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 2012  ottobre 19 Venerdì calendario

GIOCHI D’AZZARDO


L’imprenditore che aveva nel suo studio copia dei passaporti di Elisabetta e Giancarlo Tulliani e tutta la documentazione utile per aprire nel 2008 la loro società immobiliare nell’isola di St. Lucia è oggi un ricercato dell’Interpol grazie a un mandato di cattura internazionale emesso dalla procura di Milano. Francesco Corallo, proprietario del gruppo Bplus Giocolegale ltd (un tempo AtlantisWorld), dovrebbe essere arrestato secondo il gip milanese Cristina di Censo per il reato di associazione a delinquere e corruzione che sarebbe emerso nell’indagine sulla Banca popolare di Milano per un prestitoda148 milioni ottenuto in modo anomalo e senza le dovute garanzie. I magistrati ipotizzano anche un’operazione di riciclaggio legata alle subconcessioni che il gruppo di Corallo avrebbe dato ad aziende della ‘ndrangheta appartenenti a Giulio Giuseppe Lampada, proprio il capo della cosca che sta travolgendo la classe politica in Lombardia. Corallo, l’uomo a cui si sono appoggiati la convivente e il cognato del presidente della Camera, in questo momento per la giustizia italiana è irreperibile. I suoi difensori dicono semplicemente che si «trova all’estero», perché non è più cittadino italiano. Vero: dal 2011 è divenuto cittadino olandese, e per questo motivo viene oggi classificato come latitante nel governatorato di St Maarten, nelle Antille olandesi (di fronte alla costa del Venezuela), dove ha preso la nuova cittadinanza. Anche laggiù si stanno moltiplicando inchieste e polemiche sull’uomo dei Casinò, e un giornale locale ha pubblicato numerose ricevute di versamenti che sarebbero andati dal gruppo Bplus ex Atlantis al leader di un partito locale (Mpk), Gerrit Schotte, che è stato anche ex governatore di Curacao (altro governatorato delle Antille Olandesi), per finanziare illegalmente la sua campagna elettorale. Dalla latitanza Corallo a metà agosto ha spedito una lettera scritta di suo pugno al giornale locale autore del presunto scoop (lettera firmata «Francesco Corallo, cittadino olandese»), sostenendo che i documenti pubblicati erano «patacche», e preannunciando azioni giudiziarie. Nei due governatorati il caso Corallo riempie ogni giorno la stampa e la tv e si è trasformato in un delicato intrigo politico-economico e perfino diplomatico internazionale. L’ex governatore accusato per i suoi rapporti con Corallo si è difeso sventolando la corrispondenza avuta nel 2011 con il governo italiano, cui aveva chiesto notizie ufficiali sull’imprenditore, prima di proporlo per una nomina nella banca centrale delle Antille. La prima lettera è firmata da Pasquale Terracciano, capo di gabinetto dell’allora ministro degli Esteri, Franco Frattini, la seconda ha la firma del ministro dell’Interno dell’epoca, Roberto Maroni. In entrambe si sosteneva che non risultavano pendenze giudiziarie o di altra natura sull’imprenditore che in Italia era leader nella gestione dei videopoker legali. È spuntata però una terza lettera, di tutt’al - tro tenore, scritta il 26 maggio 2011 dall’ambasciatore olandese a Roma, Fons Stoelinga. Nella missiva, citando una risposta formale e una colloquiale ricevuta da Maroni, l’ambasciatore avvertiva che Corallo era incensurato, ma che la sua reputazione non poteva considerarsi immacolata.Venivano citate fonti anonime della polizia e dei servizi segreti italiani, e anche un precedente procedimento giudiziario risalente alla metà degli anni Novanta che autorizzavano ad avere forti sospetti sulla attività di Corallo: dai possibili legami con la criminalità organizzata, fino al riciclaggio didenaro dovuto proprio al trasferimento delle attività a St Maarten. Accuse a cui Corallo ha replicato- sempre dalla latitanza- attraverso un’in - tervista a una rivista inglese di giochi uscita a settembre, sostenendo la falsità delle chiacchiere, e la grandestima da lui riscossa in Italia, dove sarebbe il secondo contribuente del fisco dopo Fiat. Piuttosto controversa dunque la figura di questo imprenditoreconsulente di fiducia per gli affari immobiliari di casa Fini-Tulliani. Anche in Italia, ben prima del mandato di cattura del maggio scorso per l’inchiesta Bpm. Perché controversi - a dir poco- erano la storia della sua famiglia, e il lungo rapporto con la politica e con le commesse pubbliche, che continuamente si sono intrecciati. Per la famiglia basti dire che il padre Gaetano fu processato e condannato (si fece anche alcuni mesi) per i legami e gli affari legati al clan mafioso di Nitto Santapaola. Dopo due condanne di poco inferiori agli otto anni in primo e secondo grado, la Cassazione annullò l’ac - cusa di associazione di stampo mafioso. Papà Gaetano però nel frattempoeraemigrato aStMaarten, dove gestiva alcuni casinò. La storia racconta di gravi dissidi con il figlio Francesco, col quale non si parlerebbe da 20 anni. Le loro avventure imprenditoriali sono state dunque parallele e non si sarebbero mai sfiorate, nonostante la frequentazione degli stessi paradisi fiscali. Francesco Corallo fin dai suoi primi passi in Italia legò particolarmente con Fini e la sua An. Fece da tramite fra i due Amedeo Laboccetta, già deputato Msi (e futuro deputato Pdl), che lavorava per il gruppo Atlantis. Le varie indagini di questi anni hanno provato un legame assai stretto con Francesco Cosimi Proietti (detto «Checchino »), all’epoca segretario ed autista di Fini. È in questa rete di rapporti già consolidata che Corallo ottenne nel luglio 2004 dal governo di cui faceva parte Fini la concessione dei Monopoli che lo avrebbe trasformato nel re dei videopoker italiani. L’annuncio avvenne il 5 luglio di quell’anno, curiosamente a soli due giorni dalle dimissioni del ministro concedente: il titolare dell’Economia, Giulio Tremonti, la cui testa fu proprio chiesta da Fini. E con ulteriore coincidenza, dopo avere ottenuto formalmente la concessione a fine luglio, Corallo volò a St Marteen per le vacanze di agosto. Fu lì che venne scattata nel ristorante del suo principale casinò la celebre foto conal centro Fini, Laboccetta e il fido Checchino. Quellaconcessione del fiduciario immobiliare di casa Tulliani- Fini è stata al centro di numerose indagini amministrative e giudiziarie. Corallo e il suo gruppo- insieme ad altri vincitori della garavennero accusati di non avere messo in rete per tre anni le macchinette di videopoker ottenendo indebiti incassi e fregando il fisco italiano. Nel febbraio scorso la Corte dei Conti ha condannato (sentenza sospesa con l’appello) Corallo e il suo gruppo a risarcire allo Stato italiano la bellezza di 845 milioni di euro. Lapidario il giudizio: «La concessionaria si è distinta rispetto alle altre per la maggiore spregiudicatezza dei comportamenti e per il totale dispregio delle regole della convenzione. Fin dal mese di settembre del 2004 aveva iniziato un’azione di razzia sul mercato di un numero abnorme di apparecchi di gioco…». Per quella inchiesta Corallo rischiava la perdita della concessione. L’ha evitata grazie al pressing (intercettato dalla procura di Potenza) di Checchino, il principale collaboratore di Fini, e per una serie di emendamenti approvati in parlamento dagli ex di An più vicini al presidente della Camera.