Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 19/10/2012, 19 ottobre 2012
CAPITALI ITALIANI IN SVIZZERA DUE POSIZIONI ANCORA DISTANTI
Non capisco perché gli svizzeri, per la liberatoria dei capitali italiani depositati in Svizzera, offrano una percentuale pari addirittura alla metà di quella già riconosciuta a Germania e Gran Bretagna. Vuole spiegarmelo?
Roberta Scotti, Varese
Cara Signora, gli svizzeri potrebbero sostenere che gli scudi fiscali concepiti da Giulio Tremonti, ministro dell’Economia nei governi Berlusconi, prevedevano una penale considerevolmente inferiore (il 5%). Perché l’Italia dovrebbe pretendere ora, a seconda dell’anzianità del conto, percentuali che vanno dal 21% al 41%? I negoziatori italiani potrebbero rispondere che gli scudi di Tremonti prevedevano il ritorno in patria dei capitali esportati illegalmente, mentre la formula svizzera, se accolta, consentirebbe ai capitali di restare nella Confederazione e garantirebbe ai titolari l’anonimato. È comprensibile quindi che l’Italia, in questo caso, esiga una liberatoria più elevata.
Dietro la parata degli svizzeri, tuttavia, si nascondono altre preoccupazioni, soprattutto ticinesi. Sembra che i capitali italiani in Svizzera ammontino a circa 120 miliardi di euro e che gran parte della somma sia depositata nelle banche del Cantone. Se la liberatoria fosse troppo costosa, molti italiani potrebbero chiudere i loro conti e trasferire il denaro in un altro Paese. Quale? Sembra che i Caraibi siano nel mirino del fisco americano e che una delle piazze più accoglienti, in questo momento, sia Singapore dove i capitali stranieri gestiti dalle banche locali ammonterebbero ormai a poco più di mille miliardi: una somma, secondo il Financial Times, paragonabile a quella di Hong Kong. Ma negli scorsi giorni, durante una visita nella città-Stato asiatica, il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaüble ha concluso un accordo con le sue autorità. Non ne conosciamo ancora i contenuti, ma Singapore avrebbe accettato di collaborare con le autorità delle Repubblica federale quando vanno a caccia dei loro connazionali evasori.
Credo che da questo quadro, cara Signora, sia possibile trarre due riflessioni. In primo luogo il denaro è come l’acqua. Per quanto si cerchi d’imprigionarlo, trova quasi sempre la strada che gli consente di andare là dove le condizioni sono più accoglienti. In secondo luogo la crisi ha scatenato una caccia agli evasori che sta diventando sempre più tecnologicamente raffinata ed efficace. Come ho scritto in una risposta precedente, gli svizzeri hanno avanzato una proposta che tiene conto di queste due opposte tendenze. Diventano esattori fiscali per conto del Paese a cui appartiene il titolare del conto, ma conquistano il diritto di trattenere i soldi e garantire l’anonimato. La formula non è moralmente impeccabile, ma potrebbe essere la meno peggio delle soluzioni possibili.
Sergio Romano