Antonella Barina, il Venerdì 19/10/2012, 19 ottobre 2012
ECCO PERCHÉ NELLA MIA CINA SONO IL FANTASMA DELLA LIBERT
PECHINO. Un alto muro di cinta in una strada che sembra appannata, tanto denso è l’inquinamento. Un portone di ferro serrato: l’ingresso in un mondo guardingo, sotto minaccia. E, puntata sull’entrata, una telecamera che registra chi entra, chi esce, chi accelera il passo, chi si sofferma curioso... Lo studio di Ai Weiwei, il più famoso artista cinese, architetto, urbanista, blogger - ma soprattutto il più famoso dissidente, provocatore e spina nel fianco del governo di Pechino - è "l’area più sorvegliata della Cina" (parole sue). "Siamo circondati da quindici telecamere e chissà quante cimici nascoste qua e là. Dove vuol sedersi? Scelga lei, tanto ci ascoltano ovunque". Fino a qualche settimana fa, i visitatori dovevano registrarsi, passaporto alla mano; e se la conversazione non piaceva ai guardiani al di là delle cimici, veniva interrotta dall’irruzione di un segugio con una scarica di domande.
Censurato, picchiato a sangue, rinchiuso per 81 giorni in un carcere chissà dove, poi costretto agli arresti domiciliari e pesantemente multato, da qualche settimana Ai Weiwei è teoricamente libero: il Governo ha ritirato le denunce contro di lui, evasione fiscale, pornografia, insulti al Partito (ferma restando una multa di 2 milioni 400 mila dollari). Ma lo ha lasciato senza documenti, come a cancellarlo dalla faccia della terra a tempo indeterminato: "Così non esisto in patria, ma non posso neanche lasciare il Paese".
Così non potrà essere all’inaugurazione di Ai Weiwei, la sua prima personale in Italia, il 27 ottobre, alla Galleria Continua di San Gimignano, come non è stato ai vernissage di tutte le sue mostre in corso, a Washington, New York, Copenaghen. In Italia verranno presentati quattordici lavori tra i più rappresentativi della sua carriera. Ci sarà June 1994, la foto della moglie Lu Qing che in piazza Tienanmen, nel quinto anniversario del massacro, si solleva la gonna e mostra le mutande in segno di sfregio verso i simboli del potere. Ci sarà il grandioso progetto Ordos per la Mongolia cinese, a ricordare il suo impegno d’architetto: cento ville di mille metri quadri ciascuna, disegnate da cento giovani progettisti di 27 Paesi (non ancora realizzate). Ci saranno le opere ispirate al terremoto del Sichuan, nel 2008, un disastro che il Governo tentò d’insabbiare: scuole e ospedali così scadenti da venir giù in un soffio e migliaia di vittime. Nel 2009 Ai Weiwei pubblicò sul suo blog i nomi dei quasi seimila bambini morti sotto le macerie e tentò di testimoniare al processo di chi lo aveva aiutato a compilare l’elenco: la polizia fece irruzione e giù botte feroci. Emicranie, difficoltà di concentrazione: un mese dopo, mentre era a Monaco per una mostra, fu ricoverato di corsa per emorragia cerebrale. L’intervento gli salvò la vita. E la sua risonanza magnetica è diventata Brain Inflation, un’opera che grida contro tutte le violenze di Stato.
Dopo quell’assalto, il suo celebre blog, che dal 2006 gli consentiva di dialogare con chiunque volesse esprimere opinioni libere, quello in cui inseriva ogni giorno immagini, riflessioni, provocazioni - il blog che è arrivato ad avere 17 milioni di interlocutori, 100 mila contatti al giorno - fu chiuso per sempre. Oggi il dialogo con i suoi fan lui lo mantiene via Twitter, piattaforma americana che le autorità cinesi non possono oscurare. "In Cina il mio nome ha il veto di apparire su giornali e web. Anche solo per essere criticato. E nel mio Paese non ho mai fatto una mostra".
Ci sediamo in giardino: prato rasato, alberi da frutto, un intrecciarsi fitto di canne di bambù, su cui affacciano ambienti spaziosi, illuminati solo dai lucernari del soffitto, senza aperture sulla strada monitorata e ostile. È stato Ai Weiwei in persona a progettare la sua casa-studio a Cao Changdi, il nuovo quartiere dell’Arte nella zona nord-est di Pechino: l’edificio ha segnato il suo debutto nell’architettura, culminato poi nella progettazione dello Stadio Olimpico con gli svizzeri Herzog & de Meuron. Il celebre Nido che, illuminato di notte, è tra le visite più turistiche di Pechino, anche se oggi Ai rinnega quei Giochi del 2008, che "si sono rivelati solo un maxi-show del Partito".
Jeans, felpa e T-shirt, a 55 anni Ai Weiwei sembra più giovane che in fotografia, benché la barba che continua ad accarezzarsi inizi a incanutire. Intorno a lui gironzolano una ventina di gatti e cani, tutti randagi accolti nel suo studio, che è al numero 258 della strada e si chiama Fake Design: Fake come "falso ", ma in cinese si pronuncia in un modo che assomiglia tanto a Fuck, e infatti un rutilante "fuck" in lettere luminose spicca all’interno del muro di cinta del giardino: "Vorrei tanto attaccarlo fuori, davanti alla telecamera, ma lei capisce...". E tra le opere esposte a San Gimignano ci sarà 258 Fake (in cinese "258 fuck"): migliaia di immagini scattate dal 2003 al 2011, a registrare la vita dell’artista tra lavoro, impegno politico, parentesi personali. Perché l’intreccio continuo di arte e vita è ricorrente in Ai Weiwei: "Nella Cina autoritaria, dove tutto è censurato o interdetto o inibito, anche il gesto più insignificante assume un significato politico. L’ho imparato fin dalla nascita".
Suo padre Ai Qing, uno dei più grandi poeti cinesi moderni, nel ’57 fu accusato di anticomunismo e internato in un campo di lavoro nel deserto del Gobi: 16 anni a pulire latrine, con il divieto di scrivere. Insieme a lui la famiglia: Weiwei crebbe nel mondo atroce della "rieducazione forzata". Suo padre aveva studiato a Parigi: Kant, Hegel, le avanguardie del Novecento... Cosa le insegnava? "Apertamente, nulla: qualsiasi frase errata poteva diventare una prova ulteriore del suo reato di pensiero. Ed era sufficiente per morire. Ma certamente, a suon di sguardi, ha avuto un enorme influsso su di me: facendomi notare le cose belle, le persone leali... Soprattutto, ho imparato dal suo esempio: è sempre rimasto fedele alle sue idee. E se questo gli ha portato molti guai, non gli ha mai tolto la pace dello spirito". E sua madre? "Donna semplice, di grande moralità. È ancora viva e mi sostiene. Dice di essere orgogliosa di me".
Ai Weiwei parla lentamente, a voce bassa, in un inglese dal forte accento cinese e, se qualche parola sfugge, guai a interromperlo: perde il filo e non gli piace. Non resta che lasciar fluire quei sussurri malinconici. Al ritorno dal confino, nel ’75, fondò un collettivo di artisti d’avanguardia: "In una Pechino che era come oggi la Corea del Nord". Poi partì per New York, la Luna: "Warhol, Ginsberg, Jasper Johns: indimenticabili. Anche se loro non si sono neanche accorti di me, giovane nessuno ". Nel ’93 tornò a casa, per il padre malato. Scrisse libri, organizzò mostre e un archivio che registrava cinquemila giovani artisti locali: Ai Weiwei fece molto per stimolare l’arte contemporanea cinese. Che però lo ha deluso: "Quella che oggi piace tanto al mercato è solo una scopiazzatura dello stile occidentale. La vera Arte mette in discussione la realtà. E in Cina pochi hanno il coraggio di farlo".
Lui intanto ragionava in grande. A Documenta, la kermesse d’arte di Kassel in Germania, nel 2007 portò Fairytale: 1001 cinesi in carne ed ossa che per tre mesi invasero la città. Nel 2010 installò nella Tate Modern di Londra Sunflower Seeds: cento milioni di semi di girasole in porcellana eseguiti uno per uno da 1600 artigiani cinesi. A fine mostra, cento chili di simil-sementi vennero battuti all’asta da Sotheby’s per quasi 560 mila dollari.
Era il 3 aprile 2011 quando fu arrestato a Pechino. Pretesto: evasione fiscale. Lo studio perquisito, i computer sequestrati; lui rinchiuso in cella per due mesi e mezzo, luci sempre accese, guardato a vista, interrogato mille volte.
"Un avvertimento: per dimostrare a me che possono farmi qualunque cosa; agli altri che nessuno è intoccabile ". Da New York alla Biennale di Venezia, il mondo dell’arte gridò alla sua libertà. Al rilascio, tasse e multe ammontavano a 2 milioni 400 mila dollari, cifra confermata di recente in appello. Il popolo del web raccolse per lui più di un milione. "Sono arrivati a buttarmi il denaro oltre il muro del giardino, nascosto in aeroplanini di carta o altri oggetti. Il riconoscimento più bello della mia vita". Seguì l’accusa di pornografia, per una foto nudo: i fan lanciarono in rete i propri scatti senza vestiti. Intanto la rivista Art Review lo pose al vertice dei cento personaggi più potenti nel mondo dell’arte. Un’autorevolezza immensa... "Un’immensa responsabilità. Chi ha subito ingiustizie bussa oggi alla mia porta per chiedermi aiuto, come se avessi un potere salvifico. Che posso fare, se non gridare ancora più forte, anche per chi voce non ce l’ha?"
La parola "wei", che compone il suo nome Weiwei (Ai è il cognome), vuol dire "non ancora": segno di un futuro incerto. Un nome che è un destino. "Un nome che torna a perseguitarmi". Ha paura? "Mi rassicuro pensando che a 55 anni ho già avuto una lunga vita".