Marco Valerio Lo Prete, Foglio 19/10/2012, 19 ottobre 2012
MONTI CONTRO L’ABBRACCIO CORPORATIVO
[Il governo e l’assalto congiunto Squinzi-Cgil sulla produttività] –
Roma. Confindustria e Cgil, in questi mesi, non si sono mai tirati indietro dal criticare il governo tecnico. Non si contano più i loro affondi sulla riforma delle pensioni o del lavoro, sulla politica industriale o fiscale, oltre che sulla rottamazione del “metodo concertativo”. Sempre a dire che si poteva fare di più e di meglio. Ora però, per una volta che Mario Monti aveva chiesto alle parti sociali di abbandonare certi eccessi di disfattismo e assumersi le loro responsabilità , Giorgio Squinzi e Susanna Camusso si sono tirati indietro. Assieme. Questo il ragionamento che circolava ieri nell’esecutivo. Mentre Monti alle 14 entrava in una riunione brussellese con 26 capi di governo dell’Ue, a Palazzo Chigi si constatava infatti che nessuna telefonata era arrivata dalle parti sociali. Quindi l’accordo per rilanciare la competitività che il presidente del Consiglio aveva chiesto fosse raggiunto entro ieri non c’era. E’ stata persa così un’opportunità per dimostrare la “maturità del paese”, al di là della parentesi tecnica.
Il punto è che, secondo la ricostruzione del Foglio, due sere fa Confindustria e sindacati – Cgil inclusa – avevano raggiunto un’intesa di massima, senza firme in calce. Ma l’esecutivo l’avrebbe di fatto respinta al mittente. Il ragionamento del governo è questo: se l’accordo tra sindacati confederali e Viale dell’Astronomia esclude le altre organizzazioni datoriali, se l’accordo non incentiva davvero la contrattazione territoriale, se insomma siamo ancora di fronte a un tentativo di concertazione che non tiene conto degli interessi generali, allora meglio nessun accordo.
Per colmare il gap di competitività che ci separa dal resto d’Europa, ha fatto sapere fin dai giorni scorsi l’esecutivo, occorre un accordo di alto profilo. Detto altrimenti: non si possono avere aumenti salariali che siano solo blandamente legati all’aumento della produttività dei lavoratori. Altrimenti, ha detto martedì scorso Fornero al Sole 24 Ore, “ci sono modi migliori per spendere un miliardo e 600 milioni che non buttarli lì su un obiettivo mal perseguito”. E’ la stessa obiezione che due sere fa si è sentita opporre Confindustria dopo essere stata convocata al ministero dello Sviluppo. Viale dell’Astronomia aveva sposato la linea concordata nel pomeriggio dai sindacati confederali (Cgil, Cisl e Uil): applicazione entro dicembre dell’intesa del 28 giugno 2011 (quella che non bastò a trattenere la Fiat di Sergio Marchionne in Confindustria) e contratti nazionali sul modello di quello dei chimici.
Il governo però chiede di più: la contrattazione nazionale deve riguardare gli aspetti normativi, mentre per i salari la parte predominante della contrattazione è su base territoriale; poi anche maggiore flessibilità dei turni e del demansionamento (possibilità di cambiare ruolo a prescindere dal tipo di contratto).
Su questa posizione, avversata dai sindacati e soprattutto dalla Cgil, gli esponenti dell’esecutivo si sono trovati d’accordo con i rappresentanti della piccola impresa e del commercio presenti in sala. A sorpresa, poi, anche l’Associazione bancaria italiana (Abi), i cui associati devono gestire potenziali esuberi in tutta Italia, ha preso le distanze da Confindustria e si è schierata con Passera (ex ad di Intesa ed ex consigliere e membro del comitato esecutivo dell’Abi). Ieri una conferma dell’asse sindacal-confindustriale è arrivata da Luigi Marino, presidente di Alleanza delle Cooperative, che ha parlato di “differenziazioni parziali” e “posizione articolate” che separano la posizione di Viale dell’Astronomia da quella delle altre quattro associazioni datoriali del tavolo (Rete Imprese Italia, Abi, Coop, Ania). Per spingere Squinzi e Camusso a coinvolgere gli altri, e soprattutto a osare di più, il governo ha quindi minacciato di ritirare gli 1,6 miliardi di euro di detassazione del salario di produttività previsti dalla legge di stabilità.
Così si spiega il ruvido comunicato inviato ieri mattina alle agenzie dalla Cgil: “L’intervento del governo – ha scritto in maniera un po’ sibillina il sindacato di Corso Italia –, teso a delegittimare il sistema di rappresentanza delle parti sociali e la loro autonomia, ha impedito che il confronto potesse entrare nella fase conclusiva”. Passera, solitamente il più dialogante nel governo Monti, ha risposto in maniera dura: “Il fatto che il governo abbia messo a disposizione 1,6 miliardi di euro per far crescere la produttività documenta la volontà di favorire l’accordo e chiude con i commenti assolutamente privi di senso”.
L’asse Confindustria-Cgil, da Fiat a Fornero
Che poi, a dire il vero, non è la prima volta che l’asse Confindustria-Cgil si colloca all’opposizione esplicita del governo tecnico. “Una lettura benevola del comportamento di Confindustria è questa – dice al Foglio Pietro Ichino, giuslavorista e senatore del Pd – Nell’ultimo anno il sistema italiano delle relazioni industriali si è rivelato debolissimo a fronte del potere politico. Squinzi è convinto che questa debolezza dipenda soprattutto dal dissenso della Cgil, e quindi cerca di recuperarla al dialogo, saldando la frattura. Il problema è che la debolezza e inconcludenza del sistema delle relazioni industriali dipende dalla mancanza di una ‘visione lunga’ sugli obiettivi da perseguire, comune a tutti i protagonisti”. Il caso Marchionne, ovvero del manager italo-canadese che lo stesso Monti – da editorialista del Corriere della Sera – celebrava come esempio riformatore del 2010 italiano, è esemplare: Fiat infatti ha abbandonato Viale dell’Astronomia dopo che Emma Marcegaglia e Susanna Camusso annacquarono insieme l’intesa del 28 giugno 2011 sulle deroghe ai contratti nazionali.
Sulla riforma Fornero, poi, Squinzi ha sempre detto al governo che la questione dell’articolo 18 (leggi: la libertà di licenziare) non era fondamentale, salvo poi dolersi delle troppe tutele introdotte dal governo su contratti a termine e partite Iva. E ora che la Fornero si appresta ad accontentarlo aumentando la flessibilità in entrata, anche la Cgil non fa barricate. Industriali e sindacati si schierano dunque a difesa dei garantiti, a discapito degli outsider, giovani e precari. E’ la concertazione, bellezza. Per questo l’economista Riccardo Gallo, uno degli animatori del movimento liberista Fermare il declino che sabato con Zingales e Giannino organizza al Teatro Quirino di Roma un evento su questi temi, lancia una proposta-provocazione: “Ammettiamo che Confindustria e Cgil abbiano ragione. Ammettiamolo però a una sola condizione: che ogni volta che si siederanno al tavolo della concertazione con il governo, si impegnino pubblicamente a non chiedere nemmeno un euro del contribuente”. Chissà se Squinzi e Camusso ci starebbero. Monti però non vuole nemmeno metterli alla prova.