il Fatto Quotidiano 19/10/2012;, 19 ottobre 2012
D’ALEMA PRONTO AL PARTITO NUOVO
Massimo D’Alema è pronto a costruire un nuovo partito nel caso l’attuale cadesse nelle mani di Matteo Renzi. È deciso a timbrare con la sua opera un nuovo simbolo sulla scheda elettorale, il simbolo di una formazione autenticamente socialdemocratica, “perchè la sinistra esiste in natura” e non può essere destinata a divenire un rottame del Novecento, deglutita nelle fauci di questo fiorentino e del suo pop stil novo. È pronto dunque a scommettere che il Partito democratico esploderà, cadrà in una sanguinosa guerra civile, se dovesse accadere l’irreparabile, l’evento politico più disastroso di questo nuovo secolo: la caduta di Bersani, la vittoria dell’altro. Del nemico. Ieri, anche ieri come oramai accade ogni giorno di questa lunga e sfibrante disfida, Renzi ha proseguito nel suo incedere. La caduta del Lider Maximo coincide con la conclusione “della fase uno della rottamazione” ha decretato un po’ militarescamente. Poi però l’ha definita “una scelta nobile”, si è rivolto a D’Alema chiamandolo “presidente” garantendo che “non ci sarà più mezza parola su questo argomento”. L’arresto del passo demolitorio di Renzi fa i conti anche con una valutazione politica: la rottamazione rischia di cancellare ogni altro carattere della contesa, impicca lo sfidante a quella parola e agevola per di più le caratteristiche del segretario. Lo aiuta anzi ad alleggerirsi del peso della nomenklatura, ombra che anch’egli considera troppo lunga. Perciò la riduzione di tono e forza della campagna demolitoria. Che comunque continua a mietere vittime e a sviluppare una singolare scia di sangue nel partito. Dopo Veltroni e D’Alema si attende che Rosi Bindi parli e dichiari la sua rinuncia. “Tu hai sessant’anni e non ne vivi altri sessanta. Quindi sta’ calma”. Sono le parole di Melfi, la mamma di Rosy. È la trascrizione dell’amore della mamma per la figlia, ma anche il timbro esatto del suo stato d’animo, della serenità che manca. La Bindi aspetta di parlare con Bersani per conoscere il suo destino. Fioroni, un altro dei candidati alla decapitazione, trova più humour. Renzi dice: “Non è che mandiamo via D’Alema e ci teniamo Fioroni”. Lui gli invia un sms: “Grazie per la stima, pensavo di non contare nulla”. Finanche Enrico Letta, giovane d’età ma già con qualche mandato sulle spalle, annuncia l’ultimo giro: dopo questa prossima candidatura nessun’altra in programma.
QUESTO il quadro di famiglia denso di dolore per un presente così incerto, in una casa che non sembra più ospitale. E questo quadro aveva preso in mano D’Alema quando aveva iniziato a pronunciare parecchie settimane fa l’infausta diagnosi, e a illustrare quell’intento, pronunciare quella parola fatidica nel giro anche largo degli amici. Si sorrideva insieme. “Non sai mai se D’Alema dice una cosa perchè la pensa e la vuol fare per davvero. Fino a ieri non credevo che avesse voglia, non lo pensavo così incapricciato e deciso. Oggi dico che ci siamo, si va”. Il deputato chiede l’anonimato, ed è comprensibile. Ma non è certo il primo che sa. E non è certo il solo a saperlo. È avvertito e consapevole Pier Luigi Bersani col quale D’Alema intrattiene rapporti formali, di buon vicinato e poco più. Non sono amici e lo danno a vedere. Alleati sì, però. E non è una cattiva notizia per il segretario avere un D’Alema belligerante: intanto ne godrà la sua dote elettorale e sarà certo utilissimo anche quell’apporto: Bersani e Renzi sono sostanzialmente appaiati, e la fotografia dell’oggi fa presagire un testa a testa formidabile. Si conteranno le schede fino all’ultimo. Ciascuno ha bisogno di ogni voto, di ogni spinta possibile. Se Renzi riesce a scovare simpatizzanti nell’antico mondo democristiano del secolo scorso e un vecchietto come l’ex sottosegretario Luciano Faraguti, noto a chi oggi viaggia sulla sessantina per la sua attività politica e le posizioni vicine a Donat Cattin, figurarsi il piacere del segretario del Pd di vedere schierato al suo fianco, con una determinazione finora non scontata, tutti i dalemiani: “La questione D’Alema la chiudiamo qui. Adesso abbiamo le primarie”, dice il segretario. Poi si vedrà. Nichi Vendola, il terzo incomodo nella sfida per le primarie, è poi il primo interessato all’eventualità che l’esplosione del Partito democratico, il bing bang prossimo venturo, ridia linfa e speranza al progetto di una nuova sinistra europea, per ora bloccato a un modesto 5 per cento, la cifra con la quale i sondaggisti accreditano la dote elettorale di Sel, la sua formazione politica. In qualche modo sono stati avvisati anche gli italiani e maggiormente i militanti del partito, i frequentatori delle feste dell’Unità, l’apparato largo dei funzionari e degli iscritti che si rifanno alla tradizione di Botteghe Oscure. “Ho cambiato radicalmente idea – comunica D’Alema due sere fa a Otto e mezzo, il programma de La7 - Bersani sa di avere la disponibilità del mio seggio in Parlamento... Se dovesse vincere Renzi sarà scontro totale”. Domandano in studio: in quel caso esplode il Pd? Lui risponde con un laconico: “Non so”. La novità di queste ore è la conversione di quel dubitativo. C’era il sole e si fa pioggia improvvisa. Poco più di un mese di attesa: il 25 novembre si tiene il primo turno, agli inizi di dicembre, volendo comprendere anche il secondo turno di selezione, la scelta del candidato premier. Poi, in agenda, la battaglia campale. Antonello Caporale • LE TRUPPE DEL GENERALE MAX - Quel che resta del dalemismo basta e avanza per fare un nuovo partito. Le truppe ancora fedeli al Generale Massimo sono numerose, soprattutto al sud. Come nel Gladiatore, a loro basta solo un cenno del Capo per scatenare l’inferno. Seduto su un divano, nel Transatlantico di Montecitorio, il deputato Michele Bordo da Manfredonia, in provincia di Foggia, compulsa il suo iPad, alza lo sguardo e dice: “Nel vecchio Pci, un nostro sindaco non avrebbe mai pensato di rottamare Berlinguer”. Il paragone è servito.
La Puglia è la roccaforte degli irriducibili dalemiani. Seguono Basilicata, Campania, Calabria, Sicilia. Alle ultime europee i voti per D’Alema, gente che ha scritto il suo nome sulla scheda, sono stati 832mila. Un tesoretto, custodito da quadri locali del partito e ceto politico nelle istituzioni. La quasi rottura con Bersani, poi rientrata con il ripristino dell’accordo iniziale, niente deroga e incarico in Europa, ha comunque mutato la geografia del dalemismo. Questi giorni hanno sancito o confermato il “tradimento”, per esempio, del potente governatore emiliano, Vasco Errani, del giovane “turco” Matteo Orfini (nella segreteria politica di Bersani), dell’europarlamentare già socialista Gianni Pittella, lucano e vera macchina da voti. Tra i cosiddetti big, l’unica a non essere passata con gli ex fratelli bersaniani è stata Livia Turco, commovente nel suo slancio di fedeltà: “Via tutti tranne Massimo”. Quella della Turco è stata la sola voce di rango a levarsi in difesa dell’ex premier nelle ore della rabbia e dell’amarezza. Gli altri zitti, in silenzio. Eppure nella foto del dalemismo edizione 2008 erano davvero in tanti. L’ex premier radunò le sue truppe all’auditorium Massimo, a Roma. Obiettivo: contarsi nel Pd veltroniano. In prima fila: la Turco, la Finocchiaro, Bersani, Fassino, Visco, Latorre, Sposetti, la Pollastrini, Violante, Minniti, pure Bassolino. Per l’occasione, Michele Emiliano sindaco di Bari portò 800 concittadini in pullman. Di questa foto sopravvivono la Turco, appunto, e Ugo Sposetti, altro rottamato. L’ultimo ad andarsene è stato Nicola Latorre, altro pugliese.
Stavolta a organizzare le milizie nel tacco d’Italia è l’ex parlamentare Ugo Malagnino, noto per aver fatto ricorso allo stop del vitalizio e per la sua presenza alla famosa cena elettorale dalemiana offerta da Giampy Tarantini. È lui, Malagnino, l’animatore dell’appello a favore del Generale Massimo nella sua veste di “punto di riferimento del sud”. La raccolta delle firme prosegue incessante : da 500 a 700 infine a 1.200 per il momento. Ci sono, per esempio, il segretario regionale della Puglia, Sergio Blasi; il sindaco di Brindisi Mimmo Consales; quello dell’Aquila Massimo Cialente; il presidente della provincia di Potenza Piero Lacorazza. In Sicilia, plenipotenziario resta il massiccio senatore Mirello Crisafulli, mentre in Toscana resiste Michele Ventura, vicecapogruppo del Pd alla Camera, e nel Lazio, infine, non ha mollato, a differenza di tanti altri, l’europarlamentare Roberto Gualtieri. Nonostante le defezioni autorevoli, il dalemismo è vivo e pesa ancora molto. Dice Peppino Caldarola, ex direttore dell’Unità che sta scrivendo un libro intervista con D’Alema: “Massimo ha sempre avuto una concezione solida, non liquida, del partito. Dopo il disfacimento dei Ds, le casematte della sinistra rimaste in piedi erano tutte sue”. Oggi le condivide con Bersani. Raccontano che se i due avessero rotto fino in fondo almeno cento, tra deputati e senatori, sarebbero stati in bilico, indecisi. Fabrizio D’Esposito