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 2012  ottobre 19 Venerdì calendario

QUELLE ULTIME ORE DI GHEDDAFI A SIRTE. LINCIAGGIO BESTIALE

Le accuse contro i ribelli libici sono molto gravi e ben documentate. A un anno dal linciaggio di Muammar Gheddafi alle porte di Sirte, emerge con chiarezza che il dittatore venne catturato vivo, picchiato a lungo, selvaggiamente, sodomizzato a colpi di baionetta, trascinato come un trofeo agonizzante e insanguinato, prima di venire caricato senza vita su di un’ambulanza e trasferito a Misurata. Non andò molto meglio alle decine di uomini che erano con lui: malmenati, umiliati a sputi e calci, infine fucilati a sangue freddo con le mani legate dietro la schiena. Ci sono i filmati e le foto ripresi con i telefoni cellulari degli stessi ribelli a testimoniarlo. Anche il figlio Mutassim era vivo al momento della resa. Una sequenza lo riprende mentre fuma e beve acqua in compagnia dei suoi carnefici in una cella improvvisata. Poche ore dopo sarà un cadavere con il cranio sfondato, le mandibole spezzate e un colpo d’arma da fuoco ravvicinato alla base del collo.
Parola di Human Rights Watch (Hrw), la celebre organizzazione umanitaria newyorkese, presente in Libia nelle fasi cruciali della caduta del regime l’anno scorso. I suoi rappresentanti viaggiavano tra Sirte e Misurata anche il giorno della morte del dittatore quel drammatico 20 ottobre. «Le prove che abbiamo suggeriscono che le milizie dell’opposizione hanno liquidato con esecuzioni sommarie almeno 66 membri del convoglio di Gheddafi a Sirte. Siamo in grado di mettere in dubbio le dichiarazioni delle autorità del governo transitorio rivoluzionario, per cui Gheddafi sarebbe rimasto ucciso al momento dello scontro a fuoco prima della cattura», sostiene Peter Bouckaert, direttore dell’organizzazione per le emergenze. Dichiarazioni importanti le sue, difficili da ignorare per i Paesi membri della Nato. Tutto ciò avvenne infatti sotto l’ombrello protettivo dell’Alleanza atlantica. Non è un mistero per nessuno che senza questo intervento militare fondamentale i gruppi ribelli sarebbero stati annientati dalle truppe lealiste già due o tre mesi dopo l’inizio delle rivolte a metà febbraio. Un memento da tenere presente soprattutto di fronte ai dilemmi presentati dallo scenario siriano, dalle tensioni tra Ankara e Damasco, oltre alle pressioni montanti per un azione bellica Nato contro il regime di Bashar Assad.
E tuttavia, le accuse oggi di Human Rights Watch non sono nuove, costituiscono in effetti una messa a punto circostanziata di elementi che emersero nelle ore appena seguenti i fatti del 20 ottobre 2011. Già allora infatti furono gli stessi inviati dell’organizzazione a spingere i giornalisti stranieri a visitare l’hotel Mahari alla periferia di Sirte. In quel luogo anche noi trovammo i corpi senza vita di una ventina di uomini. L’erba del giardino dell’hotel era intrisa di sangue, sparsi tutto attorno stivali militari e uniformi abbandonate. Ovunque il puzzo dolciastro di cadaveri in decomposizione. Al piccolo cimitero poco distante noi stessi contammo una quarantina di sacchi neri contenti altri cadaveri. Un giovane aprì le cerniere di almeno quattro mostrando le mani gonfie e nerastre legate dietro la schiena. «Sono i soldati di Gheddafi fucilati dalle milizie», ci dissero. Ora Hrw va oltre. In un video raccolto tra le stesse milizie di Misurata che operavano a Sirte, si riconoscono almeno 17 uomini. Sono spaventati, gli sputano addosso, alcuni hanno il volto tumefatto dai colpi, qualcuno piange, trema. «Ora i fucili li abbiamo noi, cani!», grida uno dei loro persecutori. Poi appaiono le foto dei loro volti tra i morti: uccisi, fucilati. Prigionieri di guerra eliminati contro tutte le convenzioni internazionali. E per giunta sotto la protezione provvidenziale della Nato. Fu tra l’altro proprio uno dei missili dell’Alleanza atlantica a fermare la colonna di Gheddafi in fuga da Sirte. Se non ci fossero stati i jet francesi quella mattina, probabilmente il Colonnello sarebbe ancora stato in grado di fuggire nel deserto con gli ultimi fedelissimi per organizzare la guerriglia. Stesso scenario per Mutassim. Le testimonianze concordano nell’indicarlo vivo e relativamente indenne dopo la cattura. I ribelli lo minacciano. Ma lui appare tranquillo. Secondo alcune testimonianze raccolte dal Corriere a Bengasi un mese fa, avrebbe accettato di battersi a mani nude contro uno dei più corpulenti tra i miliziani di Misurata. Era un cultore di arti marziali e avrebbe ucciso l’avversario. A quel punto sarebbe stato freddato a colpi di mitra molto ravvicinati. Non aveva scampo.
In ogni caso, sono queste rivelazioni che aumentano le difficoltà per le già debolissime autorità di Tripoli. Il processo di normalizzazione appare inceppato. Dalle elezioni del 7 luglio ancora non si è stati in grado di formare un governo. E nonostante il trauma della morte dell’ambasciatore americano Chris Stevens l’11 settembre a Bengasi e le promesse di scioglimento delle milizie, non esiste un esercito nazionale in grado di assorbire o smantellare i gruppi armati. Al Qaeda e i movimenti del fondamentalismo islamico prosperano a Sirte e in generale in Cirenaica. Crescono le pressioni per la divisione in due del Paese. Negli ultimi dieci giorni almeno una decina di persone sono rimaste uccise negli scontri tra le milizie di Misurata e i militanti pro Gheddafi nella cittadina lealista di Bani Walid.
Lorenzo Cremonesi