Gian Antonio Stella, Sette 19/10/2012, 19 ottobre 2012
HO COMINCIATO DA SCHIAVO ETIOPE. E ORA HO UN SOGNO: GLI ITALIANI PAGHINO LE TASSE, COMPRINO STANDARD
& POOR’S E LA FACCIANO FALLIRE –
«Nel 2018 scoppierà una guerra tra l’Occidente e l’Oriente. Durerà vent’anni. Moriranno cinque miliardi di persone. Gli oceani si alzeranno di 12 metri». Terrorizzati? Fatevi una risata: sono solo le «Previsioni di Casaleggio» nell’interpretazione di un cappellaio matto di nome Maurizio che da questo venerdì sera torna su La7 col suo nuovo programma, “Crozza nel Paese delle meraviglie”.
Spiega: «Gianroberto Casaleggio, il guru di Beppe Grillo, è fantastico. Una specie di incrocio fra un venditore di Tecnocasa e Robert Plant, il cantante ricciolone dei Led Zeppelin. Potrei entrare cantando “Stairway to Heaven”.
Sul Web fa delle previsioni sul nostro futuro assolutamente irresistibili.
«Come potevo non farlo? Adoro il MoVimento 5 Stelle. Dico davvero. Mi piace l’idea che ognuno possa entrare direttamente in politica e non demandare sempre agli altri. Io e Beppe abbiamo anche i figli che giocano nella stessa squadra. Gli voglio un bene che non ha idea. Mi ha detto quanto ha speso il Comune di Parma per i trasporti dopo avere abolito le auto blu, 98 euro, ed era commosso. Solo che a me, belin, Casaleggio mi fa morire dal ridere. Vuole che le legga altre due previsioni?».
Prego.
«Cambieranno tutte le suonerie dei cellulari. Ci sarà un grande ritorno delle zampe d’elefante. Nel 2021 non ci sarà più l’uso delle mani. Perderemo il pollice opponibile. Scompariranno l’Australia e i corn flakes. La besciamella sarà touchscreen. Dentro gli ovetti Kinder non ci saranno più le sorpresine…».
Beppe Grillo non l’ha mai imitato?
«Sì, va ben, ma è più divertente fare Casaleggio! Se penso a Grillo e Casaleggio mi viene in mente che una volta si diceva che dietro un grande uomo c’è una grande donna, adesso che dietro un grande uomo c’è un guru. Nel caso di Renzi un Gori. Credo che farò anche lui. È più bello fare Gori che Renzi. Vuoi mettere?».
Poi chi è in arrivo?
«Intanto credo che farò Antonio Conte. Ha sentito come parla? “È agghiaggiande guello che dico”. Mi fa ridere perché rappresenta il mondo del calcio che amo. Parla in terza persona. Dice: “Dispiage vedere un Andonio Conte così bistrattato. Io ho bauraaa”. E intanto Farina, l’unico ad avere denunciato le combine, non ha una squadra e ha dovuto andare a lavorare in Inghilterra».
Lei invece insiste, sempre su La7.
«È un formato nuovo. Interessante perché sarà per tutto l’anno, il venerdì sera. Cinquanta minuti. Ho chiesto alla rete: non fatemi fare più delle puntate di tre ore che sono difficili. Facciamo 50 minuti. In diretta. È la cosa migliore. Paolo Ruffini ha detto subito di sì. Sono a La7 da tanti anni. Mi ha dato possibilità che altrove me le sognavo».
Anche la Rai con Ballaró…
«Certo, non me lo dimentico. Quei 10 minuti a Ballaró sono fondamentali».
Mai avuto problemi?
«No. Credo che neanche Floris ne abbia mai avuti. Ormai è uno spazio che è lì, consolidato».
Magari oggi sarebbe un po’ più complicato, censurarla, nel caos di poteri che c’è…
«Ci pensavo stanotte. È come se tutti noi vivessimo dentro un supermercato e un altoparlante dicesse: “Attenzione, è caduto un meteorite”. Dentro, il panico. Tutti cercano di arraffare quello che possono e di portare a casa più cose possibili perché chissà il futuro cosa ci riserverà. Il Paese oggi è così. Tutti arraffano più che possono sapendo che deve finire. Quando scoppiò il casino sui costi della politica, qualche anno fa, pensavo: adesso cambieranno».
E invece…
«Va perfino peggio. Altro che Terza Repubblica: è il peggio della Prima che va a marcia indietro a tutto gas facendo il dito medio alla Stradale. Grazie a Dio mi resta l’arma del divertimento. Dell’ironia. La possibilità di osservare quello che accade e riderci sopra. Inventandomi magari la televendita di forconi con i forconi MP3, i forconi junior con le punte arrotondate… Partiamo dalla realtà e cerchiamo di riderci sopra. Un esempio?».
Prego.
«Un giorno dico agli amici con cui lavoro: cerchiamo tutti quelli che nel mondo si sono dimessi per dei peccati ridicoli rispetto ai nostri che non si dimettono mai. Basta fare una ricerca così che trovi subito lo spunto per ridere. Se la ricorda quella che si dimise per un Toblerone?».
Un Toblerone?
«Sì, un Toblerone. Anzi, due. Era una socialdemocratica svedese. Senta questa cronaca dell’epoca: “Due confezioni del celebre cioccolato svizzero apparivano nella lista degli acquisti fatti impropriamente dalla vice premier di Stoccolma”. E la Jacqui Smith che in Gran Bretagna si è dimessa perché suo marito, mentre lei era via, aveva visto un paio di film porno sulla pay-tv pagata coi soldi pubblici? Oh, faceva il ministro dell’Interno! Ma ha letto cosa ha avuto il coraggio di dire quel dirigente del Pdl di Lecco che ha bucato le gomme a un disabile che aveva chiamato i vigili per fare spostare la sua Jaguar parcheggiata sulle strisce gialle?».
Cosa?
«Ha detto: “Gli altri fanno molto peggio”. C’è quest’idea secondo cui ormai, in questo Paese, ognuno può fare quello che vuole perché comunque l’esempio dato da chi ci governa è così cattivo da permettere a tutti di fare tutto. La corruzione sono 50 o 60 miliardi l’anno. E l’evasione? Quant’è l’evasione? Cento o centocinquanta miliardi l’anno… Saremmo così ricchi, se tutti pagassero il giusto, che potremmo comprarci la Standard & Poor’s».
Per farci cosa?
«Ce la compriamo e la facciamo fallire. Per sfregio. Pensa che bello. Saremmo il Paese più ricco del mondo. Pensa, andare dalla Merkel e dirle: “Angela, fissa il prezzo che compriamo la Germania”. Pensa che soddisfazione: “Queste sono le chiavi, le parcheggi tu, Angela?”. Tu pensa a quello di Tributi Italia che si è fregato 100 milioni…».
Sul Corriere ne parlammo la prima volta dodici anni fa.
«E lo hanno lasciato fare man bassa per altri dodici anni?».
Era tutto scritto: tutto.
«Pensa però che capolavoro. Salti un passaggio. I cittadini, invece che dare i soldi delle tasse allo Stato che li gira a tanti politici che poi se li rubano, li danno direttamente ai ladri. Dal contribuente al ladro. Non è meraviglioso? E poi ci accaniamo con l’articolo 18! Provi a chiedere a un cinese perché non investe qua: “Scusi, lo fa per articolo 18, vero?”. Lui ti fa: “Hu shiu ho sha, hosh’è articolo 18?”. Ma cosa gliene frega! Noi ci accaniamo con gli operai che guadagnano 1.200 euro al mese e poi scopri che il tetto dei 300mila euro ai grandi manager pubblici che guadagnano il doppio ci sarà solo fra qualche anno. Le pare possibile che la Minetti guadagni più di un governatore americano?».
Se è per quello guadagna come tre governatori americani, quello del Maine, del Colorado e dell’Arkansas.
«Nel frattempo il Pd che fa? Organizza primarie. Tentando magari di fregare Renzi. Ormai certi politici hanno la stessa utilità del normografo, del mangiadischi. Cosa te ne fai, oggi, di un mangiadischi? Per questo dico che viviamo nel Paese delle meraviglie. Perché si fonda sul lavoro di poche persone perbene e vessate dai sacrifici (perché ce ne sono, di persone perbene) che mandano avanti la baracca».
Come nascono i personaggi?
«Leggiamo tutto, ritagliamo tutto, annotiamo tutto. Poi cominciamo a discutere la mattina presto e andiamo avanti per ore a parlare di cose serissime. Io, Andrea Zalone, Vittorio Grattarola, Francesco Freyrie, Alessandro Giugliano, Alessandro Robecchi. Alla quinta ora cominciamo a cazzeggiare. E cazzeggiando viene fuori di tutto. L’importante è essere sempre ancorati alla realtà».
Suo papà cosa faceva?
«Il portuale. Si chiamava Romolo. Era molto simpatico. Molto divertente. Mi ha cresciuto dicendomi: “Ricòrdati, Maurizio, che tu sei un fallito”».
Andiamo bene!
«Gli dicevo: “Grazie papà”. “Non mi chiamare papà”. “E come ti devo chiamare?”. “Non mi chiamare”. Era una persona seria. Come mio nonno. Mi dicevano: guarda che nella vita dovrai lavorare tanto. Queste erano le basi».
Sua mamma stava in casa?
«Mia mamma faceva la casalinga. La classica casalinga».
Fratelli?
«Un maschio e due femmine. Sei in famiglia, un solo stipendio».
Eppure suo papà le fece fare il liceo.
«Un anno solo. Allo scientifico. Capii subito che ero negato. Un disastro. Così sono diventato disegnatore meccanico. Non avevo il tempo per studiare. Lo sa che ero una promessa del calcio?
Ma dai…
«Sul serio. Giocavo nella Sampdoria. Mi allenavo quattro volte la settimana. La professoressa mi chiedeva: “Hai fatto la versione di latino?”. Rispondevo: “Mi dispiace, avevo l’allenamento”».
Dove giocava?
«Mezzala. Ero forte. Davvero. Ma noi genovesi, tranne Pruzzo e Nela però più tardi, avevamo un handicap. I veneti e i friulani giocavano sull’erba, noi genovesi giocavamo su campi di ghiaia. Quando facevi una scivolata ti asfaltavi il ginocchio e la gamba. Pensi che speravamo che piovesse perché la ghiaia si ammorbidiva».
Ma va là!
«Giuro. Quando scivolavi non ti rimanevano conficcate nella carne le pietruzze e i sassolini».
Era papà che la voleva calciatore?
«Papà voleva che io facessi lo sportivo. A un certo punto dalle due alle cinque e mezzo giocavo nella Samp, alle sei mi portava a fare ginnastica artistica fino alle otto. La domenica mi portava a fare i 1.000 metri di atletica leggera. Non è che mi volesse far diventare un campione perché guadagnassi soldi. Pensava che fosse bene così. Che la salute fosse un valore. A un certo punto non ce la facevo più. Ho detto: “Papà, fermati, c’è qualcosa che non va”. Anche mio fratello faceva ginnastica artistica, le mie sorelle correvano… Era tutta la famiglia sportiva. Anche se quella che più correva era mia mamma».
In che senso?
«Pensi un po’, sempre in giro per la città a portare quattro figli da una parte e da quell’altra. E qui torniamo alla politica, perché la politica, in fondo, è come educhi i tuoi figli. Un giorno devo fare un monologo su questo tema. Quant’è faticoso educare i propri figli. Non è solo fargli da mangiare: significa investire la gran parte delle tue energie su di loro. Devi star loro vicino. Seguirli quando fanno i compiti. Devi parlarci. Dove troviamo oggi, noi, tutte queste energie?».
Qual è la differenza tra suo papà e lei, rispetto ai figli?
«La dico così, brutale? L’aspetto economico. Vivevamo in sette in una casa di 75 metri quadrati. Con un bagno solo».
Chi era il settimo?
«C’era sempre un nonno, una nonna… Mio papà tornava a casa stanco morto e si trovava in mezzo a quattro bambini che facevano casino. Io mi rendo conto che oggi il mio benessere economico mi consente spazi che mio papà non ha mai avuto. Il paradosso è questo. Che una volta, quando eravamo poveri, i nostri nonni facevano un sacco di figli, adesso che stiamo bene quando ne facciamo uno lo teniamo come una reliquia. Me ne rendo conto anch’io con i miei. “Prende l’autobus! Dove va?”. “Ma dove vuoi che vada?”, mi risponde mia moglie, “va a scuola!”. “Ma ha solo 14 anni! Non potrebbe aspettare e prendere il suo primo autobus a 22?”. È assurdo. La mia bisnonna, ai primi del Novecento, ha avuto 16 figli e gliene sono morti otto. Ma vedeva queste cose con una serenità diversa. Otto figli! Ne basteranno bene otto! Roba che uno non si ricordava neanche tutti i nomi».
Che padre è?
«Io? Bipolare. Come tutti i padri. Passo dall’urlare forsennatamente a chiedere scusa per aver urlato forsennatamente».
Parlava degli spazi…
«Tornare a casa in un ambiente sereno e più spazioso ti dà anche la possibilità di stare coi tuoi figli nella maniera giusta. Ecco la differenza. Quando arrivava a casa mio padre mia madre diceva: “Sparite, che arriva papà”. Adesso quando arrivo a casa io mia moglie mi fa: “Sparisci, che i tuoi figli studiano”. Io devo sparire sempre, belin! È una vita che sparisco».
È vero che si sente «un gorilla intriso di dolcezza»?
«L’ho detto io?».
Sì, in un’intervista.
«È vero. Io sono come Shrek, l’orco tenero tenero che si commuove».
Magari a sua moglie non piace essere considerato un’orca.
«Sbaglia. Mia moglie è un’orca soddisfattissima di essere orca».
Come mai smise di giocare a calcio?
«Perché a un certo punto cominciarono a prendere un sacco di veneti, di lombardi, di toscani… Anche a prescindere dalla bravura. Poi devo dire che andavo pazzo per il calcio fin da quando mio papà, a due anni, mi aveva regalato un pallone di cuoio, color cuoio, con tutte le firme dei calciatori della Samp di allora, da Cucchiaroni a Brighenti, a Skoglund, ma lo spogliatoio era terrificante. Da trogloditi…».
E come passò al teatro?
«Mi ricordo che in prima liceo mi sospesero perché facevo scendere i miei compagni dalla scala su modello del Jesus Christ Superstar. Arrivò il preside Milone, un siciliano: “Chistu ragazzu divi essiri mannato accasa!”. I professori dicevano ai miei genitori: se vostro figlio vuol fare “Jesus Christ Superstar”, Totò, “Alto gradimento”, vada a fare teatro! Mia moglie lo stesso. A 15 anni mi ha detto: devi fare teatro. Ho cominciato così, a 17 anni. Facevo lo schiavo etiope».
Lo schiavo etiope?
«Lo schiavo etiope. Al teatro lirico di Genova. Rossini. Donizetti. Puccini. Cominciai con l’Aida. E dal conflitto tra schiavi etiopi e armigeri. Eravamo a Nervi, all’aperto. Lei sa che nell’Aida ci sono quattro atti. Gli schiavi etiopi dopo due atti se ne potevano andare, gli armigeri dovevano restare lì fino all’una di notte. Solo che noi ce ne andavamo portandoci via anche le ancelle del corpo di ballo del Reno. Francesi bellissime. Io avevo diciassette anni…».
Tempeste ormonali!
«Che meraviglia! Quell’inverno andammo a Strasburgo a trovare le ballerine con le quali ci eravamo fidanzati. Partimmo con una vecchia Renault 4. C’era anche il maestro Roberto Tolomelli che allora era agli esordi e suggeriva ai cantanti quando attaccare. Strasburgo! Con il sottofondo di Puccini, Verdi, Mascagni… La mia adolescenza è sempre stata immersa nella musica in mezzo a musicisti, cantanti, teatranti».
La ballerina del Reno fu la sua prima fidanzata?
«Sì. Si chiamava Eveline. Era mezza francese mezza asiatica. Un sogno. Io ero così giovane, così inesperto…».
Dice sua moglie che a quell’età lei era una specie di Sean Connery in erba…
«Un “seanconneryno”, diciamo. Ma a 17 anni siamo tutti belli. A parte Gasparri, voglio dire. Adesso lei mi vede così ma quando mi sono sposato ero magro come un chiodo. Sarò stato 67 chili».
Sua moglie ha detto in un’intervista a Gente di essere entusiasta di come è adesso, con qualche chilo in più: «Ancora oggi, dopo tanti anni, ogni tanto mi sfrego gli occhi e non posso credere che tutta quella strabordante meraviglia sia mia!».
«Ha detto così?».
Sicuro.
«Non ci posso credere».
E ha aggiunto: «Adoro mio marito perché non è la mia metà, ma il mio doppio, e insieme facciamo una mela e mezza»…
«Carla è fantastica. Ci conosciamo dalla prima liceo. Abbiamo fatto teatro insieme, recitato insieme… Ma basta parlare di queste cose. Affari miei. Vita mia. Non mi piace raccontare delle cose mie. Non sono la Cuccarini. Parliamo della vita, dei figli, dei genitori, di politica… Di democrazia. Della confusione che fa qualcuno: quanto prende un consigliere regionale?».
Il record dovrebbe essere, secondo il Giornale di Sicilia, del presidente di una commissione parlamentare siciliana che vive a 100 chilometri da Palermo: 17.476 euro al mese.
«Lordi?».
Netti.
«Netti? Ma com’è possibile? Coi soldi pubblici! Qualche volta ti viene il sospetto che ci siano due sole industrie che funzionano, oggi, in Italia: la politica e la mafia. Difatti c’erano delle trattative per la fusione. Bastava fare due acquisti in Sudamerica e veniva fuori uno squadrone. E poi pretendono che gli operai guadagnino mille euro al mese e lavorino come pazzi. Come può un parlamentare regionale prendere 17 volte lo stipendio di un operaio? Bisognerebbe dirglielo, alla Fornero».
Non le piace la Fornero…
«Mi ricorda una mia zia. Piange... Ma facciano finalmente questa legge sulla corruzione, invece di piangere… Abbiamo delle leggi sul cuoio scamosciato, sulle lumachine di mare e sulla pesca delle alici e non abbiamo una legge sulla corruzione. Ma dai!».
Come nascono le sue imitazioni?
«Basta guardarli. Guardi Brunetta, le pause, il modo di parlare, i tic… E ci costruisci il personaggio esasperando tutto. L’ho visto una volta da Vespa. Era fantastico. Diceva: “Se noi prendiamo. Eehh… Risolto. Eehh… Un miliardo. Eehh… Spostiamo. Faremo. Eehh… La crisi. C’è più. Finita”. La politica degli annunci. Solo annunci. Qualche volta fanno tutto da soli. Prenda Bersani. Si è spinto a dire: “Sce ti scenti un osso di sceppia non puoi comunicare di essere un pesce guizzante”. È fantastico. Sinceramente, io non ci sarei riuscito a scrivere una cosa così».
C’è qualche politico che non riesce a fare perché non la ispira proprio?
«Certo. O perché non riesco a trovarci l’aspetto comico o perché l’hanno già fatto altri. Quella che conta è la chiave comica: perché io rappresento questo personaggio? Perché voglio fare Brunetta? Perché fa solo annunci. Perché voglio fare Bersani? Perché non dice mai niente se non le sue metafore. Queste metafore contadine…».
Ha mai avuto il dubbio se qualche metafora l’ha detta lei o l’ha detta lui?
«Lui ha fatto perfino le magliette… Tremendo. Ripeteva le mie cose… Sorvoliamo».
E Berlusconi? Le manca?
«Me l’ha chiesto anche la Carfagna. Ero a Ballaró. Volevo dirle: penso manchi di più a lei… Battute a parte, a me non manca per niente. Dal momento in cui ha lasciato non ho più parlato di lui e ho cominciato a fare Monti, Marchionne, Montezemolo… Io vado dietro all’attualità. Non c’è più Berlusconi? Ciao».
Il suo obiettivo resta quello di imparare a recitare entro i 75 anni?
«Certo. Ho ancora un paio di decenni abbondanti di tempo. Ma non so se ce la faccio. Ogni tanto mi dico che sono negato. A fare questo mestiere è facile sentirsi insicuri. Diciamo che mi sento il 38º in classifica. Poi magari mi viene una cosa bene e penso: vuoi vedere che magari ci riesco?».
E poi?
«Il mio sogno è andare in pensione. E passare il tempo nei cantieri a spiegare ai muratori come mettere una trave. Ha presente quelli che non fanno un belìn dalla mattina alla sera? Guardano gli operai che faticano come bestie a tirar su una trave, scuotono la testa e attaccano a rompergli le palle: “È sicuro che… Non sarà che sta sbagliando… Per carità, faccia faccia…”».
Grazie. Abbiamo dimenticato qualcosa?
«Aggiunga: “In data odierna, senza nulla a pretendere, il sottoscritto Crozza Maurizio…”».