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 2012  ottobre 16 Martedì calendario

Europa in crisi, la Svizzera schiera i soldati - Scontri di piazza alla frontiera meridionale e a quella occidenta­le, lunghe colonne di profughi che, spaventati dalle violenze e dalle sempre più precarie condi­zioni economiche, cercano ripa­ro al di là del confine elvetico

Europa in crisi, la Svizzera schiera i soldati - Scontri di piazza alla frontiera meridionale e a quella occidenta­le, lunghe colonne di profughi che, spaventati dalle violenze e dalle sempre più precarie condi­zioni economiche, cercano ripa­ro al di là del confine elvetico. È l’incubo nascosto della Svizzera, che oggi come mai teme l’in­vasione e pre­para l’esercito. Nel mese di set­tembre i repar­ti dell’Armata rosso-crociata impegnati nel­le grandi mano­vre (più o me­no 2000 uomi­ni) hanno do­vuto fare fronte a uno scenario fi­no ad ora mai pianificato dagli strateghi dello Stato maggiore: l’implosione dell’area euro, con il susseguente caos in Nord Italia e in Francia. Rispondendo al setti­manale Der Sonntag , che ha reso noti i dettagli dell’esercitazione, il ministro della difesa Ueli Maurer ha calcato i toni: «Non escludo che nei prossimi anni avremo bi­sogno dell’esercito ». Non solo per­ché la situazione sociale del resto dell’Europa si fa sempre più preca­ria. Ma anche perché gli Stati del­l’area, sotto il peso della crisi finan­ziaria, rinunciano a rinnovare strategie ed armamenti. Risulta­to: i militari svizzeri si sentono sempre più soli e in difficoltà nella difesa della fortezza Helvetia (que­sto il nome della Svizzera nelle ulti­me manovre). Come prima con­tromisura concreta il comandan­te i­n capo delle forze armate ha an­nunciato un piano per la creazio­ne di quattro battaglioni di polizia militare pronti a presidiare le fron­tiere. Tanta drammatizzazione ha certo a che fare con la tradizionale prudenza dei nostri vicini svizze­ri. Ma c’entra anche,dicono gli os­servatori più maliziosi, con le esi­genze del ministero della Difesa di Berna che deve convincere opi­ni­one pubblica e Assemblea fede­rale a stanziare i finanziamenti per gli investimenti dei prossimi anni. Prima di tutto i 5 miliardi di franchi ogni 12 mesi necessari a mantenere una forza da 100mila uomini. Senza contare i soldi ne­cessari per l’acquisto dei nuovi co­stosi aerei da combattimento, gli svedesi Gripen (Grifone). D’altra parte, che nell’Europa della crisi possano scatenarsi mec­canismi sino ad ora impreve­dibili è dimo­strato da un da­to pubblicato ieri in Spagna: dal gennaio 2011 un milio­ne di persone ha lasciato il Pa­ese in cerca di lavoro. Più di 400mila solo nei primi 9 mesi del 2012: 365mila ex immigrati che nella penisola iberica non riusci­vano più a campare, a cui si sono aggiunti 53mila cittadini spagno­li. Quanto alla Svizzera, anche lei sente il peso delle difficoltà econo­miche, sia pure in modo del tutto diverso dai suoi vicini. Da mesi il Paese è diventato uno dei protago­nisti mondiali del mercato dei cambi. Per proteggere le industrie dal continuo apprezzamento del franco, che rischia di paralizzare l’export dell’industria locale, già in gravi difficoltà, la Banca centra­le ha fissato un cambio di 1,20 con la moneta unica. Ma per difender­lo è costretta ad acquistare enor­mi quantità di euro, che poi nego­zia su tutte le principali piazze fi­nanziarie. Anche la notizia che la principale azienda greca, la socie­tà che imbottiglia la Coca Cola, ha deciso a scopi precauzionali di tra­sferire la propria sede in Svizzera, è stata accolta quasi con timore. La paura è che si scateni un effetto a valanga e che la corsa alla Confe­derazione diventi inarrestabile. Da un lato questo peggiorerebbe la situazione delle economie in cri­si, cosa che tra Lugano e Zurigo nessuno si augura. Dall’altro fini­rebbe per attirare ancora una vol­ta l’attenzione delle autorità Ue sul sistema fiscale elvetico, met­tendo a repentaglio la precaria pa­ce con l’Europa. E se c’è una cosa di cui l’esercito di gnomi svizzeri ha paura è che Bruxelles torni a fa­re la voce grossa contro il «paradi­so fiscale» svizzero.