Malcom Pagani, il Fatto Quotidiano 19/10/2012, 19 ottobre 2012
EMMANUELLE, UNA VITA LUNGA UN PORNO
Sylvia non c’è. È andata via. Con un cognome, Kristel, che sapeva di pietra preziosa e un’esistenza più maledetta delle sue interpretazioni. Venti giorni fa, per il 60° compleanno passato in un letto d’ospedale, magra, spenta, sofferente, era scomparsa anche l’illusione di epifania che tante volte l’aveva fatta risorgere. Un ictus. Un cancro nel cappello. Il ricovero a Parigi. Adieu.
ERA UN’ATTRICE, Sylvia. E a volte il palco illudeva. Spostava l’orizzonte. Per anni, indossando la mesta, indiscutibile bellezza dei predestina-ti, aveva generosamente alternato il panorama. Le droghe, il nichilismo, la bottiglia. I matrimoni, i buoni propositi , i nuovi inizi. La dissoluzione e il repentino cambio di quadro cercato con l’incoscienza degli olandesi volanti perché ancor prima di diventare per sempre Emmanuelle, Sylvia Kristel da Utrecht (disegnatori, filosofi, calciatori leggendari) è stata una ragazza assediata dalla curiosità di 300 milioni di persone. Con il seno botticelliano, la collana di perle al collo e la religione della conquista compulsiva, Kristel arrivò sugli schermi italiani a un anno da Gola Profonda. Se l’insoddisfazione di Linda Lovelace metteva in secondo piano l’immaginazione proiettando in primo piano cazzi, cazzotti ed eversioni fino ad allora relegate al matinée per militari, i viaggi transcontinentali di Sylvia, gioco di seduzione tra toilette della Twa a 10.000 metri, foreste filippine e bordelli thailandesi, danzavano tra l’estenuante liturgia del corteggiamento , la sottile linea a luci rosse della ninfomania e l’ambiguità di un volto nordeuropeo prestato alle lubriche suggestioni di stampo sudasiatico. Si finiva comunque sdraiati, nudi, a volte in più di tre, ma nell’effetto flou, nella musica di atmosfera e nel gemito riprodotto in una sala d’incisione, non pulsava l’erotismo de L’impero dei sensi, né il mistero dell’appartamento sfitto di Bertolucci in cui Maria Schneider, ballato l’ultimo tango, entrò per non riconoscersi più. Si è detto che a Kristel, inchiodata dall’essere Emmanuelle, fosse capitata la stessa cosa. Un film. Un’ossessione.
L’INCAPACITÀ di distinguere il falso dal vero. La recita dalla realtà. Ma Sylvia, con una collezione da incubo di soprusi subiti da bambina, cadute, inclinazioni più mutevoli delle stagioni, in lotta con la propria identità era già entrata da molto tempo. Il cinema le servì per provare a disegnarne una parabola diversa. In una dimensione indefinita, costretta a imparare un copione elaborato dall’altrui fantasia, come già era capitato a un’altra Emmanuelle, Arsan, costretta a firmare l’o-minimo libro primigenio del ’69 scritto dal marito diplomatico e guardone, Louis-Jacques Rollet-Andriane e poi a essere se stessa nel-l’introvabile “Laure”. Una storia nella storia, un romanzo d’appendice, un foglietto-ne che alla Kristel, prestata anche a una doppia apparizione nell’ultimo lampo di Luigi Zampa (Letti Selvaggi, 1978, sceneggiatura degli 8 episodi firmati da Tonino Guerra) in cui tra Ursula Andress e Laura Antonelli, Benigni arrancava da Preside scolastico e Sylvia da moglie di Enrico Beruschi, interessava poco. Il film uscì nell’81, lo stesso anno di Lezioni maliziose, un Grazie zia più spinto che vide alla fotografia il futuro regista Jan De Bont (Speed, due Oscar) e i pretori di mezza Europa scatenati nella censura. Per le scene di sesso tra la 28enne Kristel e il 16enne Eric Brown (in realtà interpretate da una controfigura), Sylvia venne accusata di pedofilia, prosciolta e poi ritornò sul luogo del delitto per il malinconico, delirante settimo episodio di Emmanuelle e in Italia, per Maurizio Zaccaro, produzione Rai ambientata a Torino, Le ragazze dello swing. Sul sogno del suo corpo, con una emme in meno per ragioni di copyright, in una stagione ribalda e pauperistica del nostro cinema, si stesero in molti. L’epopea di Emanuelle con l’alter ego di Sylvia (Laura Gemser) “la Louisiana che sembra Sabaudia e infatti è Sabaudia” (Marco Giusti) e le sue varianti titolistiche (Emanuelle e la sorellina, Emanuelle e gli ultimi cannibali, Emanuelle e le porno notti, poi bianca, nera, in America persino) servì solo a confondere il suono originale. “Emmanuelle, la plus longue caresse du cinema francais”. Lenzuola. Sipario.