19 ottobre 2012
Che cosa ci lascia una madre - di Massimo Gramellini. Questa lettera, e la risposta che segue - di Massimo Gramellini - comparve nella rubrica ’Cuori allo Specchio’, del settimanale de La Stampa ’Lo Specchio’, molti anni fa
Che cosa ci lascia una madre - di Massimo Gramellini. Questa lettera, e la risposta che segue - di Massimo Gramellini - comparve nella rubrica ’Cuori allo Specchio’, del settimanale de La Stampa ’Lo Specchio’, molti anni fa. L’ho finalmente ritrovata, e voglio riportarla qui per voi, amici. Questa lettera è un po’ atipica in quanto non parla di amori persi, di tradimenti o di quant’altro può accadere nella vita di un individuo nel momento in cui si trova a relazionare col sesso opposto. Questa lettera parla di un rapporto particolare, di un rapporto finito prematuramente in una stanza di un ospedale, parla di mia madre. Ho 39 anni, sono sposato(felicemente) e avevo una mamma stupenda di soli 20 anni più vecchia di me. Una neoplasia mammaria me l’ha portata via e da allora la mia vita è diventata un film in bianco e nero. Da lei ho imparato ad amare i Rolling Stones (un po’ meno i Beatles), Lucio Battisti e il mio prossimo. Mia madre mi ha insegnato a stare bene in mezzo alla gente, a portare rispetto per i più deboli e a imparare a non soffrire per la sordità e la cecità del mondo nei confronti di noi romantici. Ho lavorato tutta la vita in fabbrica, ho amato profondamente mio padre, ho curato mio nonno e già malata terminale di cancro ho assistito comunque mia nonna per due mesi, prima che lei spirasse. Dopo il decesso di mia nonna si è chinata su di lei e le ha sussurrato nell’orecchio: "grazie di tutto." Tre mesi dopo è mancata anche lei. Era un mattino di sole e mi ha detto all’orecchio con un filo di voce: " non mollare mai, sei in gamba, ed è stato un onore per me averti come figlio." Mentre Le sto scrivendo sto piangendo, ma ho il cuore spezzato e non riesco a riprendermi. E’ troppo dura da mandare giù. Voglio rivolgermi a Lei in questo momento di estremo dolore in modo che la sua saggezza e la sua preparazione riescano in parte a colmare questo enorme vuoto. Gabriele Non sono né saggio né preparato, Gabriele. però sono orfano anch’io. Dall’età di nove anni. E lettere come la sua hanno ancora il potere di turbarmi, persino in un’epoca che ha trasformato le emozioni in un genere televisivo, in una marmellata indistinta e insapore che ci ha reso tutti inappetenti. Dieci anni fa, e ne avevo già 30, non parlavo volentieri di mia madre con nessuno, nemmeno con me stesso. E dieci anni prima, a 20, negavo inconsciamente che fosse morta, nascondendone le foto in un cassetto. Se ora riesco addirittura a scriverne in un giornale è perché ho accettato il mio dolore e ho perdonato tutti. Lei per essersene andata così presto e Dio per essersela presa: a 43 anni, dopo una vita che non fu purtroppo diversa da quella di Sua mamma. La mia era orfana di padre e durante la guerra, all’età in cui oggi le adolescenti raccontano a Cuori allo Specchio i primi raffreddori sentimentali, lavorava in fabbrica sotto le bombe per aiutare mia nonna a mantenere quattro fratellini più piccoli. Era bionda, sbadata, emotiva, buffa come me. Era altruista e disponibile con tutti, un termosifone sempre acceso a temperatura costante, come io vorrei essere e non sono. Se fosse sopravvissuta al tumore che la portò via durante le vacanze di Natale, proprio come Sua madre, io oggi sarei probabilmente un avvocato (era la sua previsione: "con quella parlantina!") perché il giornalista era un mestiere troppo aleatorio per un’apprensiva come lei e forse non ce l’avrei fatta a darle un simile dolore. La invidio, Gabriele, per non aver pronunciato nella Sua lettera, la più ovvia delle recriminazioni: come mai una donna così buona se n’è andata così giovane ? Certo non ha lasciato nel nido un pulcino spaurito, ma un adulto al quale aveva fatto in tempo ad insegnare ad amare il prossimo, Battisti e i Rolling Stones: l’essenziale insomma. Però morire a 59 anni, quando si ha il cuore grande di Sua madre, resta un’ingiustizia inconcepibile. Ci salva solo la consapevolezza che questa vita abbia un senso e che il suo senso sia: allenarsi. Col sorriso sulle labbra, se si può. Ma la vera goduria non può che essere altrove. Lo chiami paradiso o come le pare. Noi siamo qui per prepararci. Ma non ci troviamo tutti allo stesso livello. Alcuni sono più avanti col programma e gli serve meno tempo per prendere il "tagliando" e spiccare il volo. Chi è già angelo da giovane non ha bisogno di diventare anziano. Non sempre, almeno, perché altrimenti si dovrebbe concludere che solo i cattivi invecchiano e non è vero. Meglio metterla così: ognuno ha un suo progetto da compiere in questa vita, e le nostre madri hanno esaurito il loro più rapidamente di altri. Perché era più breve, o perché erano più brave. Rimaniamo noi figli, con un carico di ricordi che nel Suo caso, per fortuna, è superiore ai rimpianti. Mi è stato detto che l’ultimo gesto che mia madre compì, la notte in cui perse definitivamente conoscenza, fu di venire nella mia stanza a rimboccarmi le coperte. La Sua le ha sussurrato all’orecchio quelle parole meravigliose. Ricordiamocele così, nell’atto di amarci e benedirci per l’ultima volta. E cerchiamo di esserne degni, Gabriele. Senza retorica. E senza paura. Massimo Gramellini