Francesco Maesano, il Fatto Quotidiano 17/10/2012, 17 ottobre 2012
ECCO L’AGUZZINO DI AMANDA
Dei suoi 15 anni di vita, gli ultimi tre li aveva passati a sfuggire all’aguzzino che la ricattava per una foto scattata a un seno quando aveva dodici anni. Così, mercoledì 10 ottobre, Amanda Todd ha deciso di averne abbastanza e si è tolta la vita.
Quando in rete hanno iniziato a circolare le foto del suo corpo nudo durante l’autopsia gli hacker di Anonymous hanno deciso anche loro di averne abbastanza. Si sono dati a una caccia all’uomo serrata finché non sono riusciti a dare un volto a colui che ha pubblicato le foto private di Amanda sui social network, rendendole la fine dell’infanzia un giardino d’inferno.
“Generalmente non amiamo avere a che fare con la polizia direttamente, ma in questo caso ci siamo sentiti nell’obbligo di utilizzare le nostre capacità per proteggere i minori. Questa è una storia a cui non siamo indifferenti”. Poche righe inviate dal gruppo di “hacktivists ” a un’emittente televisiva canadese accompagnate da un video pubblicato in rete in cui forniscono nome, cognome e indirizzo del persecutore.
PASSANO pochi minuti dalla pubblicazione e qualcuno posta le prime immagini prese da Google Street View della casa dove abita l’uomo, degli screenshot del suo profilo Facebook, delle chat prese da un sito dove l’uomo adescava ragazzine. Ora la polizia nutre timori per la sua sicurezza.
“Non ho nessuno, ho bisogno di qualcuno”, ha scritto Amanda sui fogli di carta che ha mostrato uno a uno, come diapositive, davanti a una webcam per il suo ultimo videomessaggio: le dita affusolate, lunghissimi capelli ondulati, le labbra tormentate tra morsi e sorrisi accennati.
Gli americani utilizzano in un modo tutto loro la parola “bullo”. Il bullo è il piccolo prepotente, ma può diventarlo chiunque. Nei dibattiti pubblici sono molto attenti ad identificare il bullo che prevarica gli altri: nessuno vuole essere il bullo di turno.
Il cyber-bullo che tormentava Amanda godeva della soggezione che esercitava sulla ragazzina. Secondo le ricostruzioni l’avrebbe minacciata di diffondere le immagini del suo seno adolescente se lei non avesse acconsentito a dare ancora spettacolo per lui. Poi le aveva pubblicate comunque. “Le tue foto le hanno viste tutti” le aveva detto un agente di polizia piombato a casa sua.
Alla scuola di Vancouver, dove Amanda si era trasferita negli ultimi mesi nel tentativo impossibile di sfuggire alla persecuzione in rete, giurano di aver fatto di tutto per aiutare quella ragazzina che cercava di capire se stessa e la propria sessualità con gli strumenti che aveva a disposizione.
QUALCHE MESE prima di suicidarsi aveva conosciuto un altro uomo, sempre on line. La compagna dell’uomo l’aveva cercata, individuata e aggredita in pubblico a calci e pugni mentre chi assisteva alla scena la incoraggiava ad andarci giù pesante, a dare una lezione a quella ragazzina.
Dopo quella volta Amanda aveva bevuto la candeggina. Una lavanda gastrica le aveva salvato la vita, ma al ritorno a casa dall’ospedale aveva trovato la bacheca di Facebook coperta di insulti e incitamenti a fare meglio, a scegliere il solvente giusto, la prossima volta. Una prossima volta che è arrivata con un altro tentativo di suicidio, ancora a vuoto. E poi il terzo, l’ultimo.