Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  ottobre 25 Giovedì calendario

COMMISSARIO CANCELLIERI [

Bisonte Selvaggio. L’emergenza immigrati. E 141 comuni sciolti per mafia, Reggio compresa. Le guerre della ministra-prefetto. Di ferro] –
Quando martedì 15 novembre Mario Monti la chiamò al cellulare per offrirle il ministero dell’Interno, Annamaria Cancellieri stava con un’amica in via Rimesse in periferia di Bologna, tra le mani un pacco di vestiti per la signora Enrica, brava sarta di quelle d’una volta: non c’era più un abito che le andasse bene, avendo perso 15 chili a furia di camminare due ore al giorno a Milano dove ha casa e a Parma dov’era tornata per la seconda volta come commissario prefettizio nel Comune disastrato da un centrodestra dalle mani bucate e amministratori in galera per corruzione. Giurò la mattina dopo con il tailleur da sera che, lei appassionata di classica, s’era portata per andare a un concerto dell’Orchestra Toscanini a Parma, l’unico che le calzasse. «Quei chili li ho ripresi quasi tutti, con la vita sedentaria che faccio». Sedentaria? Il programma della settimana in corso prevede Sorrento, Vienna, Bologna, Bra, Napoli e naturalmente Roma: «Sì, però mi portano, moto non riesco più a farne...».
Uno la vede così, diretta, immediata, con la leggerezza dell’autoironia, e escono titoli tipo la nonna d’Italia, per via dei quattro nipotini dai suoi due figli che si porta in vacanza d’estate in Sicilia e d’inverno a Champoluc sulla neve. Ma se c’è un funzionario dello Stato conscio del ruolo e uso a esercitarlo questa è lei, per sedici anni da prefetto poi commissario prefettizio e ora ministro: «C’è stato un altro sbarco a Lampedusa, 340 persone», la interrompe mentre parliamo il vicecapo di gabinetto Matteo Piantedosi, che già stava con lei a Bologna come subcommissario. «Portateli subito al centro di accoglienza a Mineo», decide lei in un secondo. Di quale determinazione sia capace questa affabile signora di 68 anni lo si è visto ancor meglio l’8 ottobre: quando ha proposto, e il Consiglio dei ministri ha votato all’unanimità, lo scioglimento del Consiglio comunale di Reggio Calabria per "contiguità con la ’ndrangheta". Nell’estate s’era studiata le relazioni degli ispettori ministeriali e del prefetto, Monti le aveva detto: «Segui la coscienza e fai ciò che ritieni giusto», e lei è andata avanti, infischiandosene della canea del Pdl sul presunto onore offeso della città. Un atto del genere, per un capoluogo, non s’era mai visto prima. Le Regioni non sono commissariabili, ma la Lombardia, se potesse? «Non mi faccia domande difficili, la prego...».
Non è, Annamaria Cancellieri, un tecnico prestato alla politica, nei cui meandri e gerghi non s’è mai persa, ma un civil servant: prefetto della Repubblica 1° classe, ha fatto aggiungere in postilla al suo nome sul tabellone che all’ingresso dell’ufficio del ministro elenca tutti i titolari dell’Interno dal 1861. Sfogli l’annesso album che sta sul tavolino, da Minghetti a Mussolini a Rosa Russo Iervolino unica altra donna prima di lei fino a Maroni, ma la pagina Cancellieri è anche l’ultima dell’album: accidenti, un’altra sciagurata profezia Maya, a primavera via Monti e quel che resta dello Stato si estingue? I sintomi di disfacimento ci sono tutti, da Er Batman in Lazio ai mafiosi in Regione Lombardia. Lei ride, muove la mano aperta come a dire che in effetti pare manchi poco, poi cita monsignor Ravasi quando scrive che «i nodi sono venuti al pettine, ma ci dev’essere il pettine». E il pettine è lo Stato. Dunque? «Lo Stato c’è. Si vede nei momenti di crisi. Oggi è più difficile che negli anni del terrorismo, perché allora l’economia tirava, ma i cittadini chiamati ai sacrifici rispondono con una tenuta esemplare. Il Paese è molto meglio di quanto si pensa». Ma lo Stato? «Sono un prefetto, io nello Stato ci credo».
Nata a Roma il 22 ottobre del ’43 quando il vecchio Stato s’era appena sfasciato, il re in fuga e i nazisti in Campidoglio, Annamaria Cancellieri dentro la macchina dell’amministrazione statale ci ha vissuto da quando aveva vent’anni: appena diplomata vinse infatti un concorso alla presidenza del Consiglio e il suo primo incarico fu in via Po 14: «Sceglievo i libri da mandare alle biblioteche di Comuni e carceri. Un lavoro fantastico, leggevo di tutto. Alcuni autori li ho conosciuti in seguito a Milano: Montale con quei suoi occhi trasparenti da fanciullo, Bacchelli col suo carattere difficile...». A Roma aveva frequentato le scuole fino al liceo classico, ma tre mesi l’anno d’estate lei con i due fratelli e le due sorelle tutti più grandi li passavano in Libia, dove il nonno aveva fatto la guerra del 1911 e poi il commissario ai beni sequestrati ai berberi, e il padre costruiva centrali elettriche. Quando a febbraio le scappò la frase per cui la misero in croce sui ragazzi d’oggi «fermi al posto fisso nella stessa città di mamma e papà», ammorbidì spiegando che, cresciuta all’estero, non aveva «mai avuto problemi a fare la valigia»: ripete che come sua città considera Milano dove tuttora abita, ma se conta sulle dita i traslochi della sua vita arriva a diciannove. In Libia, terrazza sul mare a Leptis Magna sulle note di "My funny Valentine", il primo bacio con Sebastiano Peluso, farmacista: lo sposa nel maggio ’66. Nel ’68 i suoi coetanei mettono a soqquadro Valle Giulia e il vecchio mondo, lei passa a occuparsi di provvidenze per l’editoria italiana all’estero, si laurea in Scienze politiche con tesi sulla tutela delle minoranze linguistiche nell’Alto Adige degli attentati, partorisce il primo figlio, Piergiorgio: dalla direzione generale di Fonsai oggi è appena diventato direttore finanziario di Telecom, e dice la madre che «Monti e Grilli lo sanno, se mai il governo dovesse discutere o decidere qualcosa su Telecom io neanche lo voglio sapere». Il secondo figlio, Federico, nasce nel ’74, vive a Milano, ha anche lui due bambini e una sua piccola azienda di effetti speciali su computer per la pubblicità.
A Milano Cancellieri arriva nel febbraio ’70, tre mesi dopo la bomba di piazza Fontana. Per seguire il marito, là trasferito dall’industria farmaceutica dove lavorava. Vince un concorso all’Interno, entra all’ufficio stampa della Prefettura, diventa anche giornalista pubblicista. Sono gli anni delle stragi e del terrorismo: «Una fredda mattina di maggio arrivo in ufficio con una giacca bianca. "Andiamo", mi dice il prefetto, "hanno ucciso Tobagi". L’avevo incontrato qualche giorno prima, l’ho rivisto rannicchiato in un angolo di strada ucciso da cinque colpi di pistola. Fu terribile». Una legge istituisce provvidenze ai parenti delle vittime del terrorismo: se ne occupa lei, una per tutte ricorda la dignità della vedova dell’ingegner Marelli. Non fu facile.
Nei 23 anni in cui ci vive e lavora, c’è però anche l’altra Milano. I teatri, il Piccolo, i concerti di Aznavour e Liza Minnelli, la Scala ogni volta che può. Craxi e Spadolini, il G8 con Mitterrand e la Thatcher in Prefettura. Nel ’90 la incaricano del Progetto efficienza Milano: riorganizzare tutti gli uffici periferici della pubblica amministrazione, finanziari, giudiziari, scolastici, forze dell’ordine. A seguire la partita a Palazzo di giustizia è un giovane pm ancora sconosciuto, Antonio Di Pietro: «I computer li chiamavamo "le lavatrici" perché erano grandi uguale», racconta lui, «noi volevamo mettere in rete locale le informazioni dei vari fascicoli, la Cancellieri fu una delle poche persone a capire che cosa potevamo fare con l’informatica, allora ai primordi. E poi riuscì a mettere in sinergia squadra mobile, reparto operativo dei carabinieri e polizia giudiziaria della Finanza, abituati per gelosia ad agire ciascuno per conto suo».
Del ’93 è la nomina a prefetto. Prima sede Vicenza, poi Bergamo, Brescia, Catania, Genova. «Tra noi fu subito empatia, lei ha un approccio molto femminile ai problemi», racconta Marta Vincenzi, sindaco di Genova quando Cancellieri ne diventa prefetto: «La Compagnia dei camalli rischiava di sparire per effetto della direttiva europea Bolkenstein, in una serie di incontri in Prefettura lei convinse e mediò, senza furori iperliberisti ma con un riformismo di buon senso. Dimostrò scarso tempismo solo quando io denunciai infiltrazioni mafiose e lei disse che non ne aveva sentore: ma lo fece per prudenza, per rassicurare». Vincenzi la chiamerà come vicepresidente Amt trasporti da maggio a ottobre 2011.
Non che fosse disoccupata. Nel 2009 in cui viene collocata "in quiescenza", insomma in pensione, Raffaele Lombardo la nomina presidente della commissione per il piano rifiuti in Sicilia («Presentammo un ventaglio di soluzioni possibili, purché si facesse in fretta, non fummo ascoltati») e al dissestato Teatro Bellini di Catania (spinse alle dimissioni il sovrintendente, lui la denunciò, la vicenda finì in nulla). A febbraio 2010, nomina di Maroni, se ne vola a Bologna, commissario prefettizio dopo la débâcle della giunta Delbono. Un anno e tre mesi. Con i politici in fibrillazione perché i bolognesi mostravano di stare benissimo anche senza di loro. Gliela fanno pagare: quando mesi dopo il nuovo sindaco Virginio Merola propone per lei la cittadinanza onoraria, a sinistra obbiettano che sarebbe piaggeria e a destra le rinfacciano il suo rifiuto (decisione sofferta, verissimo) quando le avevano offerto di candidarsi a sindaco. «Questo Consiglio è indecente», tuona Merola in aula. Da commissaria aveva iniziato la pedonalizzazione del centro storico e stoppato l’orrendo treno su ruote Civis che avrebbe tagliato Bologna. E, ospite verso fine mandato in un salotto letterario, tra una battuta sulla disperazione del suo portiere quando tolsero ai prefetti il titolo di eccellenza e una sul pakistano aperto la sera senza il quale lei avrebbe fatto la fame, s’era presa il gusto di dichiarare che un terzo della macchina comunale le aveva remato contro. Disse anche che avrebbe fatto senza rimpianti la nonna, ma nessuno le credette. Dopo un mese da commissario a Parma, il 16 novembre s’insediava al Viminale.
Cos’ha fatto è cronaca recente. I Tir di Bisonte selvaggio bloccano le strade, lei spedisce 1.060 poliziotti. I Comuni sprecano o sono sotto tiro delle mafie; lei ne scioglie 141, di cui 34 per infiltrazioni mafiose. Propone di vendere o far fruttare i 20 miliardi di beni sequestrati alla mafia anziché limitarsi all’uso sociale, e pare che il testo sia quasi pronto. Con Riccardi prepara il riconoscimento della cittadinanza ai figli di immigrati nati in Italia. Poi ci sono state le emergenze. Il naufragio della Concordia. Il terremoto in Emilia. E la bomba alla scuola di Brindisi che all’inizio pareva terrorismo: al Viminale per tutta la mattina fece insieme il ministro e l’ufficio stampa, parlando con ogni radio, tv e giornale prima di volare sul posto.
La candidano per tutto, dal condominio al Quirinale ed è difficile immaginarla coi ferri in mano. «Ma guardi che io so come si lavora a maglia, le mamme d’una volta lo insegnavano alle ragazze: ho riempito di golf mio marito». Li porta? «Veramente no. Così ho smesso. Ho capito che mi riesce meglio fare il prefetto».