Fabrizio D’Esposito 17/10/2012, 17 ottobre 2012
E ORA PARTE LA CACCIA ALLA BINDI
La rottamazione genera gravidanze immaginarie. Ugo Sposetti, ex tesoriere ds, avanza nel cortile del Transatlantico e punta un gruppo di cronisti. Ha l’aria di chi vuole dire qualcosa, meglio precisare, se non smentire. Una settimana fa, Sposetti ha annunciato la sua decisione di non ricandidarsi per il Parlamento: “Farò il nonno se mia figlia vorrà”. Una via di fuga in famiglia dal male di vivere che sta assalendo gli altri rottamandi, a partire da D’Alema. Così, da quel momento, in tutti gli articoli sugli esodati della Casta democratica, il sessantacinquenne Sposetti, quattro legislature, è diventato “nonno Ugo”. Trascorsi sette giorni dalla fatidica promessa, il volto spossato e grave di Sposetti affronta però i giornalisti: “Volevo dirvi che non sono nonno. Sto ricevendo telefonate anche da vecchi colleghi delle Ferrovie ma mia figlia non è nemmeno incinta. Capito?”.
L’arguto professore Arturo Parisi, già prodiano, ribalta invece il punto di vista dei suoi colleghi di partito schiacciati dalla paura del vuoto una volta a casa. Per loro meglio continuare a fare i morti viventi (copyright a metà tra Grillo e Di Pietro) in Transatlantico. Per Parisi meglio dire basta al senso di giornate pesanti e vuote allo stesso tempo: “Dodici anni in Parlamento sono un’infinità, specie se penso agli ultimi quattro passati a pigiare bottoni a comando. La mia esperienza è sicuramente conclusa”. Colpa anche delle riforme mancate e di quelle pasticciate, come la bozza della nuova legge elettorale: “Una sola parola: vergogna. Perché solo ora si sta affrontando un tema la cui discussione è stata avviata ben 13 mesi fa. Napolitano, poi, con le sue dichiarazioni di incitamento non fa altro che rallentare il cammino, più che paletti quelli messi da Napolitano sono palate”.
NEL FORTINO del Pd assediato dal furore nuovista di Matteo Renzi c’è un’invisibile linea di confine. Da un lato quelli che sicuramente andranno via e parlano senza problemi. L’ultimo è Enrico Letta: “Questa sarà la mia ultima legislatura”. Dall’altro i resistenti che s’incupiscono se accenni loro la questione dopo la svolta di Veltroni di abbandonare la Camera, seguita dallo scontro tra D’Alema e Bersani. Sono urla del silenzio, quelle della nomenklatura democratica mollata pure dal segretario. Accanto a D’Alema, nella prima fila dei bersagli facili, c’è Rosy Bindi. Contro la pasionaria del Pd c’è una sgradevole caccia alla donna. Non solo da parte dei renziani. Profetizza un autorevole bersaniano a taccuino chiuso: “Vedrete, alla fine D’Alema non si candiderà e il vero problema sarà convincere la Bindi a ritirarsi”.
Il fuoco amico contro l’ex ministra è cominciato all’assemblea del 6 ottobre scorso. Lei, presidente del partito, si è trovata sotto accusa per l’eccessiva rigidità delle regole da imporre alle primarie, con l’obiettivo di penalizzare l’odiato sindaco di Firenze. Nessuna mediazione, lotta a oltranza. È dovuto intervenire Bersani per chiedere il ritiro degli emendamenti sulla cosiddetta doppia registrazione. All’isolamento, la Bindi sta reagendo incazzata ma anche ferita. In due giorni ha ricevuto una decina di richieste d’intervista . Rigettate. Questione d’orgoglio, anche. Una con la sua storia, sembra di capire, capolista in più circoscrizioni, non accetta di ridurre tutto alla burocrazia delle deroghe, peraltro resa rovente dall’uscita antidalemiana di Bersani. Il segretario non garantirà più una rete di protezione. Tradimento? Nel caso della Bindi, nota il deputato Pd Dario Ginefra, ci potrebbe essere persino una doppia deroga: sia da presidente del partito, sia da vicepresidente della Camera. Ne chiederà almeno una, lei?
Ieri sera, Bersani ha organizzato una riunione con i parlamentari che lo sostengono alle primarie. Assente D’Alema, presente invece la Bindi. Con lei anche Anna Finocchiaro, capogruppo al Senato, e Franco Marini, altri due illustri esponenti finiti sulla strada della rottamazione. La Finocchiaro è un’altra donna che reagisce con sdegno alle richieste dei cronisti. Nel Pd, la crisi di nervi è generale. Solo Beppe Fioroni, che ravvisa nella tensione di questi giorni la volontà di decimare l’ala centrista del partito, cerca di ironizzare su D’Alema e Bersani: “Se so’ un po’ presi a schiaffi”. Sulla deroga, Fioroni, dice: “Io chiedere la deroga? Sarà la direzione a decidere se rientro o meno nei criteri, mica la chiedo io. Ma prima che arrivino a me ce ne vuole, ho solo 15 anni e 8 mesi qui dentro”. D’Alema, Bindi, Marini, Finocchiaro. Da ieri la rottamazione è diventata bipartisan nel Pd. Bersani fa compagnia a Renzi.