Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  ottobre 18 Giovedì calendario

GRILLO IL VICERÈ SEDUCE LA SICILIA: “QUI SIAMO I PRIMI”

[L’autoironia: “Sono grasso, vecchio, miliardario. Ma ci credo”] –
Se ha un problema, qui, Beppe Grillo ce l’ha con la toponomastica. Sono sbarcato a nuoto dice, dopo che già erano sbarcati Giuseppe Garibaldi a portare lo Stato e gli Americani a portare la mafia. Che poi nella dottrina grillesca lo Stato e la mafia sono all’incirca la stessa cosa. Lo dice nella notte di martedì, in una piazza pienotta ma non traboccante e alle sue spalle c’è via Megara. “Già colonia greca”, riporta l’insegna di pietra. Siamo ad Augusta, città di raffinerie e aria lercia che scirocco e maestrale provano a soffiare altrove. Si chiama così per volere di Federico II, Stupor mundi, ma far l’elenco di chi sbarcò a portare un mondo migliore, e a forgiare la noncuranza e la disillusione, è come recitare la formazione a memoria: romani, svevi, saraceni… Lui lo sa. Picchia i pugni sui tubolari del palco. “A Modica sono rimasti tutti sotto i portici! Qua sotto non veniva nessuno! Ma la dovete cambiare voi questa terra!”. A ogni comizio, e sono due al giorno, più la nuotata fra Reggio e Messina, più la scalata all’Etna, la voce è un po’ più roca. A ogni comizio spiegano che stavolta sarà breve e invece lui si lascia prendere e non molla il microfono, urla, strepita, snocciola certificati di morte, promette sputi digitali, sprona alla ribellione contro la Bce, recita Salvatore Quasimodo per non dimenticare da dove viene: “Ognuno sta solo sul cuor della terra / trafitto da un raggio di sole: / ed è subito Micciché”. Una forza della natura. Prestazioni fisiche di rara generosità. Una classe suprema nell’arte dell’incantamento: “Io che c… ci faccio qua? Sono miliardario! Sono vecchio! Sono grasso! Ho sei figli, due vanno in Nuova Zelanda, uno va in Australia, il quarto vuole andare a Los Angeles. Con la morte nel cuore gli ho detto vai, perché questo è un paese di m… Ma no! Non posso fregarmene! Non può essere anche colpa mia! Non può essere anche colpa vostra! Datevi una mossa!”. Ed è qui che la folla sbanda, vibra, ha la commozione in gola, guarda su verso le colline di Enna o giù verso il mare di Siracusa, applaude e si gonfia dei buoni propositi di ogni nostra sera.

E’ una partitaccia. Grillo non sa nemmeno chi sono i suoi. Arriva a Piazza Armerina - città meravigliosa di collezionisti d’arte, dove si capita in un albergo a dormire su un letto di Gaetano Pesce – e scende dal camper e chiede: chi sono i candidati? E’ dura così. Lui lo ripete: “L’animo umano è quello che è, qualche mascalzone capiterà anche da noi”. Ma questa, dice, è una rivoluzione culturale. E dalle piazze lo guardano un po’ come un ufo, perché qui – spiegano quelli che ne sanno, quelli che della Sicilia sanno il perché e il percome di ogni pietra – la politica non è filosofia. La filosofia è una cosa seria. La politica è ufficio di collocamento. E soprattutto la politica non deve rompere i cosiddetti. A Piazza Armerina a metà pomeriggio (comizio fissato alle 18 in piazza Falcone e Borsellino) alle 16 sgombrano anche piazza del Duomo nella città alta, da dove pare comincerà, per modifica di programma, la passeggiata di Grillo. Così arrivano i vigili a far spostare le macchine e lo scandalo è messo in poesia da uno che parla con confidenza a un carabiniere: “Ma come? Arriva ‘no strunz e non si parcheggia più?”. Un’altra signora: “E che deve fare? La processione?”. E per completare il quadretto ecco Nunzio, ottant’anni: “Davvero passa qua Grillo? Ci devo parlare”. E che gli deve dire? “Io ci avevo un forno. E l’ho lasciato a mio figlio. E quello non sa fare il pane e s’è mangiato il negozio”. E di questo gli deve parlare? “E di che cosa sennò?”. Nunzio è uno che ricorda del padre che gli raccontava di quando arrivò il Duce, e si calò quattrocento metri in miniera, a fare vedere come si lavora.

E poi la concorrenza è piuttosto complicata. Ti chiamano a casa, gli altri candidati. Raffaele Lombardo ti fa chiamare dalla segretaria: “Il presidente avrebbe piacere di vederla quest’oggi alle 15”. “A me?”. “Certo, a lei”. Nei giorni di guerra Lombardo riceve dall’alba a notte. Così si fa la politica a raccattare voto su voto. Ha bisogno di qualche cosa? Tutto bene? Suo figlio? E non sono mica cose nuove. Lo sa anche Grillo. La gente lo aspetta alla scaletta del palco e lui è un santo. Saluta. Fa le foto coi ragazzi e le vecchiette. Si prende i baci. Si rimette a discutere. C’è chi gli dice: «Sei venuto qua e che pensi di cambiare?». Arriva un ragazzo, ad Augusta, e gli chiede perché sia così sprezzante coi siciliani. Grillo si china. Gli mette le mani sul petto. «Non sono sprezzante. Ma la dovete piantare di dire: va bè vediamo che fanno questi… Dovete cominciare a pensare a che cosa volete fare voi per cambiare le vostre vite. Il mio movimento è soltanto un tramite. E’ la rivoluzione della Rete!». E il ragazzo insiste («ho ventuno anni, studio economia”), gli mostra una lettera che un candidato del M5S ha mandato a Silvio Berlusconi, chiamandolo affettuosamente “zio”, e intestata “Giovani del Pdl Augusta”. Io queste cose non le so, dice Grillo, «magari qualcuno vuole fare carriera, ma non è questo il punto…». Uno dello staff fa il fenomeno, con una grinta caricaturale, «ha già spiegato tutto», dice secco e nervoso. Spunta qualche telecamera. E Grillo: «Hei, pivello, guarda che quelli ti fregano…». E lui amareggiato: «Sono venuto perché pensavo fossero diversi».

E’ sempre dura. Ma qui lo è di più. Lo spiega la toponomastica. I neon dei locali. “Caffè Gattopardo”. “Ristorante i Vicerè”. Il timbro eterno. «C’è Grillo? E che c’è uno spettacolo?», dice la moglie del meccanico di Piazza Armerina. «Comizio? E chi mi frega a me? Mio marito lavora e alla sera si mangia». Però attenzione: anche qui le cose non tornano. Non è tutto così stampato, così scontato. Secondo gli ultimi sondaggi, su cinque milioni di aventi diritto, due milioni e più non andranno a votare e di questi soltanto ottocentomila non escludono di cambiare idea. «Abbiamo sempre votato il meno peggio, è che stavolta non riusciamo a individuarlo», dice uno ridendo ad Augusta. I grillini, dicevano quei sondaggi, erano all’otto per cento. Ora loro stessi sostengono di viaggiare al quindici, al sedici. «Siamo la prima forza politica della Sicilia!», ha urlato ieri sera Grillo (Gianfranco Micciché tiene discorsi in deserti di desolazione, con quattro pensionati seduti sulle sedie, mentre sgranocchiano “calìa e simenza”, ceci tostati e semi di zucca). E poi ringhia, parla dell’Argentina, della presidente Cristina Kirchner che è andata alla Banca mondiale a mandarli tutti al diavolo, e la gente in piazza si dà di gomito: «Ma che minchia dice?». Però non se ne va. Ascolta. Applaude sempre meno timida. A Piazza Armerina, 20 mila abitanti, ieri forse ad ascoltare erano duemila. Comunque tanti. Tanti. E ridere di loro – ridere di Grillo – è roba per ciechi.