Gigi Moncalvo, Libero 19/10/2012, 19 ottobre 2012
I SEGRETI DEGLI AGNELLI
Gianni Agnelli sapeva che stava per scoppiare l’indagine Mani pulite? Fu informato in anticipo di Tangentopoli e del fatto che era opportuno «schermare» le proprie attività, renderne più difficile la scoperta e quindi l’attribuzione a determinate persone fisiche, complicando e impedendo il lavoro di ricerca dei magistrati della Procura della Repubblica di Milano e di Torino con l’eventuale aiuto di rogatorie internazionali? (...) In ogni caso, anche se i magistrati – almeno nella prima fase–non ebbero troppi riguardi per la grande azienda torinese, a mano a mano che ci si avvicinava al vertice del Gruppo, venne meno una certa iniziale decisione, anche a causa degli ostacoli frapposti sia alla Procura di Milano, intenzionata a occuparsi da sola di quel filone di inchiesta, sia a quella di Torino, che rivendicava la competenza territoriale. Fino all’arresto del «numero tre» di Fiat, il direttore finanziario Francesco Paolo Mattioli, i magistrati non trovarono ostacoli. Poi, mentre si avvicinavano inesorabilmente e a grandi falcate, al «numero due», Cesare Romiti, l’in - chiesta subì un rallentamento. Forse perché si rischiava di arrivare a toccare anche il «numero uno», Gianni Agnelli? Per la Fiat comunque i processi sostanzialmente non andarono troppo male, e arrivarono solo a sfiorare Agnelli, grazie al famoso principio del «non poteva sapere» invocato dagli avvocati di Romiti. (...) Comunque sia, sei mesi prima che Antonio Di Pietro arrestasse in flagranza di reato il faccendiere socialista Mario Chiesa mentre incassava una tangente di 7 milioni di lire, dando così il via ufficiale a Mani pulite, Gianni Agnelli portò a compimento una misteriosa e complessa operazione segreta in Liechtenstein che poteva avere una sola spiegazione: impedire che si potesse ricondurre a lui stesso, almeno formalmente, la titolarità del comando del Gruppo Fiat. Il risultato fu che, per alcuni anni, a partire dal 1991 il controllo del gruppo privato più grande d’Italia non fu nelle mani dell’Avvocato ma di due altri veri avvocati, due autentici «prestanome », uno svizzero, l’altro del Liechtenstein. Uno di loro –il vero dominus dell’operazione – era ed è il riconosciuto e indiscusso «grande guru dell’offshore», il principale finanziere di fiducia del Vaticano, molto vicino ai due ultimi papi. Si tratta di Herbert Batliner, classe 1928, uno dei più potenti e conosciuti gestori di patrimoni al mondo, cittadino emerito del Liechtenstein, amico personale del principe Hans-Adam II, il sovrano del paradiso fiscale racchiuso tra le montagne tra Svizzera e Austria. L’altro «prestanome» è l’avvocato svizzero René Merkt, classe 1933, titolare di un affermato studio legale in rue du Général Dufour 15, nella città vecchia di Ginevra, un professionista che da sempre si occupa di diritto societario ad altissimo livello, di sofisticate architetture finanziarie, di operazioni high-fly in tutto il mondo. (...) Per alcuni anni il governo italiano, per di più formato da un gran numero di presunti tecnocrati scelti e imposti personalmente dal presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, si è comportato in modo davvero «strano», per non dire di peggio. Ha versato fiumi di denaro pubblico a un gruppo come la Fiat che, almeno formalmente, era di proprietà di un cittadino svizzero e di un suddito del Principato del Liechtenstein, per di più devoto «fiduciario del Vaticano». Suona davvero come una beffa che siano stati elargiti contributi di Stato, incentivi, agevolazioni, fondi per la cassa integrazione, privilegi fiscali, misure di «protezione» e altre forme di finanziamento o «regalo » (come l’Alfa Romeo), a una società che non era nemmeno... italiana, dato che era controllata da due prestanome stranieri.
La super donazione
Caro prof. Valletta, Le siamo e rimaniamo immensamente riconoscenti per quanto da Lei fatto in favore della Fiat e quindi anche nei confronti nostri e dei nostri famigliari. La sappiamo giustamente preoccupato nei confronti dei Suoi famigliari e soprattutto di Sua figlia per il caso di Sua morte o di Sua impossibilità a continuare nelle Sue prestazioni retribuite alla Fiat. In conseguenza Le confermiamo che nei deprecati casi di cui sopra ci impegniamo di corrispondere a Sua figlia Fede Valletta in Foccardi l’importo annuo di lire 50.000.000 (cinquanta milioni) pagabili a semestri maturati ed al netto di qualsiasi trattenuta od imposta, importo questo variabile nello stesso rapporto in cui varieranno in avvenire le retribuzioni impiegatizie in conseguenza delle variazioni del costo della vita. Il versamento di detta somma verrà fatto vita natural durante della sua figliola e verrà continuato a favore Suo personale nel caso che Ella dovesse sopravvivere a Sua figlia Fede. Terremo nel massimo conto il Suo desiderio a che Suo nipote Franco Fantauzzi possa succederLe nel posto di Amministratore (consigliere) nel Consiglio di Amministrazione della Fiat. (...) Gianni Agnelli e Marella Torino, 29 ottobre 1955 (...) Nel momento in cui quel documento viene firmato, alla fine di ottobre del 1955, Valletta ha 72 anni e da quasi dieci è il «numero uno» assoluto e incontrastato della Fiat, azienda nella quale era stato assunto nel 1921 come direttore contabile con contratto triennale. Non è un manager o un dirigente qualunque, ma l’uomo chiave di tutto l’impero Fiat, di quegli anni e non solo. Fin dal suo ingresso in azienda, Valletta aveva fatto dell’azienda una sorta di religione laica. Al punto che era solito dire: «La Fiat, la Fiat, la Fiat, poi la famiglia». La leggenda aziendale racconta che una volta il senatore Agnelli, costretto ad andare in ufficio anche il giorno di Natale, nel palazzo trovò solo quell’uomo piccolo di statura, Valletta appunto, e il sorvegliante. «St’om a fa par mi», quest’uomo fa per me, commentò il Senatore.
Lettere private
Edoardo Agnelli scriveva molte lettere. In esse, e nella scelta dei destinatari, c’è l’ostinata riaffermazione proprio di quel «ci sono anch’io». Cerca rispetto e ascolto fuori dall’ambiente familiare, rivendica la sua esistenza prima ancora del ruolo che non ha. (...) Edoardo non nasconde nulla: «Mio padre in terra lo amo perché so che in fondo è buono, anche se onestamente ormai papà non lo riconosco più. Non ho ancora trovato uno psicologo o prete o padre spirituale che sia realmente riuscito a comprendere il perché di questo suo continuo modo di comportarsi. È chiaro che ne soffro molto perché lo sto perdendo, sto perdendo completamente un rapporto umano con lui. E, di conseguenza, vedo tutte le cose care di famiglia per le quali nutro un obbligo interiore di tutela, andarsi, per le medesime ragioni, a sfasciare senza che veramente possa farci un granché». (...) «Questo perché succede? Eccoci al cuore del problema: la mamma. I motivi del suo comportamento sono due. Primo: fa così perché questa è una richiesta di attenzione su se stessa, perché (come molti, se non tutti) ha dei problemi. Secondo: la mamma conosce qualcuno che lavora in quei lavori infimi (finanziere d’assalto) che gli danno dei consigli fessi come ad esempio: «Metti tuo figlio in condizioni di farsi interdire quando e se l’Avvocato non ci sarà più! Fai che non tocchi mai i soldi e che non abbia un conto in banca».
I lati bui del Lingotto
La Fondazione del Lingotto è stata costituita il 7 marzo 2002 a Torino. (...). La cronologia di alcune fasi che precedono l’inaugurazione della Pinacoteca suscita perplessità e fa venire in mente qualche cattivo pensiero.La Fondazione è stata costituita il 7 marzo 2002, ottiene il riconoscimento legale della prefettura il 22 maggio, conta su un patrimonio di soli 105mila euro (97mila dei quali versati da Gianni Agnelli e mille euro ciascuno dagli altri otto fondatori), ma non dispone ancora di nessun dipinto. A colmare questa fondamentale lacuna provvede l’11 luglio solo Marella Agnelli. Dona tre tele. (...) Gianni Agnelli sorprendentemente non dona nulla, mentre sarebbe stata logica una sua iniziativa in contemporanea con la moglie. Che cosa sta succedendo? L’Avvocato ha dei ripensamenti? È ancora indeciso sulla scelta delle tele di cui privare la sua vista? O forse sono le sue condizioni di salute a impedirgli di perfezionare l’atto? Il momento in cui Gianni si decide finalmente a firmare, o viene spinto e convinto a farlo, appare quasi incredibile: solo quarantott’ore prima dell’ inaugurazione. (...). L’inaugurazione della Pinacoteca, avviene il 20 settembre. Mancano solo quattro mesi alla morte dell’Avvocato. E Margherita non ha dubbi, alla luce di quanto è accaduto in seguito, che quello era un modo escogitato da sua madre e dai suoi consiglieri per sottrarre mezzo miliardo di dollari, anzi certamente di più, al patrimonio da dividere con lei in Italia. La figlia si chiede anche: «Mio padre in quel periodo era in condizioni tali da intendere e volere, da decidere liberamente e consapevolmente che cosa significasse quella firma che stava per apporre? Se non aveva firmato a luglio, ed era intervenuta l’imprevista donazione di mia madre, vuol dire che nutriva dubbi e perplessità, oppure che non era in grado di farlo?».
La donna di Susanna
Nel desolante panorama editoriale italiano, diventa «coraggiosa » una giornalista che si spinge oltre i confini dell’autocensura: Costanza Rizzacasa d’Orsogna, Il titolo della sua intervista pubblicata su «A» è inequivocabile: Suni, la donna della mia vita. Occhiello: Marisela Federici svela i segreti di Susanna Agnelli. L’intervista è bella e clamorosa, rende pubblica la sussurrata relazione tra l’arcigna Suni e la splendida signora venezuelana Marisela Rivas y Cardona de Federici. La quale non ha mai fatto nulla per nascondere ciò che anche i suoi due mariti sapevano, comprendevano, tolleravano: Marisela e Suni «si appartenevano», erano una cosa sola. C’erano ventotto anni di differenza fra loro, Suni era del 1922, Marisela del 1950. Si erano conosciute – come racconta la protagonista – «attraverso la mia amica Stella Pende. Lei era la pseudofidanzata di Gianni Bulgari, il Paul Newman ciociaro. Si vestiva da zingara, per strada le gridavano, “A’ fata, sembri Sandokan”. Un giorno, in auto in via Condotti, Stella indicò: “Ecco Suni”. Io mi sono sporta dal finestrino e ho esclamato: “E io sono Marisela”. Suni era sconcertata per la mia sfrontatezza, e anche Stella mi rimproverò (“Amorcito, come hai potuto?”). Ma io capii subito che tra noi sarebbe nato qualcosa. Suni era affascinata dalla mia esuberanza. Le piaceva che non avessi peli sulla lingua. La maggior parte della gente non sapeva prenderla. Facevano tutti tappetino, lei non lo sopportava. Suni ti amava o ti odiava. E se le stavi antipatico non lo nascondeva». (...) «Suni è stata l’amore della mia vita», spiega Marisela. «Riempiva una parte della mia esistenza in un modo che né mio marito né i miei figli potranno fare mai, perché non hanno la stessa devozione. Tra moglie e marito il sentimento si esaurisce, con Suni ogni giorno era un’emozione nuova».