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 2012  ottobre 16 Martedì calendario

QUESTO NON È UN PAESE PER DONNE

“Avevo paura di perderla. Gliele ho date così forte che è volata giù dal letto”. A metà del 2012, sono già 80 le donne uccise in Italia dai loro uomini. Nel 2011 sono state 137, una ogni tre giorni. Una strage silenziosa, di cui raramente gli stessi media si preoccupano. Riccardo Iacona ha attraversato l’Italia per raccontare i maltrattamenti e i femminicidi e ne ha scritto un libro “Se questi sono uomini”. Ne pubblichiamo uno stralcio.
La chiamerò Maria, anche se questo non è il suo nome. L’uomo che la torturava è a piede libero e lei è terrorizzata dal fatto che lui possa in qualche modo rintracciarla. L’ha già cercata diverse volte da quando, due anni fa, ha preso il coraggio a quattro mani e, insieme al figlio di pochi anni, è scappata dalla casa dove era prigioniera. “Lui stava a casa quel giorno, io gli ho detto: ‘Vado a fare una passeggiata’, ho preso mio figlio piccolo e sono salita sul primo autobus che è passato. Appena uscita mi ha preso il terrore, non sapevo neanche in che parte della città mi trovassi e avevo paura che lui mi venisse a riprendere. Ho chiamato allora una persona amica, che mi ha aiutato, mi ha fatto dormire in un albergo con il bambino, il giorno dopo mi ha accompagnata dalla polizia dove ho fatto la denuncia, ma non sapevo dove andare con il bambino, e la polizia mi ha portata qui”. […]
“LUI HA COMINCIATO quando ci siamo fidanzati, avevo 14 anni”, continua a raccontare Maria. “Poi a 17 anni sono rimasta incinta e ci siamo sposati, e sono cominciate le violenze pesanti. Mi picchiava con la cintura dei pantaloni, con i bastoni, mi minacciava con il coltello davanti al bambino che aveva solo un anno. Ho fatto il calcolo che su un mese venivo picchiata venti giorni”. “Perché?” le chiedo. “Per quale motivo?”
“Per nessun motivo, sono proprio uomini violenti, che godono a farti del male, sono padroni cattivi e non sai come gestirli . Io cercavo di fare tutto quello che lui mi diceva, ma lui non smetteva”. “Quindi, anche a dire sempre di sì, le violenze non smettevano lo stesso?”. “Esatto. Ogni scusa era buona, anche una stupidaggine, qualcosa del mangiare che non gli piaceva e mi tirava le pentole addosso”. “Quindi è finita spesso al Pronto soccorso”. “Sì, certo, quando mi ha fratturato la gamba, per esempio, e due volte il braccio...”. “E come ha fatto?”. “Mi ha preso la caviglia con le mani e me l’ha rigirata”. “E il braccio?”. “Il braccio me l’ha rotto con le botte. Eravamo in macchina, ha parcheggiato contro un muro in modo che non potessi uscire e mi ha preso a cazzotti. Poi mi ha trascinata fuori dalla macchina per tutto il viale e mi ha presa a calci con le scarpe antinfortunistiche. Io cercavo di ripararmi con il braccio, ed è così che me l’ha spezzato. Poi lui mi picchiava sempre in faccia e adesso sono tre mesi che mi hanno operata al naso. Ho problemi anche alla schiena, mi sono trovata due vertebre incrinate per tutte le botte che ho preso. Mi hanno raccolto con il lenzuolo l’ultima volta che l’ha fatto”.
“E non riusciva a fermarsi, non dava un po’ di botte e poi si calmava?”. “No, finché non stavo per terra svenuta o con il sangue, solo allora si fermava”. “Qual è stato l’episodio che l’ha convinta a fare questo passo, a lasciarlo, a denunciarlo?”. “Dopo tanti anni, alla fine o scappi o vai incontro alla morte, perché tanto era quella la fine che avrei fatto”.
“Aveva paura di morire?”. “Sì, me la sono vista veramente brutta parecchie volte, e poi ho visto troppe violenze addosso ai miei figli. Solo quando sono entrata qui dentro ho scoperto che c’era una vita che neanche sapevo esistesse. Anche mio figlio adesso è più sereno, e lo devo ringraziare, perché è stato lui a tirarmi su. Mi diceva: ‘Mamma, non tornare indietro, fatti coraggio, non torniamo a casa’, e allora tutta la forza che mi dava questo bambino... aveva 4 anni e mezzo, pensi, un bambino che dice queste parole...”.
Interrompe il racconto per un attimo, il tempo di riprendersi dall’emozione. “La sera i miei figli, appena sentivano il rumore della macchina di lui, entravano in agitazione. Io gli dicevo: ‘Mettetevi davanti alla tv’, e dentro di me pensavo: ‘Speriamo che non cominci, speriamo che non cominci’. Sempre il dolore allo stomaco mi prendeva per la paura che mi prendesse a botte, e i miei figli si mettevano zitti zitti, in un angoletto, si facevano piccoli piccoli. Così ho vissuto io per venticinque anni, e mi è andata anche bene, le ripeto, la fine mia era quella, mi avrebbe ammazzata”.
SE QUESTI SONO GLI UOMINI
Riccardo Iacona
258 pagine, Chiarelettere, Euro 13,90