Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  ottobre 17 Mercoledì calendario

Cuba libre (di scappare): cade il divieto di espatrio - Fra le tante, quella di impedire ai cittadini di Cuba di lasciare l’isola a proprio piacimento, per ragioni di studio, per affari, per turismo, per ca­priccio, era una delle ultime, vecchie indecenze escogitate dal regime

Cuba libre (di scappare): cade il divieto di espatrio - Fra le tante, quella di impedire ai cittadini di Cuba di lasciare l’isola a proprio piacimento, per ragioni di studio, per affari, per turismo, per ca­priccio, era una delle ultime, vecchie indecenze escogitate dal regime. Ma anche a Cuba, come a suo tempo al di là della cortina di ferro, non si era tro­vato di meglio per frenare l’esodo di massa via mare dei«balseros» inne­scato dalla rivoluzione del 1959 e dal paradiso comunista messo in piedi dai barbudos di Fidel . Da ieri,quell’indecenza passa in ar­chivio. Forse. Perché non è detto. Ma la sensazione, e l’irresistibile spinta della Storia dicono che anche que­st’ultimo baluardo si va crepando vi­stosamente. La notizia è che dopo cin­quant’anni i cubani non dovranno più chiedere un permesso per lascia­re l’isola. Né sarà più necessario filar­sela all’inglese, come hanno fatto gio­vedì scorso a Toronto tre calciatori della nazionale alla vigilia della sfida col Canada per le qualificazioni mon­diali. Basterà avere un passaporto, e un visto d’ingresso nel Paese in cui si intende recarsi. Negli ultimi cin­quant’anni, i cubani che desiderava­no lasciare l’isola dovevano piegare il capo e chiedere un nulla osta che ve­niva rilasciato a discrezione, senza obbligo, per le autorità, di giustifica­re il diniego. I cubani erano inoltre te­nuti a presentare una «lettera d’invi­to » dall’estero e non potevano rima­nervi più di undici mesi, a rischio di vedere i proprio beni confiscati ed es­sere definitivamente bollati come espatriati, generalmente senza più possibilità di ritorno. Come nella Mo­sca di Kruscev e di Breznev. Adesso la durata del soggiorno all’estero au­menta, da 11 a 24 mesi. E se tutto va be­ne si potrà anche chiedere un prolun­gamento della «vacanza». La nuova legge entrerà in vigore il 14 gennaio. E quel che da questa par­te­della barricata sembra una non no­tizia, sul Malecon e sulle spiagge di Varadero, all’Avana, ha assunto ieri i contorni del miracolo. Era una delle leggi più attese dai cu­bani. E il regime, che ipocritamente inscrive il provvedimento nell’ambi­to «del lavoro in corso per aggiornare le attuali politiche migratorie e adat­tarle alle condizioni presenti e del fu­turo » (un futuro senza Castro) sape­va di non poter resistere più a lungo. E tuttavia, il «Cuba libre» che verrà offerto ai cittadini di quel magnifico Paese non varrà per tutti. Ci sono al­cune categorie che si vedranno im­porre dei limiti, delle restrizioni. Una misura presa per evitare una fuga in massa di «cervelli» che altrove, nel mondo, vedrebbero meglio remune­rate le loro capacità. Già oggi per me­dici, scienziati e militari è impossibi­le recarsi all’estero. Ed è quasi sicuro, commentano alcune organizzazioni di dissidenti da Miami, che niente cambierà in futuro, a questo riguar­do. Per gli attivisti di «Cuba democra­cia! Ya!» il filtro migratorio continue­rà, ma sarà esercitato, più sottilmen­te, sulla concessione o meno del pas­saporto. «L’Avana, chi non la vede non l’ama»,si diceva una volta per spiega­re l’ineffabile malìa della città. È un antico proverbio che Fidel Castro e il suo plumbeo comunismo caraibico hanno fatto di tutto, negli ultimi cin­quant’anni, per far dimenticare. Non ci sono riusciti. E forse non è un caso che proprio mentre il regime, in­sieme con il suo fondatore, si avvia verso il regno delle ombre, la Cuba so­lare, irresistibile, avida di vita riemerga com’era, decretando la fine di un esperimento che è costa­to lacrime e sangue.. La prima scossa di ter­remoto che aveva fatto vacillare dalle fondamen­ta il regime si era registra­ta l’anno scorso, in pri­mavera, quando il gover­no concesse ai cubani la possibilità di recarsi al­l’estero per turismo. Non era un regalo. Era un se­gnale di resa, una dichia­razione di sconfitta, un at­testato della propria asto­ricità, quello sottoscritto dal governo capeggiato da Raul Castro, il fratello di Fidel. Prima di quel segnale c’era­no state le riforme economiche, in chiave liberista, annunciate al con­gresso del 2011 del Partito comuni­sta. Erano i giorni in cui si annuncia­va l’eliminazione della storica «libre­ta », la tessera che consente a tutti i cit­tadini di avere accesso a beni di pri­ma necessità a prezzi politici. I giorni in cui anche ai cubani si consentiva di avere libero accesso negli hotel («privilegio» accordato fino ad allora solo agli stranieri) e si potevano ac­quistare telefoni cellulari, lettori dvd, computer, e diventare proprieta­ri della casa in cui si abita e lasciarla in eredità ai figli. Ma già la notizia che si sarebbe potuto andare avanti e in­dietro dall’isola senza elemosinare un visto al partito, o senza farsela a nuoto, aggrappati alla camera d’aria di uno pneumatico, diceva che le cre­pe sulla facciata del carcere non era­no più rimediabili.