Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  ottobre 18 Giovedì calendario

MILANO —

Prima follemente esaltato: mai una pur pallida critica, specie di santino mediatico disegnato a suon di lodi tanto dalla destra quanto dalla sinistra. Poi follemente detestato: impopolare, molto impopolare parlar bene di Sergio Marchionne, sorta di diavolo, ormai, qualsiasi cosa dica o faccia. Non solo quando ci mette del suo. Anche quando quel che dice o fa è alla virgola roba per la quale, nella fase uno, veniva sommerso dagli applausi. Questa, per esempio: «La Fiat ha le capacità per crescere ancora e far avanzare l’Italia, ma il Paese deve creare le condizioni e il clima che consentano davvero il cambiamento. Dobbiamo giocare una partita in un mercato che non conosce il concetto dell’etica. Se non ci saranno le condizioni per giocarla, se ci saranno blocchi politici, finanziari o economici, la Fiat sposterà la sua partita da qualche altra parte». Avvertimenti lanciati oggi, negli ultimi anni, dal Marchionne presentato come «un ricattatore»? Potrebbero esserlo. Sono in realtà del 15 ottobre 2007. Quando ancora aleggiavano le benedizioni e lui era, persino per Rifondazione comunista, il «borghese buono», illuminato, di cui addirittura la Fiom torinese diceva «il problema è che ci scavalca a sinistra».
Il fatto banale è che quasi niente è mai tutto nero o tutto bianco. A Marchionne piacerebbe (forse) un rap di Jovanotti: «C’è una terra di mezzo tra il torto e la ragione, la maggior parte del mondo la puoi trovare là». Sarebbe dunque d’accordo anche su questo: ognuno è ovviamente libero di decidere dove collocare lui, il marziano che nel 2004 arrivò, salvò la Fiat, e poi finì (c’è tuttora) in un lungo tunnel conflittuale con il Paese. È però vera, pure, almeno una cosa di cui a volte si lamenta. L’immagine netta, forte, rude, controversa, bianco-nero, Jekyll-Hyde, che è certo spesso strumentalizzata ma che lui comunque contribuisce ad alimentare, è di solito un’immagine «filtrata», interpretata, mediata. Sono, forzatamente, sempre le «parole degli altri» a raccontarlo. Perciò nasce un libro Rizzoli-Etas, curato da Francesco Bogliari, che elimina il più possibile proprio la mediazione. Chi comanda è solo — Sergio Marchionne in parole sue, terzo testo di una collana che ha già «narrato» allo stesso modo Steve Jobs e Bill Gates, è costruito solo con estratti originali di otto anni di discorsi ufficiali, interviste, dichiarazioni testuali del numero uno Fiat-Chrysler.
«L’alfabeto Marchionne», come Bogliari sintetizza il lavoro che sarà nelle librerie dal 24 ottobre, non punta a dire se il manager abbia di volta in volta ragione o torto, se sia coerente o si contraddica, se sia un genio o un bluff. Punta all’esatto opposto: fornire «in presa diretta» una chiave a «tutti coloro — ammiratori o critici — che vogliono farsi un’opinione personale sul manager italiano più internazionale di tutti». Fondamentale allora, è evidente, il Marchionne-pensiero su industria, leadership, competitività, sindacato, globalizzazione, cultura aziendale, banche, salotti, economia reale e di carta, sistemi nazionali e sovranazionali. Aiutano però, molto, anche le citazioni cult dei suoi discorsi. E non stupirà nessuno accorgersi che passa da Bruce Springsteen a Nietzsche, da Mandela a Einstein, da Garcia Marquez a Roosevelt. Ma mai, neppure per distrazione, dalla politica contemporanea italiana (i giudizi, vedi il brutto inciampo su Matteo Renzi, sono un altro capitolo).
R. Po.