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 2012  ottobre 25 Giovedì calendario

MISTER 700 MILIONI

[Il governatore cerca di resistere agli scandali anche se la sua lunga stagione è finita. Ai suoi amici più stretti resta però un tesoro. Accumulato grazie a tangenti, appalti regionali e consulenze] –
Una discarica di amianto in cambio di una scuola per Comunione e Liberazione. Se i 17 anni di potere assoluto di Roberto Formigoni sulla Regione Lombardia dovevano trovare un degno epilogo, questo è arrivato da Bergamo martedì 16 ottobre. Due esponenti di punta della Compagnia delle Opere, la lobby imprenditoriale del movimento fondato da don Luigi Giussani, sono finiti sotto indagine per corruzione. Avrebbero sponsorizzato, accusano i pm milanesi, una delibera proposta da Formigoni in persona (come rivelò "l’Espresso" nel marzo scorso) per smaltire amianto in una discarica fuorilegge in provincia di Cremona. Oltre alla mazzetta di rito all’ex assessore regionale Franco Nicoli Cristiani (già arrestato), l’imprenditore beneficiato ha costruito gratis una scuola gestita da Cl.
Affari privati in cambio di favori pubblici. Se è certamente sbagliato ridurre a questo scambio l’era Formigoni, è anche vero che le inchieste giudiziarie e la crisi della maggioranza Pdl-Lega Nord stanno facendo emergere verità imbarazzanti. Perché un manipolo di amici del governatore, di imprenditori vicini a Cl, di uomini d’affari e faccendieri, è riuscito in questi anni a costruirsi enormi ricchezze. L’hanno fatto spesso lecitamente, sfruttando gli spazi che la politica di Formigoni ha aperto per i privati nella sanità. Ma le indagini stanno alzando il velo anche su tesori spettacolari creati con tangenti e fondi neri. Quanto valga il bottino, non lo sanno neppure i magistrati. Le poche cifre disponibili, però, aiutano a farsi un’idea. I profitti illeciti scoperti solo con le ultime inchieste superano ampiamente i 100 milioni di euro, una cifra che raddoppia con i processi chiusi con discusse prescrizioni all’italiana. Ma c’è anche un pugno di imprenditori, sconosciuti ai più ma vicinissimi al presidente lombardo, che all’ombra della politica hanno gestito business favolosi. Con un giro d’affari che, solo nel quinquennio 2007-2011, ha sfondato il tetto del mezzo miliardo. Affari leciti, in questo caso, anche se più volte a gestirli sono alcuni degli stessi amici già coinvolti nelle indagini. Risultato: fra attività legittime e no, il giro degli amici ha gestito una montagna di risorse: circa 700 milioni solo negli ultimi anni.
LA COPPIA D’ORO
Sul versante dei fondi illegali, la coppia di denari più famosa è formata dai lobbisti ciellini della sanità: l’ex assessore regionale Antonio Simone e il faccendiere Pierangelo Daccò. Amici di Formigoni da una vita, sono accusati di averlo corrotto con regali da sultano per circa 8 milioni di euro. Ma in cambio delle spese per gli yacht, le ville di lusso e le vacanze esotiche del governatore, quanti «profitti illeciti» hanno incamerato? La prima fetta di bottino, secondo i magistrati, arriva dalla torta del San Raffaele. Daccò è stato condannato in primo grado a dieci anni di reclusione con l’accusa di aver sottratto più di 40 milioni all’ospedale , finito in bancarotta nel 2011. La giunta Formigoni ha sempre garantito ricchi finanziamenti al San Raffaele: 450 milioni solo nel 2011. I soldi che sparivano dalle casse dell’ospedale, per rispuntare sui conti esteri dell«uomo di collegamento con la Regione», cioè del lobbista Daccò, uscivano dalle tasche dei contribuenti.
Dal San Raffaele l’inchiesta si è allagata a un altro colosso privato della sanità lombarda, la Fondazione Maugeri. Qui il bottino, sempre garantito dai soldi dei cittadini, è ancora più grosso. Primo passaggio: la giunta Formigoni, dal 2002 al 2011, assegna «oltre 200 milioni» di finanziamenti «discrezionali» alla Maugeri. A quel punto la fondazione gira «oltre 60 milioni» a Daccò e Simone, sempre su conti esteri. E questo per un solo motivo, come confessano ora i dirigenti della Maugeri: per «aprire le porte della Regione» e incassare i soldi pubblici «bisognava pagare Daccò e Simone». Il passaggio finale, cioè l’accusa di corruzione, coincide con la scoperta che i due miracolati hanno ricoperto per anni di benefit milionari il presidente Formigoni e il suo amico Alberto Perego, che vive da anni con lui in una casa-comunità dei Memores Domini, la cerchia più stretta di Cl. Tutti questi passaggi di soldi sono documentati: i processi dovranno stabilire solo se siano illeciti, come accusa la Procura, o ricavati da attività di lobby e «traffici di influenze» non puniti dalla legge, come ribattono i difensori.
ALLE SPALLE DEI FRATI
Già così, la torta della sanità sembra golosissima. Per gustarla tutta intera, però, bisogna aggiungere la prima fetta, quella che sfugge alle indagini perché qualsiasi eventuale reato è ormai prescritto. Daccò e Simone, infatti, avevano cominciato a incanalare fondi regionali verso la Maugeri già nel 1997. E nello stesso anno (il secondo dell’era Formigoni) hanno siglato un altro «contratto di consulenza globale» con l’ordine dei Fatebenefratelli. Qui i pagamenti ai lobbisti ciellini si fermano nove anni fa, per cui il tempo della giustizia è scaduto. La Guardia di Finanza ha così registrato solo tre fatture, pagate dai poveri frati sugli stessi conti esteri usati da Daccò per il San Raffaele e la Maugeri: oltre 2 milioni. Ma con il Fatebene i rapporti furono più ricchi: Daccò e Simone hanno addirittura comprato e rivenduto una quota di un ospedale di Milano, il San Giuseppe, e curato investimenti dei religiosi in mezzo mondo, da Israele al Sudamerica. Un fiume di denaro ora disperso in conti offshore dalle Bahamas a Panama e in operazioni immobiliari da almeno 45 milioni tra Argentina e Caraibi.
I CONTI DEL CONVIVENTE
Perego, l’amico (e tesoriere personale) indagato con Formigoni, ha un altro problema con la giustizia: una condanna in primo grado per falsa testimonianza. È accusato di aver mentito ai magistrati per nascondere i suoi conti esteri scoperti con l’inchiesta Oil For Food, uno scandalo internazionale che continua a stupire. I fatti, a grandi linee: nel 2004, dopo la caduta di Saddam Hussein, le autorità americane scoprono che l’Iraq assegnava petrolio a politici contrari all’embargo. Formigoni si è meritato la quota più grossa, 24 milioni di barili, esportati da due società italiane da lui segnalate. La più ricca è la Cogep, che appartiene alla famiglia di Andrea, Natalio e Saverio Catanese, un suo vecchio amico. Da quell’affare proibito con l’Iraq la Cogep ha incassato 63 milioni. E la seconda società amica di Formigoni, la ligure Nrg Oil, altri 32. In cambio, secondo l’accusa, hanno pagato tangenti a Saddam. Mentre la Cogep premiava con gentili omaggi su conti esteri anche un ex parlamentare ciellino, Marco Mazarino De Petro, un altro caro amico di Formigoni (hanno pure una barca in comproprietà): una cresta personale di 720 mila dollari. Condannato in primo grado, De Petro ha ottenuto nel 2010 la prescrizione in appello e si è tenuto i soldi.
Nel frattempo la procura ha scoperto che De Petro aveva girato altri bonifici sui conti esteri di Perego e di Fabrizio Rota, l’ex segretario di Formigoni in Regione. In Svizzera, a Perego, sono così arrivati almeno 829 mila dollari dall’Alenia-Selex e 50 mila dall’Agusta. E un manager di Finmeccanica ha ammesso che servivano a ringraziare Formigoni e De Petro «per un appalto a Baghdad». Un’accusa ormai prescritta, ma ora riaperta dalla falsa testimonianza di Perego.
OLTRE FORMIGONI
È interessante notare come diversi protagonisti di queste operazioni sospette ritornino in affari, del tutto legittimi, compiuti all’ombra della Regione. E magari incrocino altri uomini d’oro dell’era formigoniana, non coinvolti nelle indagini. Un esempio è Claudio Cogorno, 51 anni, fondatore di una grande cooperativa che gestisce case per anziani, chiamata Icos. Un acronimo che sembra una targa: la "s" sta per sussidiarietà, uno dei principi più cari a Cl. In un interrogatorio Daccò ha detto di essere stato socio di Cogorno fin dagli anni Novanta e di essersi buttato nel business delle case di cura al suo fianco, per uscirne nel 2001. Proprio quell’anno, alla Icos iniziarono ad arrivare finanziamenti (agevolati o a fondo perduto) per le ristrutturazioni e rimborsi per i posti letto accreditati. Un flusso che ha fatto di Cogorno uno dei big del settore. Solo dal 2007 al 2011 la sua Icos ha visto crescere il giro d’affari da 32 a 49 milioni, per un totale di 208 milioni in cinque anni.
Anche i Catanese sono entrati, proprio negli ultimi anni, nel club dei grandi affari della sanità lombarda. Il protagonista oggi non è più il ramo familiare della Cogep, ma un parente stretto, Domenico Catanese, 49 anni, colonna di un network di amici di Formigoni che, tramite varie società interconnesse, cresce in un business in forte espansione: servizi privati per ospedali pubblici. Del network fanno parte Fabrizio Rota, che presiede una delle holding di Catanese, Mario Saporiti, un altro dei Memores Domini, e due amici con un passato a sinistra: Fabio Binelli, ex capogruppo dei Ds in Regione, e Massimo Ferlini, fino a poco fa numero uno a Milano della Compagnia delle Opere. Come ha raccontato per primo il "Corriere della Sera", a questo quintetto di personalità fa capo un intreccio di società – Prima Vera, Italia Servizi Integrati (Isi) e Sinesis – che ha accumulato un lungo elenco di affari nella sanità lombarda, dai servizi generali degli ospedali ai progetti per le ristrutturazioni. La parte del leone l’ha fatta la Prima Vera, che partendo quasi dal nulla ha registrato un boom negli ultimi cinque anni, con ricavi esplosi da 12 a 85 milioni. L’intero aggregato Prima Vera-Isi-Sinesis ha registrato nello stesso quinquennio, stando ai bilanci, un giro d’affari di ben 322 milioni di euro.
La Prima Vera, che è interamente controllata da Catanese, gestisce gli impianti tecnologici di diverse strutture sanitarie, dal riscaldamento alle apparecchiature biomedicali. Negli ultimi anni ha fatto incetta di appalti da Pavia a Lecco, da Milano alla Valtellina, aggiudicandosi lavori per molti anni a venire. La società di Catanese, però, è molto più di questo. È una delle colonne di un reticolo di partecipazioni che, con diversi assetti azionari e numerosi soci terzi quali cooperative bianche e rosse, supera i confini della sanità. Catanese e Saporiti, ad esempio, figurano tra gli azionisti di un gruppo che distribuisce gas ed elettricità anche a imprese e privati cittadini, la Utilità, forte di un giro d’affari nell’ultimo quinquennio di oltre 1,1 miliardi di euro. Anche qui, a ben vedere, la sanità formigoniana è sempre ben rappresentata, visto che fra i clienti di Utilità figura da quest’anno l’ospedale Niguarda di Milano, che comprerà l’intera fornitura di metano del prossimo anno.
Cifre inferiori a quelle di un altro snodo del network degli amici, la Isi, dove gli interessi di Catanese e Saporiti incrociano quelli di Ferlini e Binelli. Ancora una volta il focus sono gli ospedali. Fra gli appalti di Isi, infatti, c’è la gestione degli impianti tecnologici del Niguarda di Milano, l’ospedale pubblico guidato dal ciellino doc Pasquale Cannatelli. Oppure quello per il portierato, le pulizie, lo smaltimento rifiuti, la mensa e il verde del Nuovo Ospedale di Legnano. Un contratto lunghissimo, visto che scadrà nel 2033. Quando persino Formigoni potrebbe aver abbandonato la politica. Ma i suoi amici continueranno a fare i soldi.