Maurizio Chierici, il Fatto Quotidiano 16/10/2012, 16 ottobre 2012
AMAVA GLI USA E POL POT. ADDIO - È
morto Sihanouk, re padre della Cambogia. Aveva 89 anni. Dai giardini della California si era trasferito a Pechino per curare una malattia di poche speranze. I cinesi gli avevano salvato vita e trono due volte e si è affidato alle loro mani ma non ce l’ha fatta. Fino agli ultimi giorni ogni mattina apriva il computer per informare il mondo “di come andava la salute”. Blog nel quale fingeva di rispondere a lettere mai ricevute, curiosità inventate per nostalgia: ricette di cucina, titoli dei suoi brutti film, la leggerezza di quando giocava a pallavolo o guidava le danze del corpo di ballo del palazzo di Phnom Penh.
È stato un’equilibrista sublime mentre il Vietnam bruciava nella guerra e 400 mila marines non riuscivano a piegare il generale Giap. Sihanouk si appoggiava a Pechino, dialogava con i Kmer Rossi senza rompere l’alleanza col Vietnam del Sud dove l’influenza di Washington era assoluta. Al Pentagono lo considerano “una trottola impazzita”: quel violare la neutralità firmata a Ginevra sotto l’ombrello Usa mentre rafforzava i legami con Mosca che proteggeva Hanoi in guerra con gli Stati Uniti. E la Francia si rammaricava per l’ingratitudine “sfacciata”. Parigi gli aveva affidato il trono scavalcando il padre della cui fedeltà non erano proprio sicuri.
MA IL FIGLIO era cresciuto nel liceo francese più raffinato di Saigon dove le buone famiglie mandavano ragazzi da premiare con vacanze a Parigi. Portavano a casa le canzoni di Maurice Chevalier. A 19 anni re Sianouk intrattiene la corte cantando col sorriso dietro il quale nasconde la furbizia di un intrigante dall’apparenza frivola. Guida il ballo reale assieme a una compagna per anni concubina. Signora ormai morbida che ogni mese spedisce a Parigi una piccola valigia protetta dal sigillo diplomatico. L’indirizzo è del nipote al quale la benevolenza del sovrano ha concesso la borsa di studio. Il ragazzo si chiamava Shalon Sar. Quando nel ’51 torna a Phnom Penh senza diploma e con strane idee, il suo nome comincia a cambiare in Pol Pot. La Francia si arrabbia per le pugnalate del sovrano proprio quando non é mai stata così fragile nel-l’Indocina dove prepara la bataglia estrema a Dien Bien Phu. Sei mesi dopo la sua ultima roccaforte in Vietnam abbassa le armi piegata dall’assedio del generale Giap. Addio colonia, arrivano gli americani. 1953, subito Sianouk chiede l’indipendenza e Parigi si arrende. Ma governare è complicato. Per la stratificazione dei privilegi coloniali si dimette da re, nomina successore il padre, scioglie il parlamento, vince le elezioni: principe ereditario e primo ministro. Ma il Paese é dilaniato dalle guerriglie alleate ai vietcong di Giap; i latifondisti vogliono liberarsi del ballerino dal pugno di ferro. Il caos che finisce in un colpo di stato: Lon Nol, generale che gli deve gradi e carriera, obbedisce a Washington e ne prende il posto mentre Sihanouk si rilassa sulla Costa Azzurra. L’ex sovrano corre a Pechino e Pechino lo prega di aver pazienza: Pol Pot sta marciando sulla capitale per rovesciare il “governo americano”. Sono i cinesi ad organizzare lo storico incontro. Esiste un filmato girato nella boscaglia. Il pricipe scende dall’auto e con le braccia aperte corre come un bambino.
Bacia Pol Pot, stringe con devozione le sue mani. Sporche di sangue, lo sa, e il sangue scorrerrà come mai nella storia: 2 milioni e mezzo di morti ufficiali. Ma va bene cosi perché i Kmer Rossi lo riportano al suo palazzo dove per un anno vive prigioniero. Lo salvano sempre i cinesi pochi giorni prima che i vietnamiti liberino la capitale da Pol Pot. A Pechino Sihanouk aspetta di sedersi sul trono. Torna nel 1993, rotondo, ma di nuovo sovrano. Nel 2004 passa la corona al figlio riservandosi i poteri speciali dovuti all’invenzione del re padre. A volte, le coincidenze: mentre Sihanouk si spegneva, il Vietnam festeggiava i primi 101 anni del generale Giap, ultimo superstite dei fuochi lontani.