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 2012  ottobre 25 Giovedì calendario

MONNEZZA CRIMINALE [

Truffa, estorsione, associazione a delinquere. Le carte segrete dell’inchiesta sul re della spazzatura] –
Associazione a delinquere, estorsione, truffa, traffico illecito di rifiuti: sono queste le ipotesi di reato di un’inchiesta segreta che sta facendo tremare mezza Roma e che potrebbe distruggere l’impero di Manlio Cerroni, l’anziano avvocato che controlla la discarica di Malagrotta e che gestisce, di fatto, la fetta più grande del business della monnezza della Capitale. L’indagine sull’"ottavo re di Roma" (che risulta indagato) sembra ormai alla fase conclusiva, e rischia di far saltare il sistema di monopolio assoluto che la politica locale ha subito e foraggiato per oltre un trentennio, affidando di fatto a un privato la gestione di un’attività - va ricordato - che è per legge di pubblico interesse.
A "l’Espresso" risulta che i filoni d’indagine sono tre. Riguardano la gestione di Malagrotta, gli impianti per la produzione di combustibile da rifiuti (cdr) che l’imprenditore ha costruito ad Albano Laziale e la cava di Monti dell’Ortaccio, che nei progetti di Cerroni - e del commissario per l’emergenza rifiuti Goffredo Sottile - dovrebbe presto diventare la nuova mega discarica della capitale. Il fascicolo è così delicato che oltre ai due pm titolari Maria Cristina Palaia e Alberto Galante è sceso in campo anche il procuratore capo Giuseppe Pignatone, che ha deciso di coordinare in prima persona la fase finale dell’inchiesta.
«Il ministro Corrado Clini ha detto che a Roma i rifiuti sono in mano alla malavita? È una bestialità», commentò Cerroni qualche tempo fa, mentre spiegava che il suo sito a Monti dell’Ortaccio era già attrezzato per ingoiare le oltre 4 mila tonnellate di spazzatura prodotte ogni giorno dalla città eterna e dal Vaticano. Sfrontato, spregiudicato, ricchissimo (qualcuno calcola che abbia accumulato un patrimonio di oltre due miliardi di euro, le sue due società più grandi come la Colari e la E.Giovi fatturano - come si legge negli ultimi bilanci - circa 150 milioni l’anno), l’avvocato Cerroni, nato nel 1926 nel minuscolo paesino di Pisoniano in provincia di Roma, ha quasi novant’anni ma è ancora in gran forma e sicuro di sé, consapevole dell’enorme potere negoziale che ha con i politici: senza Malagrotta (che sarà probabilmente prorogata per l’ennesima volta) in pochi giorni le strade di Roma sarebbero invase dalla monnezza, con effetti più devastanti dello tsunami napoletano che fece scandalo in tutto il mondo. «Sa come lo chiama in un’intercettazione un ex dirigente del commissariato per i rifiuti nel Lazio?», chiosa un magistrato vicino al dossier ,«lo chiama "il Supremo". Un nomignolo che già dice tutto. È lui il protagonista assoluto di questa vicenda». Coprotagonisti di rilievo sembrano anche alcuni dirigenti regionali e alcuni uomini di Cerroni. Su tutti spicca Bruno Landi, presidente della Regione Lazio agli inizi degli anni Ottanta, che è considerato dagli inquirenti l’anello di congiunzione tra il gruppo Cerroni e la politica, una «testa d’ariete in grado di scardinare e penetrare i meandri dei salotti regionali».
DA ALBANO A POMEZIA. Andiamo con ordine, partendo da Albano Laziale. Qui i guai per Cerroni e il suo entourage cominciano nel settembre del 2009, quando il pm Giuseppe Travaglini in forza alla procura di Velletri chiede ai carabinieri del Noe di Roma comandati dal colonnello Sergio De Caprio - alias Ultimo - e coordinati dal capitano Pietro Rajola Pescarini di indagare sulla società Pontina Ambiente, un grande impianto di trattamento dei rifiuti che produce cdr per dieci cittadine della provincia di Roma. Il sospetto, infatti, è che l’azienda produca un quantitativo di cdr destinato ai termovalorizzatori assai inferiore a quanto dichiarato ai Comuni "clienti": una truffa (bruciare il cdr era forse troppo costoso: più economico e più comodo per Cerroni smaltire la monnezza nello sversatoio, anche se le volumetrie autorizzate in questo modo si sarebbero esaurite prima) che permetteva al gruppo dell’avvocato di incassare milioni di euro per un servizio mai svolto.
L’indagine dura due anni: i nomi di Cerroni e di suoi fedelissimi insieme a quelli di alcuni dirigenti di punta della Regione guidata da Renata Polverini (come Romano Giovannetti, capo della segreteria dell’assessore alle attività produttive Pietro Di Paolantonio, e Luca Fegatelli, fino al 2010 a capo della Direzione regionale Energia e rifiuti, oggi capo del Dipartimento del Territorio) finiscono prima nel registro degli indagati con ipotesi di reato gravissime come associazione a delinquere e concorso in truffa ai danni dello Stato, poi - lo scorso febbraio - nella richiesta d’arresto che il magistrato manda al gip. Il quale ad aprile ha dichiarato la propria incompetenza territoriale sul fascicolo («Il luogo in cui opera la prospettata associazione», scrive nell’ordinanza, «deve vieppiù individuarsi in Roma») che è finito sulle scrivanie dei pm capitolini.
TRUFFA MILIONARIA. Nella vecchia ordinanza del gip di Velletri, che "l’Espresso" ha potuto leggere, la lista degli indagati contava otto persone. Le aziende di Cerroni avrebbero incassato indebitamente per un servizio mai reso ben 9,2 milioni di euro, «incrementando la tariffa per la termodistruzione - anche sul quantitativo di cdr mai prodotto o comunque mai combusto - nel periodo 2006-2010». Un «disegno criminoso» - si legge nella richiesta di misure cautelari - effettuato «con artifici e raggiri, che inducevano in errore i comuni di Albano Laziale, Ardea, Ariccia, Castel Gandolfo, Genzano, Lanuvio, Marino, Nemi, Pomezia e Rocca di Papa» in modo da procurare alle società del "Supremo" un «ingiusto vantaggio patrimoniale con danno di grave entità economica per le pubbliche amministrazioni»: per questo Travaglini contestò a Cerroni e alcuni suoi manager (tra loro c’è anche il suo braccio destro Francesco Rando) il concorso in frode e truffa ai danni dello Stato.
L’imprenditore, l’ex presidente Landi e i due dirigenti della Regione Fegatelli e Giovannetti risultano indagati per associazione a delinquere: avrebbero infatti armonizzato «le scelte politiche ed amministrative della Regione Lazio alle esigenze di profitto dell’azienda del Cerroni». I due dirigenti, secondo l’accusa, si muovevano sotto traccia per fare piaceri e servigi di ogni tipo: operavano per evitare la chiusura dell’impianto, rimuovevano «i funzionari non allineati», agevolavano «l’accoglimento delle tariffe proposte dal Cerroni». E brigavano affinché i comuni parlassero solo e soltanto con l’avvocato estromettendo di fatto le imprese concorrenti, omettendo pure di attivare le procedure di controllo di competenza della Regione. In un’informativa che nel 2011 il Noe manda al pm di Velletri - inoltre - sembra che non esista alcun documento ufficiale che autorizza i comuni dei Castelli romani e di città come Pomezia e Nettuno ad usare l’impianto della Pontina Ambiente: c’è solo «la compiacenza e il silenzio dell’amministrazione regionale». Nelle intercettazioni spunta anche il nome dell’assessore alle Attività produttive, che avrebbe avallato «i suggerimenti portati dall’avvocato Landi», mentre sappiamo che Renata Polverini fu invitata dai magistrati per rilasciare "sommarie informazioni" su alcune delibere della Regione che avrebbero favorito l’azienda di Cerroni: la presidente dimissionaria se ne sarebbe lavata le mani, spiegando che le decisioni erano state elaborate esclusivamente dall’assessorato ai rifiuti.
MALAGROTTA FOREVER. Sul tavolo dei pm romani c’è anche un corposo fascicolo su Malagrotta, l’enorme discarica gestita dalla Colari di Cerroni che da decenni accoglie sui suoi 250 ettari i rifiuti della capitale. In un’informativa di reato si ipotizza che Cerroni, con il contributo di alcuni suoi referenti politici (viene citato anche Mario Di Carlo, l’ex assessore regionale alle politiche della casa di Marrazzo, morto l’anno scorso) abbia più volte minacciato il sindaco di Roma Gianni Alemanno e la giunta regionale di chiudere Malagrotta e impedire gli smaltimenti. Minaccia lanciata direttamente o indirettamente per indurre gli enti locali a pagare subito un grosso debito (circa 135 milioni di euro, di cui 120 a carico dell’Ama) che le stesse amministrazioni avevano contratto «in epoca remota» con le società del "Supremo". «Bisogna fare qualcosa», spiegava nel dicembre del 2008 Cerroni mentre parlava al telefono con un dirigente della Regione, «perché sennò i romani fanno Natale coi rifiuti», mentre in un fax spedito a un dirigente di Federlazio scrive di «ricordare a tutti (Alemanno innanzitutto, ndr.) che i rifiuti sono solidi e non hanno colore, e che non metterli a nanna la sera crea problemi (e che problemi!) a tutti».
Gli avvertimenti hanno un solo obiettivo: «Intimorire e far ravvedere», si legge in un’altra informativa dei militari, «le rispettive posizioni», in modo da ottenere subito i soldi. Paradossalmente Cerroni avrebbe calcolato nel costo dello smaltimento anche «le somme provenienti da un illecito smaltimento di ingenti quantità di rifiuti».
ORO SUPREMO. Malagrotta, sito irrimediabilmente inquinato da sostanze tossiche, doveva chiudere definitivamente a fine 2007, quando entrò in vigore una direttiva dell’Unione europea che vieta di conferire in discarica monnezza allo stato grezzo. Malagrotta da allora è nella lista dei siti che «costituiscono una seria minaccia alla salute umana e all’ambiente». La telenovela si trascina da un lustro, con i politici incapaci di trovare uno straccio di alternativa a Cerroni. Le ipotesi di nuovi sversatoi a Corcolle, a due passi da Villa Adriana, a Riano e Pian dell’Olmo sono state bocciate senz’appello dal ministero dell’Ambiente. Mentre nessuno, tra commissari straordinari, governatori, sindaci e presidenti di provincia, ha tentato di costruire un vero ciclo integrato dei rifiuti nel Lazio, basato sulla differenziata e sul riciclo, con piccole quantità di cdr da incenerire, in modo da abbassare al minimo indispensabile - come avviene nel resto dei Paesi avanzati - i conferimenti negli sversatoi.
Così, nell’anno di grazia 2012, in molti per risolvere l’emergenza puntano su un’altra cava della sfortunata Valle Galeria, situata a pochi chilometri dall’invaso di Malagrotta. Anche questi terreni sono di proprietà dell’avvocato Cerroni, che per decenni ha scavato la buca di Monti dell’Ortaccio per coprire di terra i rifiuti della discarica. Ora, però, i magistrati sospettano che l’industriale non abbia le autorizzazioni necessarie per far funzionare davvero la nuova gallina dalle uova d’oro, un affare - hanno calcolato gli investigatori - che potrebbe valere oltre 150 milioni di euro.
Le indagini sull’invaso e sulla sua preparazione sono state fatte dal Noe e dai vigili urbani, il pm Galanti ha ipotizzato l’illecito edilizio e la deviazione illegale delle acque. Il commissario, il prefetto Sottile, nonostante tutto, sembra voler tirar dritto per la sua strada, e qualche settimana fa ha ribadito ad Alemanno che non ci sono alternative al nuovo sito sponsorizzato dal Supremo. «Io non ho paura di Cerroni. Non è che voglia fare la sua laudatio, ma è un imprenditore che sa fare il suo lavoro, non fa danno al cittadino», ha detto a giugno il prefetto davanti alla commissione Ecomafie del Senato. «È un sistema che forse ha dato troppa fiducia negli anni a Cerroni. Questo avvocato», ha aggiunto il commissario, «ha guadagnato per 30 anni, se ne guadagna per 33... Dobbiamo trovare il modo di lavorare insieme, per il bene della città di Roma». Di sicuro, Cerroni avrà apprezzato il suo intervento.