Camillo Dimitri, Costanza Iotti e Gaia Scacciavillani, Il Fatto Quotidiano 17/10/2012, 17 ottobre 2012
di Camillo Dimitri, Costanza Iotti e Gaia Scacciavillani Il Fatto quotidiano 17/10/2012 Cosa crea la somma della crisi dei poteri (forti e deboli), dell’economia in ginocchio e delle banche a secco? Il cortocircuito della stampa, che nella maggior parte dei casi si nutre di questi tre pilastri
di Camillo Dimitri, Costanza Iotti e Gaia Scacciavillani Il Fatto quotidiano 17/10/2012 Cosa crea la somma della crisi dei poteri (forti e deboli), dell’economia in ginocchio e delle banche a secco? Il cortocircuito della stampa, che nella maggior parte dei casi si nutre di questi tre pilastri. Tanto che l’autunno caldo dei giornali italiani è iniziato e non sono pochi gli osservatori che si chiedono a chi toccherà pagare il conto. Tra gli ultimi a mettere il dito nella piaga c’è stato l’economista Alessandro Penati, che il 17 settembre, in coda a un lungo editoriale in difesa di Sergio Marchionne pubblicato su Repubblica, invitava il capo della Fiat a vendere La Stampa e la partecipazione nel Corriere della Sera. “Così dimostrerebbe che tutti i settori in declino, non solo l’auto, non sono più “strategici” per il gruppo. LA STAMPA. Mai esempio fu più azzeccato. Per il momento della Stampa Marchionne ha solo pianificato la vendita dell’immobile che fino a poche settimane fa ospitava la sede storica del quotidiano torinese a due passi dal Valentino. Ma nessuno ha mai messo in discussione persino piccole partecipazioni nei media strategiche come quel 3% dell’Ansa, la prima agenzia di stampa italiana, vero e proprio riferimento per le stesure degli giornali e dei servizi televisivi nazionali. Intanto però la scure degli Agnelli si è abbattuta, come auto insegna, sui dipendenti del gruppo editoriale che sono passati dai 502 del 2008 ai 396 di fine 2011, permettendo alla Stampa (che ha anche lanciato un sito in tre lingue sul Vaticano, Vatican Insider) di chiudere il 2011 con un risicato utile da 146mila euro contro i 336mila euro del 2010, ma ben lontano dalla perdita da 14 milioni del 2009. Senza tuttavia dire addio a 44 milioni di debiti. Per il 2012 un aiutino è arrivato invece da Rcs, la società che pubblica il Corriere della Sera di cui Fiat è il terzo azionista con il 10,5% che da gennaio produce le copie della Stampa per l’Italia Settentrionale, mentre Torino si occupa della Gazzetta dello Sport per il Nord Ovest, in base a un accordo che “contribuisce alla saturazione dei rispettivi impianti portando in particolare a Torino circa 10 milioni di nuove copie stampate all’anno (l’8% della tiratura annua degli impianti, ndr) e consente importanti risparmi nei costi di produzione”, come spiega l’ultimo bilancio dell’editrice torinese. IL BUCO DEL CORRIERE. Del resto Torino non è l’unica ad avere un forte ascendente sul Corriere della Sera e a non voler mollare la presa costi quel costi, preferibilmente non denaro. Nel salotto buono dell’editoria si intrecciano differenti proprietari che vanno dall’industria della sanità, con Giuseppe Rotelli che sulla stessa via del tramonto di don Verzè nell’ultimo anno ha scalato la classifica nel settore tanto caro alla Regione Lombardia di Roberto Formigoni, alle banche come Intesa e Mediobanca, il crocevia di affari come FondiariaSai – Unipol o Parmalat – Lactalis, fino alle assicurazioni Generali e a imprenditori del lusso come il bellicoso Diego Della Valle, passando per la Pirelli di Marco Tronchetti Provera in questi giorni in testa alle cronache per i guai societari, ma anche per l’iscrizione nel registro degli indagati per ricettazione. Senza tralasciare i signori bergamaschi del cemento, i Pesenti, che la settimana scorsa hanno fatto parlare di sè per il sequestro dell’impianto Italcementi di Colleferro, per eccessive emissioni nocive. Non a caso da quando il vento della crisi ha iniziato a soffiare facendo uscire un po’ di scheletri dagli armadi, l’aria ha iniziato a diventare decisamente pesante in via Solferino. E tra una porta sbattuta e una che si è spalancata, aleggia l’imbarazzo di una coperta troppo corta per le tasche dei padroni che, tranne rare eccezioni, non sembrano avere nessuna intenzione di mettere le mani al portafoglio per tappare definitivamente il buco superiore a un terzo del patrimonio della Rcs che si è creato con le ultime perdite di 427 milioni. Per tacere del debito vicino 800 milioni in scadenza a fine 2013 che vede tra i creditori Banca Intesa e Mediobanca. Bisognerà vedere, al momento di pagare o mollare, quale sarà l’interesse prevalente degli azionisti. Di certo per ora ci sono solo i tagli in arrivo, attesi prevalentemente nell’area dei colletti bianchi, ma sui quali il nuovo amministratore delegato Pietro Scott Jovane, non si è ancora definitivamente pronunciato in attesa di concludere la stesura del piano industriale atteso tra metà novembre e metà dicembre. I MILLE PRESIDI LOCALI DELL’ESPRESSO. Esuberi di personale che riguardano tutti i gruppi. Anche L’Espresso di Carlo De Benedetti, mentre il sindacato dei giornalisti della società editrice di Repubblica da mesi tuona contro l’azienda accusandola di “non proporre alcun progetto di sviluppo, ma solo di continuare a operare tagli di spesa”. E nelle ultime settimane ha alzato il tiro invitando a più riprese “alla coerenza l’editore Carlo de Benedetti che, in un recente editoriale sul Sole 24 Ore, ha dichiarato testualmente: ‘è la creazione di lavoro la priorità che abbiamo davanti. Sarebbero guai se pensassimo che competitività e produzione si difendono con un’anacronistica battaglia sulla riduzione dei costi’ Pertanto, invece che ricorrere a tagli indiscriminati, l’azienda punti a valorizzare le risorse umane nell’ambito delle varie attività editoriali (carta, web, radio, tv) in cui è impegnata con grande successo, comprovato anche dai bilanci”. Del resto i sindacati sanno bene come il Gruppo Editoriale L’Espresso sia un tassello importante negli affari di famiglia che ruotano attorno a Cir e Cofide dove si intrecciano interessi negli immobili, nella sanità con Kos e nell’energia con Sorgenia. Non a caso non sono mai andate a buon fine le pressioni del figlio Rodolfo per ridurre l’esposizione sui media del gruppo che nella carta stampata oltre che su Repubblica e L’Espresso può contare su una miriade di giornali locali che non ha uguali nel panorama italiano: dal Corriere delle Alpi, alla Città di Salerno, passando per Il Piccolo di Trieste, la Gazzetta di Mantova, Il Tirreno e La nuova Sardegna, per un totale di 18 testate in 10 regioni. L’EDITORE BANCHIERE DEL MESSAGGERO. Che la presenza sul territorio sia un asset fondamentale, lo insegna anche il costruttore-editore Francesco Gaetano Caltagirone che ha quotidiani lungo tutto lo stivale: dal Mattino di Napoli al Gazzettino veneto passando per il Messaggero romano. Manca solo il tassello del nord ovest che il costruttore in passato avrebbe volentieri coronato con Il Secolo XIX o La Stampa. Anche qui, però, stato di crisi. Per colpa delle banche: la Caltagirone Editore ha chiuso il 2011 in perdita per 30,7 milioni (-11,4 milioni il risultato di metà 2012) principalmente per via delle svalutazioni di titoli azionari detenuti dalla società. Primi fra tutti quelli del Monte Paschi di Siena dal quale Caltagirone nell’ultimo anno si è progressivamente allontanato per concentrarsi su Unicredit nel cui consiglio di amministrazione siede il figlio Alessandro. Il centro degli affari del gruppo, che per l’editoria fa capo alla figlia del patriarca, Azzurra, moglie di Pier Ferdinando Casini, e che attraverso il Messaggero studia anche il lancio di un inserto di economia e finanza, resta però l’edilizia attraverso le controllate Vianini lavori, Cementir e Caltagirone spa, con affari importanti come l’appalto da 560 milioni per il prolungamento della metro romana B. Anche se a metà anno Vianini lamentava la forte difficoltà del “mercato delle opere pubbliche in ragione della riduzione delle risorse pubbliche disponibili”, pur vantando, in tale contesto, un portafoglio lavori da 1,9 miliardi al 31 marzo. L’ALBERGATORE-EDITORE DELLA NAZIONE. Chi invece è rimasto fedele al Monte dei Paschi al punto da licenziare in tronco il direttore della Nazione, Mauro Tedeschini, per aver pubblicato la scorsa primavera la cronaca sul violento scontro in atto da mesi tra il Comune di Siena e la banca locale per altro oggetto di un pesantissimo dissesto nel mirino della magistratura, è stata la famiglia Monti-Riffeser. Quella, cioè, che attraverso la Poligrafici Editoriale (consocio Andrea Della Valle) oltre alla Nazione pubblica Il Giorno, Il Resto del Carlino e la loro edizione nazionale comune, Quotidiano nazionale. Che c’entra il Monte? Semplice, nel senese è azionista al 20% della Tenuta La Bagnaia accanto ai Riffeser, già teatro delle nozze Caltagirone-Casini e, tutti gli anni, della kermesse Giovani, editori, istituzioni, che sul fronte degli affari inanella però una perdita via l’altra (4,6 milioni a fine 2011, dopo il rosso di 3,5 milioni del 2010). Non vanno meglio gli affari del gruppo editoriale che nei prossimi due anni taglierà altri 133 dipendenti per risparmiare 9 milioni dopo i 74 tagli del 2011: il semestre si è chiuso con un rosso di 3,9 milioni e un debito verso Ubi, Bpm e Unicredit che è salito a 85,4 milioni di euro. NIENTE DI NUOVO SOTTO IL SOLE. Soffre anche il Sole 24 Ore dell’ex direttore del Messaggero, Roberto Napoletano che dopo aver avviato uno stato di crisi nel 2010, per ridurre il numero dei dipendenti, quest’anno ha varato un contratto di solidarietà e non esclude una nuova operazione per contenere i costi del personale. Il giornale della Confindustria non riceve aiuti pubblici diretti all’editoria ma, come molti altri, beneficia di agevolazioni indirette di vario tipo. Nonostante ciò il 2011 si è chiuso con 8,4 milioni il rosso, perdita che è già stata replicata nella sola metà del 2012 e sta causando non pochi maldipancia all’associazione degli industriali che ha in bilancio la società editrice al valore di 1,47 euro per azione per un totale di 132 milioni di euro. Peccato però che in Borsa il titolo langua intorno ai 60 centesimi per una differenza complessiva di quasi 78 milioni. Intanto il piano industriale 2011-2013 dell’editrice è già stato rivisto e, se in futuro la situazione non dovesse migliorare, potrebbe toccare agli imprenditori di Confindustria mettere mano al portafoglio. Sempre che vogliano o la crisi economica glielo permetta. CHI LI SALVERA’? Anche perché le questioni dei numeri che non quadrano toccano anche buona parte degli altri gruppi editoriali, chi più chi meno. Molti, però, potranno contare sugli aiuti di Stato che anche il governo Monti si è impegnato a garantire con lo stanziamento, formalizzato a luglio, di 114,9 milioni di euro per il 2012. Quanto al futuro immediato, anche gli esclusi dagli aiuti sanno di poter contare su un alleato al governo come il ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera, che nella notte dell’approvazione della Spending review con un blitz celebrato su tutta la stampa, riuscì a convincere i colleghi dell’indispensabilità, anche ai tempi di internet, della pubblicità legale. Quella, cioè, che riguarda gli avvisi relativi agli appalti pubblici, la cui pubblicazione obbligatoria sui quotidiani nazionali senza il blitz notturno di Passera sarebbe stata cancellata. Ma le attese, ora, sono tutte per la campagna elettorale. in http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/10/17/cortocircuito-della-stampa-italiana-tra-crisi-dei-poteri-e-lattesa-degli-aiuti/384704/