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 2012  ottobre 18 Giovedì calendario

E se fosse la Turchia, alla fine, a rompere l’impasse della (e sulla) crisi siriana, dando una spallata decisiva al regime di Assad e, in aggiunta, un duro avvertimento a quello iraniano? È uno scenario difficile, forse improbabile, ma non impossibile

E se fosse la Turchia, alla fine, a rompere l’impasse della (e sulla) crisi siriana, dando una spallata decisiva al regime di Assad e, in aggiunta, un duro avvertimento a quello iraniano? È uno scenario difficile, forse improbabile, ma non impossibile. In tal caso, avrebbero avuto ragione quanti, all’ormai lontano avvio del negoziato tra Ankara e Bruxelles, pensavano che la Turchia potesse essere più utile, geopoliticamente, fuori e non dentro l’Unione Europea? Ammetto che non ero tra questi. Che ne pensa? Anche al di là del pur cruciale episodio siriano. Aldo Rizzo rizzo_aldo@yahoo.it Caro Rizzo, Le cose che non sappiamo a proposito della faida turco-siriana sono molto più numerose di quelle che sappiamo. Perché la contraerea siriana ha abbattuto un aereo turco al largo di Latakia nello scorso giugno? Perché l’esercito siriano ha puntato i suoi cannoni sulle piccole città turche che sorgono al di là del confine fra i due Paesi? Per una sorta di rappresaglia contro l’atteggiamento ostile del governo turco? O forse, più concretamente, perché quelle cittadine sono diventate le utili retrovie del Libero esercito siriano, il santuario dove i ribelli si riposano, ricevono assistenza sanitaria, trovano i mezzi di cui hanno bisogno per tornare in campo e ricominciare a combattere? Nella politica turca vi sono aspetti che mi paiono difficilmente comprensibili. Ricorda che cosa accadde alla fine del 1998 quando il governo siriano ospitava Abdullah Ocalan, leader di un partito curdo, il Pkk, che il governo di Ankara considerava un’organizzazione terroristica? La Turchia reagì duramente, minacciò rappresaglie e costrinse i siriani a sbarazzarsi di Ocalan che finì per qualche settimana in Italia. Cinque anni dopo, quando Recep Tayyp Erdogan vinse le elezioni e costituì il suo primo governo, la Turchia rovesciò la sua politica verso la Siria e i rapporti fra i due Paesi divennero idilliaci. Il musulmano Erdogan non poteva ignorare che il padre di Bashar Al Assad aveva fatto massacrare parecchie migliaia di Fratelli Musulmani nella città ribelle di Hama, ma dovette pensare che l’amicizia fra Damasco e Ankara avrebbe giovato al suo Paese e alla stabilità della regione. Non è colpa della Turchia, naturalmente, se Assad ha reagito così duramente alla rivolta dei sunniti siriani e non ha dato retta ai consigli di moderazione che venivano da Ankara. Ma era davvero necessario assumere contro la Siria una posizione bellicosa e proporre la creazione di una zona cuscinetto in territorio siriano che diverrebbe, prima o dopo, una base dei ribelli? Era necessario entrare in rotta di collisione con due Paesi, Iran e Russia, di cui Erdogan aveva coltivato l’amicizia? Ho l’impressione che nella politica turca di questi ultimi mesi vi sia un dato che sfugge alle analisi razionali: il carattere e il temperamento di Erdogan. Quanto ai rapporti della Turchia con l’Ue, anch’io pensavo, caro Rizzo, che il suo ingresso nell’Unione avrebbe giovato al ruolo dell’Europa nel grande Medio Oriente. Ma questo sarebbe vero soltanto se l’Europa volesse davvero fare un’ambiziosa politica mediorientale e fosse pronta ad assumere responsabilità in tutte le maggiori crisi della regione. Quello che è accaduto in questi ultimi anni sembra dimostrare che l’Ue, come soggetto internazionale, non ha ambizioni.