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 2012  ottobre 16 Martedì calendario

“NON È UNA MANOVRA” MA CI COSTA CINQUE MILIARDI

Adesso lo ammette anche il governo: gli italiani pagheranno più tasse grazie alla legge di stabilità che “non è una manovra” approvata la scorsa settimana. Lo certifica la relazione tecnica circolata ieri pomeriggio (il testo definitivo del ddl dovrebbe essere pubblicato oggi), che assume su di sé anche lo sgradevole compito di smentire il ministro che la firma: “Abbiamo voluto dare un segnale avviando un percorso di riduzione della pressione fiscale”, scolpiva su Repubblica di ieri Vittorio Grilli dichiarandosi basito per le critiche arrivate alla fatica sua e di Ma-rio Monti (“se anche questo, nella polemica quotidiana, viene trasformato in una segnale negativo, allora diventa un suicidio per il paese”). Solo che il ddl stabilità non abbassa affatto la pressione fiscale, al contrario la alza, come scrive nero su bianco lo stesso governo: facendo due conti a partire proprio dalla relazione tecnica risulta che nel 2014 – con le norme a regime per l’intero anno – l’erario alleggerirà i cittadini di oltre 12 miliardi, restituendogliene in minori imposte solo sette.
QUELLA CHE SEGUE, perdonerete la pedanteria, è la lista degli aumenti di tasse e imposte nel 2014 secondo il documento governativo: un punto in più di Iva, si desume dalle tabelle dell’esecutivo, vale più o meno 6,5 miliardi di maggiori entrate (cui va aggiunto l’aumento dei prezzi); la franchigia da 250 euro su deduzioni e detrazioni (e per queste ultime anche il tetto a tremila euro) 1,15 miliardi; l’aumento dell’Iva alle cooperative sociali costa 153 milioni e quella delle aliquote sui Tfr 170, il bollo sui certificati penali 175, gli aumenti per il comparto agricolo 150 circa; le minori detrazioni sulle auto aziendali comporteranno un prelievo di 570-590 milioni; alcune nuove norme fiscali per banche e assicurazioni drenano dal sistema oltre un miliardo (che probabilmente pagheranno i clienti), la tassazione di pensioni di guerra e di invalidità sottrae alle famiglie 255 milioni; l’imposta di bollo sulle transazioni finanziarie, che rappresenta un anticipo di Tobin Tax, genera introiti per 1,1 miliardi, la stabilizzazione dell’aumento delle accise per i
carburanti innescato dal terremoto in Emilia 800 e più milioni l’anno. Dal lato degli sgravi fiscali, invece, ci sono la riduzione di un punto delle prime due aliquote Irpef (oggi al 23 e 27%), che vale 6,6 miliardi compresi gli effetti sulle liquidazioni, e i 400 milioni stanziati per finanziare la de-tassazione del salario di produttività. Dodici miliardi e più nella colonna del dare e 7 in quella dell’avere, e questo senza nemmeno citare gli effetti perversi sui redditi bassi cui il taglio delle tasse sul reddito interessa poco, mentre l’aumento dell’Iva moltissimo.
Per il 2013 la situazione è più complessa: intanto il taglio Irpef agisce in maniera meno potente visto che si applica sull’anno fiscale in corso, poi l’aumento dell’Iva scatta dal 1 luglio e c’è ancora l’incognita delle nuove norme sulle detrazioni. Il ddl uscito dal Consiglio dei ministri le prevedeva retroattive, cioè a valere già sui redditi 2012, mentre ieri fonti governative sostenevano che nella versione definitiva – quella che arriverà alla Camera oggi – il taglio partirà solo dal 1 gennaio prossimo (in questo modo l’esecutivo eviterebbe pure di violare lo Statuto del contribuente).
IL CONTO NON È comunque positivo in nessun caso: se franchigia e tetto alle detrazioni partissero subito il conto delle maggiori imposte per l’anno prossimo ammonterebbe a circa 9,3 miliardi di euro – 7,3 senza la retroattività – mentre le minori imposte saranno in tutto 5,4 miliardi (4,2 per via del taglio dell’Irpef e 1,2 miliardi per il salario di produttività). Questa manovra è talmente recessiva (e iniqua, come vi raccontiamo nell’altra pagina) che nessuno dei partiti che sostiene Mario Monti, nemmeno l’Udc per una volta, se la sente di difenderla: molti nel Pdl – tra tasse e tagli alle forze dell’ordine – cominciano a dire che così la “non manovra” non si può proprio votare (Gasparri, Boniver, Rotondi, Giovanardi, etc); nel Pd si sommano le critiche moderate dei montiani (“lo Stato non può risparmiare con le detrazioni e le pensioni di invalidità, questa legge va riscritta”) alla bocciatura radicale di Stefano Fassina, vicino a Pier Luigi Bersani, che vuole cancellare tutta la manovra fiscale su Irpef, Iva e detrazioni. A chi piace questo ddl? Per ora alla Cisl, chissà perché, e alle scuole cattoliche: l’anno prossimo gli istituti non statali s’intascheranno 233 milioni.