Filippo Facci, Libero 17/10/2012, 17 ottobre 2012
ROTTAMATO
Paragonare Lilli Gruber a Enzo Biagi è un modo di accontentare chi la odia e chi la ama. Lei, con Biagi, ha in comune l’apparente irrilevanza della sua presenza, l’impressione che senza il canovaccio delle domandine non troverebbe neppure l’uscita, la sua cordiale inesistenza che rende indolore farsi ospitare nel suo programma: i suoi quesiti sono virgole, sono il respiro tra una parola e l’altra, l’interlinea tra due righe di testo. Le domande della Gruber stanno sulla punta della lingua di chi, come certo pubblico a casa, di un tema ignora tutto: da qui un meritato successo. C’è un limite, però, anche alla narcosi che certo giornalismo induce: e lunedì sera, quando Dietlinde Gruber ha definito Giuliano Amato «rottamatore ante litteram» (solo perché nel 2008 non si è ricandidato al Parlamento) l’effetto era da droga pesante. Parlava dell’uomo che abbandonò ufficialmente la politica nel 1992, 1993, 1994, 2007 e 2008: ed è ancora lì. Parlava dell’uomo che conosce il popolo come può conoscerlo chi fu imposto come parlamentare, sottosegretario, ministro, vicesegretario, vicepresidente e presidente del Consiglio, più incarichi vari: il tutto al riparo da ogni necessità di raccattare cosiddetto consenso popolare e anche finanziamenti, materia di cui ora si occupa, per conto di Monti, nonostante avesse ammesso di non capirne niente. Amato rottamatore: almeno non ditelo in fascia protetta.