi di euro, altro che Fiorito o Finmeccanica. A Siena procede in gran silenzio un’inchiesta delicatissima sul Monte dei Paschi a cui, stranamente, nessuno mostra interesse. Eppure il filone portato avanti da tre pubblici ministeri e dal nucleo di polizia valutaria della Guardia di finanza sull’acquisizione di Antonveneta nel 2007, a un prezzo assolutamente folle, rischia di stravolgere il sistema bancario e politico nazionale.

Per cinque ordini di ragioni. Per l’iscrizione sul registro degli indagati del numero uno dei banchieri italiani, Giuseppe Mussari (che da presidente di Banca Mps curò l’operazione). Per la drammatica situazione in cui versa quella che fino a pochi anni fa era considerata la terza potentissima banca italiana.

Per l’indiretto coinvolgimento di più esponenti di primo piano del giro del governo Monti - ascoltati in qualità di persone informate sui fatti - come il ministro dell’Economia Vittorio Grilli (ex direttore generale del Tesoro all’epoca) e la presidente Rai Anna Maria Tarantola (a quei tempi funzionario generale di Bankitalia).

Per le ripercussioni inevitabili sul Pd nazionale, nato in contemporanea a quell’operazione, che da sempre, attraverso proconsoli toscani del Pci prima, Pds e Ds poi, «controlla» il Monte anche attraverso la sua Fondazione.

LA «CRESTA»
E infine per quel miliardo e passa di euro (forse più, forse due) che a detta degli inquirenti mancherebbe all’appello e a cui si starebbe dando la caccia dentro e fuori i confini tricolore, ipotizzando operazioni estero su estero con giganteschi ritorni illeciti. Ma di tutto questo nessuno parla.

Con preoccupazione se ne discute invece nei Palazzi del potere da quando, a maggio, l’inchiesta per aggiotaggio, manipolazione del mercato sul titolo azionario di Banca Mps e ostacolo alle attività di vigilanza, è deflagrata con le perquisizioni a Mussari (nel frattempo diventato presidente dell’Abi) di alti vertici presenti e passati di Mps indagati, di istituti di credito nazionali e soprattutto delle sacre, e fin lì inviolate mura, della storica sede di Rocca Salimbeni.

A quel punto la banca più antica del mondo, nata vent’anni prima l’approdo di Colombo nelle Americhe, nota per la sua storica solidità (e liquidità) e per quella «senesità» che un tempo univa dipendenti, funzionari e dirigenti, ha traballato più della certificazione di bilancio del 2011 con quel passivo impensabile solo pochi anni fa: quasi 5 miliardi di euro.

Con l’esplosione del bubbone giudiziario la città di Siena, la «banca rossa» e i referenti romani hanno preso atto che qualcosa era cambiato per sempre. E si sono resi conto che adesso, oltre a scandagliare nei segreti di Antonveneta, rischia di venire a galla anche la politica panem et circenses di distribuzione a pioggia del denaro secondo un diktat politico & bancario che non ha eguali al mondo: la generosa Fondazione Mps che controlla la Banca Mps essendone l’azionista di maggioranza, è infatti formata da più «deputati» espressi in numero di otto dal Comune, cinque dalla Provincia, uno dalla Regione. Tutti a guida Pd.

L’ENTUSIASMO DEMOCRATICO
Ma entriamo nell’inchiesta. Figlia della defunta Abn Amro, di proprietà della Santander di Emilio Botin, la banca del Nord Est viene acquistata nel novembre 2007 dal Monte dei Paschi spendendo 9 miliardi e rotti di euro che poi diventano 10,3 miliardi (a fronte di un aumento di capitale di cinque) quando appena due mesi prima gli spagnoli l’avevano comprata per 6,6 miliardi di euro.

Una plusvalenza di quasi quattro miliardi, che potrebbe ulteriormente salire se si trovassero riscontri alle indiscrezioni, tutte da dimostrare, di un altro bonifico partito lo stesso giorno per la Spagna. L’operazione valse al Santander il plauso dei mercati finanziari, soprattutto perché tenne per sé la partecipazione «Interbanca», il corporate di Antonveneta che valeva un 1,6 miliardi.

A Mps restò solo l’entusiasmo della stampa locale e tricolore, della triplice sindacale e dei maggiorenti Pd. A nulla servirono le proteste di impiegati e piccoli azionisti increduli su un’operazione che aveva dilapidato la Banca e la sua Fondazione, fatta in assenza di un’approfondita due diligence, con l’apertura ad hoc di un fresh da un miliardo di euro, sottoscrivendo un contratto a oggi mai reso pubblico.

In un’assemblea del 2008 questa operazione venne presa di petto da poche persone: «Si è comprata una banca - attaccò l’ex dipendente Romolo Semplici - pagandola molto più del suo reale valore, costringendo il Mps a svendere pezzi storici del proprio patrimonio e aziende con buona redditività e obbligando anche la controllante Fondazione a dissanguarsi con un esorbitante e imprevisto impegno finanziario».

VALEVA 2, PRESA A 9
A complicare le cose, tre anni dopo, arriverà la conferma del presidente uscente del collegio sindacale, Tommaso Di Tanno. Che ai soci rivelerà: «Il valore patrimoniale della banca era di 2,3 miliardi e fu acquistata per 9 miliardi. Non entro nel merito se il prezzo di 9 fosse appropriato...».

Nel merito, oltre a Semplici (vicino al centrodestra) hanno provato a entrarci pochissimi altri. Uno è Pierluigi Piccini, storica espressione del vecchio Pci, già sindaco di Siena, dirigente di Mps France prossimo alla messa a riposo («La nostra lista civica sbotta - più volte ha sollevato in consiglio comunale la questione Antonveneta, ma nessuno della maggioranza ci ha voluto ascoltare. Ecco il risultato»).

Un altro è Nicola Scoca, direttore finanziario della Fondazione Mps, che a Report (la trasmissione della Gabanelli su Rai3) ha raccontato di esser stato licenziato dopo aver presentato uno studio che sollevava perplessità sulle copiose, insensate, uscite di denaro. Poi, in questa città ovattata nel silenzio, ci hanno provato alcuni blogger locali (L’eretico, il Cittadinonline, Fratello illuminato, il Gavinone), Raffaele Ascheri autore di un volume su Mussari, il battagliero leghista Maurizio Montigiani, un ex comunista verace come Mauro Aurigi, ora del Movimento Cinque Stelle, l’avvocato Luciano Peccianti passato nel’Idv di quell’Elio Lannutti firmatario di numerose interrogazioni.

E infine Gabriele Corradi, papà del calciatore Bernardo, candidato di una lista civica sconfitto nella corsa a sindaco dall’ex parlamentare Pd Franco Ceccuzzi che definì l’operazione Antonveneta «un capolavoro di Mps». Rivela Corradi: «In una riunione dei capigruppo in consiglio comunale il presidente della Fondazione Mancini confessò che lui di Antonveneta era venuto a conoscenza solo dopo la sua acquisizione. Era gravissimo. Significava che la Fondazione era stata letteralmente bypassata dal presidente della Banca».

Che in quel momento era giust’appunto Giuseppe Mussari, ex comunista dichiaratamente Pd, ex presidente della stessa Fondazione, diventato poi nel luglio del 2010 presidente dell’Abi grazie alle sue innegabili doti e a capacità relazionali assolutamente trasversali.

Mussari, su cui pende la spada di Damocle del rinvio a giudizio per concorso morale in turbativa d’asta e falso in una vicenda collaterale legata all’ampliamento dell’aeroporto di Ampugnano (l’udienza davanti al gup è fissata per il 19 ottobre) ha sempre respinto ogni accusa e qualsivoglia insinuazione.

E con lui il Monte, che non ha risparmiato querele e azioni civili. Il successore di Mussari, Alessandro Profumo, dopo aver ricordato che quand’era ad di Unicredit gli venne «offerto di acquistare Antonveneta a un prezzo più basso» e che rifiutò «perché il costo mi sembrava alto», pochi giorni fa è tornato su Antonveneta dopo l’assemblea straordinaria che ha visto protestare i dipendenti-soci: «Ad oggi non abbiamo elementi per avviare azioni di responsabilità sulle passate gestioni di Banca Mps. Se li avessimo - ha detto Profumo - faremmo ogni azione necessaria per tutelare gli interessi della Banca. Quando il quadro sarà chiaro decideremo cosa fare». Più chiaro di così si muore, anche se si è in vita da prima di Colombo. (1. Continua)


II PUNTATA 14/10/2012
Trema la politica nazionale. Trema il mondo bancario. L’unico che sembra dormire tranquillo nonostante le scosse giudiziarie del terremoto in arrivo su An¬tonveneta sembra essere il nuovo presi¬dente di Banca Monte Paschi, Alessan¬dro Profumo. Il quale, sin dal suo arrivo a Rocca Salimbeni, parla il meno possibile di quell’operazione folle del 2007 condot¬ta personalmente dal suo predecessore Giuseppe Mussari, oggi al vertice del¬l’Abi, formalmente indagato dai pm di Siena.
alessandro profumoalessandro profumo

Profumo ha preso atto degli accer¬tamenti del valutario della Gdf, delle pro¬teste dei piccoli azionisti, delle perdite stratosferiche con le quali si ritrova a man¬dare avanti la baracca. Con un pizzico di perfidia ha solo ricordato che quand’era ad di Unicredit gli offrirono il gruppo cre¬ditizio del Nord Est a un prezzo più basso ma non lo comprò perché, a suo avviso, era comunque troppo. E solo una settima fa ha lasciato intendere che se dovessero emergere irregolarità nelle attività di acquisizioni con la ban¬ca spagnola che ha venduto Antonveneta al Mps, la «sua» banca si rivarrà sugli ammi-nistratori precedenti.
giuseppe mussari alessandro profumogiuseppe mussari alessandro profumo

Gli investigatori delle Fiamme gialle se¬guono come segugi l’odore di quei dieci mi¬liardi (il prezzo ufficiale del costo dell’ope¬razione) per cercare di ricostruire eventua¬li flussi di denaro collegati, verso Santander e non solo. In questa storia i conti sembra¬no non tornare tanto che ballerebbero, se¬condo gli inquirenti, altri miliardi dispersi in più rivoli. L’ex presidente Mussari ha sempre rivendicato la bontà della scelte parlando di un «ottimo affare» per Mps.

In ogni sede ha smentito doppi o tripli giochi tanto che in un’assemblea invitò a leggere il capitolo sui costi per l’acquisizione di An¬tonveneta riportati «all’interno del prospet¬to informativo dell’aumento di capitale » in¬viato alla Consob nel 2008. Più in particola¬re indicò le «fonti di finanziamento» che a suo dire si potevano rintracciare al capitolo «5.155 pagina 69 e seguenti».

Più d’uno lo prese in parola. E appurò che era vero che l’accordo prevedeva che Mps corrispondesse «al closing un corri¬spettivo pari a 9 miliardi, oltre gli interessi, oltre all’importo (ecc)»ma purtroppo poco più avanti vi era anche scritto: «Inoltre An¬tonveneta presenta, alla data del primo aprile 2008, un passivo di circa 7,9 miliardi di euro finanziato dalla controllante AAB che a seguito del closing dell’acquisizione sarà finanziato dal gruppo Mps. Banco San¬tander s¬i è già dichiarato disponibile a defi¬nire un piano di subentro graduale da parte di Mps nell’arco di un anno». Traduzione: quando Mps compra Antonveneta questa è indebitata per quasi otto miliardi e San¬tander, che di Antonveneta è proprietaria, si è messa d’accordo con Monte Paschi af¬finché quest’ultima subentri nel debito.

Dunque, oltre ai 9 miliardi e trecento milio¬ni di euro ufficiali (che poi diventeranno dieci) per l’acquisto di una banca che a sua volta Santander aveva inglobato appena due mesi prima pagandola molto ma molto meno (6,6 miliardi di euro), bisognerebbe sommare alle uscite per Antonveneta an¬che questo debito di 7,9 miliardi di euro. To¬tale: 17,9 miliardi di euro a fronte di un valo¬re patrimoniale «reale» della banca acqui¬stata non di 10 miliardi, non di 9 miliardi, e nemmeno di 6,6 miliardi (visto che gli spa¬gnoli hanno tenuto il corporate Interbanca che valeva un miliardo e mezzo di euro).

Bensì di appena 2,3 miliardi, se si dà retta a quanto riferito dall’ex presidente del colle¬gio sindacale del Mps, Tommaso Di Tanno. Lo stesso pure confessò che per un acquisto così oneroso la banca senese (che all’epoca ne capitalizzava 12,6 di miliardi di euro, e che per procedere dovette fare un aumento di capitale di 5) non aveva affidato preventi-vamente a un qualificato soggetto terzo una due diligence per stimare il reale stato dell’arte della banca oggetto di acquisizio¬ne.

Poi si scoprì che una specie di due dili¬gence in realtà era stata fatta, ma successiva¬mente all’acquisto, a cose fatte.L’affare An¬tonveneta, concluso a novembre 2007, ve¬niva formalmente ultimato nei primi mesi del 2008 grazie anche all’intervento della Fondazione Mps che al pari di Banca Mps poi pagherà carissimo quell’intervento. Di lì a poco il mondo entrerà nella sua crisi più nera dal 1929 per il crack Lehman Brothers. «Chi fa ricadere sul fallimento della banca d’affari americana i disastri di Mps - com-menta un investigatore - mente sapendo di mentire. Così non si fa un buon servizio alla verità».


III PUNTATA 15/10/20012
Un Monte di coincidenze. Come quelle incrociatesi sul finire del 2007 e inizio 2008 allorché in concomitanza con l’acquisizione a prezzi stratosferici di Antonveneta da parte della «banca rossa» Monte dei Paschi (su cui indaga la Procura di Siena) nasceva il Pd. Del neonato partito di centrosinistra costituivano l’ossatura due personaggi come D’Alema e Fassino, protagonisti proprio in quei giorni di violente polemiche col giudice Forleo di Milano per le intercettazioni sul tentativo di scalata di Antonveneta e sulle diramazioni collegate come quella Bnl-Unipol («abbiamo una banca»).

In quel preciso periodo, in realtà, una banca i Ds già l’avevano. O per meglio dire, gli uomini di riferimento del partito senese erano ai posti di comando come «deputati» della Fondazione Mps che controlla la Banca Mps al cui vertice, nemmeno a dirlo, vi era un uomo nato nella Fgci, cresciuto nel Pds, maturato nei Ds: Giuseppe Mussari, oggi presidente dell’Abi, un tempo dalemiano di ferro, dal 2001 al 2006 presidente della stessa Fondazione e che poi si autonominò, con poca eleganza anche a detta dell’amico-ministro Visco, presidente della Banca.
fassino dalemafassino dalema

Mussari oggi è indagato per Antonveneta. Sempre in quel tempo il Santander del potentissimo Emilio Botin sfilava l’Abn Ambro (che controllava Antonveneta) a Barclays dopo aver lanciato un’opa con Royal Bank e Fortis, prendendosi la parte di asset italiani. Il prezzo pagato dagli spagnoli per la banca del Nord est, si scoprirà poi, ammontava a 6,6 miliardi di euro. Ma il guadagno che Botin ricaverà nel rivenderla nemmeno due mesi dopo a Mps per 9 miliardi (che diventeranno poi 10) sarà gigantesco anche perché tenne per sé il corporate Interbanca che valeva 1,6 miliardi di euro.

Con una nota dell’8 novembre 2007 Mps annunciava trionfale il finanziamento della mega acquisizione che col tempo si rivelerà fatale per il suo antico patrimonio. «Non abbiamo pagato un prezzo caro. Siamo una banca sana e pensiamo di fare di Antonveneta una storia di successo», gongolava Mussari nonostante la Borsa avesse accolto la novità sospendendo Mps per eccesso di ribasso (meno 10 per cento). Con l’allora presidente gioì tutto il Pd a dimostrazione di una commistione fortissima tra sportelli e politica.

Tra i più felici c’era Romano Prodi: «La cosa in sé della creazione del terzo gruppo bancario italiano è certamente da vedere con occhio positivo. Dal punto di vista strategico ne ho un’impressione positiva». Più che entusiasta dell’acquisizione Antonveneta Walter Veltroni, che due mesi dopo verrà premiato proprio da Mussari al premio Frajese sul giornalismo, attaccato frontalmente da Riccardo Pedrizzi, allora segretario della commissione Finanze della Camera: «La vicinanza dei vertici dell’istituto senese con la nomenklatura diessina non è un mistero, ma la speranza è che il neoleader del Pd, Veltroni, non utilizzi il controllo indiretto del nuovo gruppo per cercare di lanciare un’opa politico-elettorale in quelle zone, come il Triveneto, dove la Cdl negli ultimi anni ha cementato il proprio rapporto con la classe produttiva e imprenditoriale sulla sola base delle proposte politiche».

Anche l’ex parlamentare Pd ed ex sindaco Ceccuzzi fece fatica a trattenersi: «Antonveneta? Un capolavoro della banca senese, che è sempre più solida» (sic!). Il sindaco Pd in carica quell’8 novembre, Maurizio Cenni, ringraziò così Mussari e i vertici Mps: «Si tratta di una grandissima operazione che fa crescere la banca. Un’operazione fatta senza rumors e senza clamore, nello stile di Montepaschi. Faccio i complimenti a tutto il management».

La soddisfazione sua e della regione Toscana che rappresentava portò Claudio Martini, dal lontano Messico, a dirne di belle anche lui: «Questa acquisizione fa del Monte una delle principali realtà bancarie del Paese e consentirà di svolgere un ruolo ancora più importante a sostegno della crescita dell’economia toscana e nazionale». Per la cronaca: Comune e Provincia di Siena e Regione Toscana, guidate dal centrosinistra, hanno da sempre rappresentati nella Fondazione.

E che dire dei fin troppo timidi sindacati che solo oggi, con la banca che affonda, attaccano i vertici del Monte dissanguato dall’operazione Antonveneta: «Esprimiamo grande soddisfazione - recitava una nota della Fabi, Cisl, Cgil-Fidsac, Uilca - per un’operazione che consente di concretizzare in maniera effettiva la costituzione di un terzo polo bancario all’interno del panorama domestico, mettendo al riparo la Banca da speculazioni mediatiche e finanziarie. I lavoratori della Banca e del Gruppo hanno ampiamente contribuito alla realizzazione di questo basilare obiettivo».

La Fisac-Cgil, da sola, aggiunse: «È la migliore risposta alle tante maliziose accuse del passato, si può crescere mantenendo forte il valore dell’autonomia e del radicamento territoriale (...)». Tra i pochi che in quel festeggiare scomposto provarono a lanciare l’Sos furono pochissimi rappresentanti di liste civiche e piccoli azionisti.

Da Roma tuonò Giorgio Jannone di Forza Italia, che anche a nome del partito dettò queste precise righe alle agenzie di stampa: «Con la fusione Mps-Antonveneta la sinistra completa il suo piano, già da tempo in atto, finalizzato a monopolizzare e controllare il sistema bancario italiano. La possibilità di concedere affidamenti e l’enorme patrimonio gestito dalle banche di sinistra costituiscono una sorta di potere assoluto sul sistema produttivo del Paese. Dalla scalata di Unipol in avanti ma anche da altre vecchie operazioni, Prodi ha saputo abilmente concentrare tutto il suo controllo su buona parte del credito italiano».

Com’è andata a finire è noto a tutti. Sulle macerie della banca più florida italiana son scoppiate liti fratricide e guerre per banche tra ex Ds ed ex Margherita che si rifanno, chi uno chi l’altro, ai big del Pd. Da Rosy Bindi (amica della moglie di Profumo) al potentissimo consigliere regionale Alberto Monaci, da Giuliano Amato (che in queste terre è stato eletto oltre ad aver rischiato di diventare presidente della Fondazione Mps) al tandem D’Alema-Bersani, da Franco Bassanini, presidente della Cassa Depositi e Prestiti e della Fondazione Astrid, all’ex ministro ed ex rettore dell’università di Siena, Luigi Berlinguer. Che si è ritrovato il figlio Aldo consigliere della banca strapagata a Santander e lui stesso candidato l’anno successivo alle Europee nell’area Nord est. Quella di Antonveneta.







ALTRO 14/10/2012
Di come (e di quanto) s’è ridotto il Monte dei Paschi, oltre che negli uffici della procura di Siena e in quelli del nucleo di polizia valutaria della Guardia di finanza si discute nelle affollate assemblee dove fino a pochi anni fa, alla presenza dell’avvocato-banchiere Giuseppe Mussari non volava una mosca.

I piccoli azionisti che dissentivano si contavano sulle dita di una sola mano, ora però, con l’arrivo del nuovo presidente, Alessandro Profumo, l’andazzo è cambiato perché la sciagurata operazione Antonveneta ha fatto precipitare le cose provocando le prime crepe in quel sistema di potere che governa l’istituto di credito, la città rossa e di riflesso il Pd nazionale a cui Mussari era legatissimo.

Con la magistratura impegnata a leggere le tonnellate di carte sequestrate al Mps e a casa degli indagati eccellenti, con la Consob che spulcia nei conti della sede di Rocca Salimbeni, con Bankitalia che ha appena terminato una lunga ispezione ed ha disposto l’avvio di un procedimento sanzionatorio amministrativo verso i componenti del Cda e dell’allora collegio sindacale, ormai si moltiplicano le richieste di spiegazioni sulle elargizioni a pioggia, i passivi miliardari, le operazioni boomerang che hanno dilapidato copiosi patrimoni e riserve miliardarie accumulati sin dal 1472.

Chi un tempo plaudiva ad Antonveneta oggi prova lentamente a riposizionarsi insieme a certi sindacalisti in evidente imbarazzo visti i rischi concreti per i lavoratori. La Triplice che oggi minaccia scioperi contro un piano industriale figlio del disastro Antonveneta che prevede oltre 4mila uscite e un’esternalizzazione dei servizi di back office prodromica a mettere fuori dall’istituto 2.300 dipendenti, così l’8 ottobre 2007 si spellava le mani: «Esprimiamo grande soddisfazione per l’operazione Antonveneta che si inquadra perfettamente all’interno di strategie previste nel piano industriale 2006-09 (...) il positivo esito dell’operazione conferma la validità del sistema di relazioni sindacali all’interno del nostro aggregato creditizio».

Nell’ultimo incontro col nuovo presidente all’auditorium di viale Mazzini l’aria fra i 4mila presenti si tagliava col machete. Son volate parole grosse, accuse pesanti, lacrime,spintoni, slogan feroci specie dai leghisti Giusti e Montigiani (mai interrotti dal neopresidente Profumo) contro l’ex dipendente Asl Gabriello Mancini, presidente della Fondazione, di fatto impossibilitato a motivare le ragioni che hanno spinto l’ente ad approvare la delega al Cda per l’ennesimo aumento di capitale e le relative modifiche allo statuto.

Un delirio. In questo Titanic impazzito Profumo è stato ad ascoltare i rilievi mossi dai pionieri della protesta che ricordavano come nell’ultimo decennio la Fondazione è finita affogata dai debiti dopo aver distrutto un patrimonio mobiliare e immobiliare immenso.

Lo storica voce libera dell’associazione Pietraserena, Romolo Semplici, ha prima chiesto le dimissioni dei membri della Fondazione, poi ha arringato: «Come mai nessuno si è accodato alle battaglie di alcuni piccoli azionisti che cercavano di bloccare le scellerate decisioni sulla privatizzazione della Banca, sulla Banca 121, soprattutto sull’acquisizione Antonveneta, sulla distruzione del prestigioso marchio Banca Toscana e via dicendo? Solo ora si accorgono che certe operazioni hanno portato al dissesto della Banca (...). E dunque Profumo cerchi di fare chiarezza sui disastri compiuti, renda pubblico ilcontratto Antonveneta e le operazioni collegate, anche quelle più misteriose».

C’è chi ha ripreso, ricordato e riproposto l’affondo portato nella precedente assemblea di bilancio dal socio Norberto Sestigiani «dell’associazione azionisti Buongoverno Mps». Il quale aveva reso pubblica una fitta e reiterata corrispondenza con l’ex presidente Mussari dove il «padrone» rassicurava ogni volta il socio- interlocutore sulla bontà dell’operazione con Santander e sulle prospettive di Mps. Fino a quando Sestigiani non s’è stufato e in assemblea ha snocciolato numeri e cifre di «una gestione che eufemisticamente può essere definita spensierata».

A proposito di Antonveneta il socio rivelò sempre in assemblea che oltre a non esser stata effettuata una due diligence prima dell’accordo, dopo la firma «era stato consentito all’emittente di effettuare una verifica conoscitiva sulle principali tematiche contabili, fiscali e legali di Antonveneta». Dopo l’accordo, non prima. Senza senso.

L’ottimismo espresso da Mussari in varie assemblee, a detta del socio, si scontrava però con ben più evidenti timori espressi nel «documento di registrazione alla Consob» del 19 giugno 2008. A dimostrazione della drammatica situazione del Monte, Sestigiani analizzò e singole voci del bilancio 2011 a uso e consumo di tutti i soci. Il risultato venne definito «disastroso da un punto di vista economico, patrimoniale e finanziario».

Chiosò:«Fu soprattutto il frutto del dissennato affare Antonveneta e della spensierata gestione di questo quinquennio (...). Fu chiesto invano all’(ex) presidente Mussari e all’(ex) presidente del collegio sindacale Di Tanno di precisare se consideravano ancora la redditività complessiva negativa per 8,4 miliardi sintomo di sana e prudente gestione».

Insomma per capire cos’ha significato Antonveneta va detto che l’impegno finanziario complessivo sarebbe stato, alla fine, di 18 miliardi di euro (pari a una manovra finanziaria). Il Monte ne aveva trovati 8 con gli aumenti di capitale e gli strumenti ibridi del 2008, oltre a 2 miliardi che ipotizzava di trovare con cessioni di asset. Ne mancavano però ancora 8, così fu fatto ricorso ai Tremonti bond per quasi 2 miliardi, nel 2011 fu fatto un ulteriore aumento di capitale di altri 2 miliardi, poi una cessione consistente di immobili (Casaforte o Chianti) di 1,7 miliardi, quindi una nuova operazione col Tesoro di 1,5 miliardi e ora, con una strana fretta, un nuovo aumento di capitale di un miliardo...


ALTRO II 15/10/2012

Con il Monte dei Paschi a rischio di crac e un piano industriale lacrime e sangue, non ci saranno più soldi per finanziarie club senesi a caccia di scudetti e coppe. Le stesse contrade, lo zoccolo duro della migliore tradizione cittadina, verranno inevitabilmente penalizzate. Complice il flop miliardario di Antonveneta e la politica panem et circenses del suo ex presidente Mussari, la pacchia stavolta può dirsi finita. Addio faraoniche campagne di sponsorizzazione. Bye bye sogni di gloria (sportiva). Le rasoiate del nuovo ad Fabrizio Viola sono state annunciate sui contratti in scadenza, perché i sacrifici devono essere spalmati dentro e fuori l’azienda, sostiene, e su tutte quelle «spese che la banca in questo momento non si può permettere». A cominciare dalle sponsorizzazioni. Non male come inversione di tendenza rispetto al dispendioso indirizzo d’immagine dato dal predecessore di Profumo. Costruito anzitutto con la strepitosa saga della Mens Sana Basket Siena, la corazzata della pallacanestro che ha inanellato 7 scudetti in otto anni, Coppa Italia e Super Coppa. Un trionfo dovuto anche agli 80 milioni di euro che Mps ha assicurato, negli ultimi cinque anni, per il pagamento degli stipendi dei giocatori e per le grandiose campagne acquisti. Il gigantesco contratto di sponsorizzazione scadrà nel 2014, ma la società ha già intuito che è meglio attrezzarsi per tempo con una cura dimagrante: le star del parquet e il coach hanno cambiato casacca. La spending review bancaria inaugurata da Viola non è solo una questione di numeri, ma anche – e soprattutto – d’immagine. Quanto potrebbe essere difendibile Mps costretto ancora a indebitarsi rispetto a campagne onnivore e bulimiche che hanno spaziato dal rugby (il Viadana) al baseball (il Grosseto), dalla pallavolo (il Top team volley Mantova) alla serie A? Col Siena Calcio, nel 2011, Mps ha firmato un super-contratto da 7 milioni di euro all’anno, il quinto più alto di tutta la serie A, il doppio della media incassato delle altre squadre (3,4 mln). Una squadra di una città di 55mila abitanti che – secondo un’indagine di Sporteconomy - prende più soldi di Roma e Fiorentina, e meno solo di Milan, Juve, Inter e Napoli. Oltre ad essere sponsor, Mps è anche «finanziatore» del club e fino a poco tempo fa sovvenzionava pure la formazione femminile. Dalla stagione 2008/2009, subentrando alla controllata Banca Agricola Mantovana, l’istituto è diventato sponsor del Mantova FC. E dal 2011, il marchio Mps è finito sulle maglie dell’Atletico Arezzo. Milioni investiti «fashion» anche sul marchio di nascita della banca: 1472. Il brand è infatti finito su bottiglie di vino e su una linea di abbigliamento. Stando alle voci di bilancio «pubblicità, sponsorizzazioni e promozioni» Mps tocca il top nel 2010 con 66 milioni, che diventano 58 nel 2011 quando nel 2009 erano 51, 49 nel 2008. Nel campo delle manifestazioni e degli eventi sportivi è imbattibile, basta vedere i beneficiari dei bonifici. La voglia di farsi conoscere è tanta anche dove non ce ne sarebbe bisogno, visto che la sigla Mps, a Siena, è tutt’altro che sconosciuta. Recentemente - scrive il sito Linkiesta - la banca ha acquistato per 10mila euro più inserzioni pubblicitarie e spazi espositivi alla festa del Pd a Siena. Nessun guru del marketing sarebbe arrivato a tanto.GMC



ALTRO III 16/10/2012


Il suicidio di Antonveneta avvenuto nel 2007 per volontà di Mps che pagò 10,3 miliardi di euro l’istituto del Nord est che solo due mesi prima era stato acquistato da Santander per 6,6, ha lasciato interdetta anche la stampa internazionale. La testata-regina della City, il Financial Times, ha riservato per prima a Rocca Salimbeni un approfondimento che ne ha evidenziato la fragilità finanziaria paventando il rischio di una «nazionalizzazione totale o parziale» della banca. In quanto l’istituto non sarebbe nelle condizioni di presentare piani credibili per il miglioramento del proprio capitale. Per il giornale londinese l’origine dei guai andrebbe ricercata nell’acquisto di Antonveneta, la cui valutazione è stata definita eccessiva «anche per i tempi in cui fu effettuata». La due diligence del Ft si è spinta, in realtà, ad analizzare il complesso di relazioni che l’azienda ha creato, in mezzo millennio, col territorio e con i soggetti economici locali. Un rapporto di simbiosi che ha favorito, da un lato, una crescita esponenziale di un pil locale tra i più alti d’Europa ma che ha anche creato le condizioni di una generalizzata «pigrizia economica» pericolosa per l’affermazione di «meritocrazia e innovazione». Perché, un sistema come quello senese, ha sintetizzato il Ft, è un semplice scambiarsi soldi tra amici.In realtà, che esista il rischio di una perdita di controllo sull’istituto, da parte degli azionisti, ha confermato al Wall Street Journal lo stesso Ad di Mps, Fabrizio Viola (nel tondo), quando si è soffermato, in una recente intervista, sulla necessità di «rivitalizzare la banca» e di «ottenere un livello di rifinanziamento necessario a ripagare il debito nei confronti dello Stato in un tempo ragionevole». Il top-manager si riferiva ai 3,4 miliardi di Monti bond sottoscritti dal Tesoro che hanno dato un po’ di ossigeno all’istituto per muovere qualche pedina. Anche per la «bibbia» della finanza yankee, i guai sono iniziati con Antonveneta, un’operazione che ha indebolito la tenuta finanziaria di Mps costringendolo a un indebitamento che oggi si sta rivelando una zavorra insopportabile. L’acquisizione di Antonveneta è stata fatta da «gente, che evidentemente s’intendeva poco di mercati finanziari, e molto di storia del Palio, di contrade e di altre cerchie di potere», è stato lo sferzante commento del settimanale Der Spiegel tradotto per i concittadini senesi dal blog Il Santo. I tedeschi si chiedono quello che oggi si chiedono tutti: perché a Santander i manager senesi «offrirono, non richiesti, due miliardi in più» in una gara al rialzo che ha costretto Mps a finanziare l’acquisto di Antonveneta «anche con un aumento di capitale di cinque miliardi di euro, da reperire presso gli azionisti»? Già, perché? GMC


ALTRO IV 16/10/2012
Sudava, e non solo per la prima calura estiva. Quel 6 agosto del 2010 l’ex numero uno della banca Monte Paschi di Siena e presidente dell’Abi, Giuseppe Mussari, sulla scia delle indiscrezioni di un’inchiesta che lo riguardavano da vicino, a malincuore fu costretto ad annunciare alla stampa di aver «ricevuto una informazione di garanzia dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Siena» con la quale veniva informato «di essere sottoposto a indagini per concorso morale in ordine ai reati di falso e turbativa d’asta, relativamente alla procedura di privatizzazione dell’aeroporto di Siena», per la precisione ad Ampugnano, località Sovicile.
Il neo presidente dell’Abi aggiunse di ritenersi «assolutamente estraneo alle ipotesi di reato ipotizzate dalla procura di Siena» ed esprimendo ciò che esprimono tutti gli indagati d’Italia, proclamò di «avere la massima fiducia nei confronti della magistratura senese». Fu un brutto colpo per il rampante avvocato arrivato nella città del Palio dalla lontanissima Catanzaro, e qui cresciuto a pane e Pci, diventato poi adulto scalando coi Ds prima e il Pd poi i piani alti della banca più antica del mondo pur non essendo – lo ammise lui stesso – un banchiere. L’inchiesta che lo vedeva indagato insieme ad altre 15 persone, e che il prossimo 18 ottobre rischia anche di vederlo alla sbarra se il Gup riterrà la sua posizione meritevole di un processo, aveva preso il là due anni prima con ricorsi al Tar e presentazioni di esposti, il più duro stilato dal Comitato contro l’ampliamento dello scalo senese. Questi 16 indagati, chi più chi meno, in tempi e situazioni differenti, avrebbero avuto un ruolo rispetto alle poco limpide procedure con le quali nel 2007, l’annus horribilis dell’acquisto a 10 miliardi di euro di Antonveneta voluta da parte di Mps (cioè di Mussari), venne trovato il partner privato della società di gestione Aeroporti di Siena formata da Comune di Sovicile, Comune e Provincia di Siena, Camera di commercio di Siena, Aeroporto di Firenze e ovviamente Banca Mps. L’oggetto delle investigazioni riguardava il sospetto che il vincitore finale dell’appalto, e cioè il fondo di investimenti francese Galaxy di proprietà della Cassa depositi e prestiti, avesse goduto quantomeno di una corsia preferenziale rispetto ai concorrenti. E i primi sentori di ciò agli inquirenti erano arrivati scoprendo contatti e frequentazioni, precedenti alla pubblicazione dell’ «invito a manifestare interesse» per la gara, tra Galaxy e più soci dello scalo aeroportuale a 20 chilometri da Siena. Rispetto alle consistenti modifiche di ampliamento ipotizzate per lo scalo (da 5mila a 100mila passeggeri) i dirimpettai dell’aeroporto alzarono le barricate guidati dall’erede del conte di Durham, Fred Lambton, arrivando a manifestare davanti alla National Gallery di Londra che ospitava una collettiva di maestri rinascimentali senesi. La chiusura delle indagini, a fine novembre 2011. Tra gli indagati anche il consigliere della Cassa depositi e prestiti Luisa Torchia, catanzarese come Mussari, già con incarichi in Mps, plurintercettata, che proprio per questo incidente – si dirà – verrà stralciata all’ultimo momento dalla lista dei ministri (Funzione Pubblica) del nascente governo Monti. Indagato per falso in atto pubblico invece l’Ad dell’aeroporto di Siena, Claudio Machetti, oggetto di telefonate con quel Mussari che nei momenti caldi dell’affare – annota la Gdf che ascolta le chiacchierate tra i due - si incontra con il senatore Pdl Franco Mugnai (mai indagato, vicinissimo all’ex ministro dei trasporti Altero Matteoli) beneficiario di una consulenza da 250mila euro pagata, a fronte di regolare prestazione, dall’aeroporto di Ampugnano. Lo stesso Matteoli ammetterà di essersi interessato allo scalo convocando una conferenza dei servizi. Quando carabinieri e finanza irrompono nella Banca, nella Fondazione e all’Enac, oltre che nel suo ufficio, Mussari sbotta al telefono, sempre con Machetti: «Sono disposto a capire quando si parla della gente che ruba o prende mazzette o si corrompe ma in questo caso non si vede come si possa agire così». E dal brogliaccio sintetico delle intercettazioni così conclude lo sfogo: «A volte dice (Mussari, ndr) che gli viene voglia di non fare nulla per questo Paese». Un mese dopo sarà presidente dell’Associazione bancaria italiana. Nelle carte dell’inchiesta spuntano anomali dettagli che hanno fatto riflettere, e molto, gli investigatori. A un certo punto si dà conto dell’esame del computer personale del presidente della banca del Monte dei Paschi sequestrato da carabinieri e finanza. Nel libro Mussari Giuseppe, una biografia non autorizzata di Raffaele Ascheri si legge: «Una volta analizzato il contenuto gli inquirenti si accorgono di una cosa alquanto strana: c’è tutta la corrispondenza pre-estate 2007 e tutta quella successiva. La gara d’appalto è del 10 settembre 2007. Tutta la corrispondenza della lunga e calda estate 2007 è letteralmente evaporata». Scrivono gli investigatori: «Durante la consultazione della copia certificata su hard disk esterno (…) emergono dubbi circa il fatto che siano state rimosse volontariamente e-mail nell’arco temporale che va dal 29 giugno al 13 ottobre 2007 (…). Per tale motivo – continuano gli inquirenti – stante le precedenti perquisizioni già eseguite nei primi mesi del 2010 nei confronti di dirigenti di Banca Mps e Fondazioni Mps quali Rizzi Raffaele (l’avvocato del gruppo) e Biscardi Lorenzo, siano state cancellate mail riguardanti l’argomento aeroporto di Siena». L’inchiesta, corposa e complessa, nel giugno scorso approda alla richiesta di rinvio a giudizio per Mussari. La procura di Siena fa sapere di aver anche informato i consigli dell’ordine degli avvocati di Siena, Roma e Milano e che per l’avvocato-presidente dell’Abi e per l’allora capo dell’ufficio legale di Monte Paschi «è stata esercitata l’azione penale». Adesso la parola passa al gup che venerdì dovrà esprimersi sull’indagato eccellente e sui coindagati minori, tra i quali il responsabile della procedura di selezione dei candidati dell’appalto di Ampugnano che dalle perizie tecniche risulta presente quando in realtà le celle del cellulare lo posizionano altrove.