Stefano Righi, CorrierEconomia 15/10/2012, 15 ottobre 2012
WEB. L’ATTACCO DI INTERNET AL PICCOLO SCHERMO
Da due decenni si dice e si scrive che Internet sarà la tomba dei giornali di carta. Da due decenni questi resistono trasformandosi per difendere il loro spazio di pubblica piazza, luogo di confronto e di analisi (sempre meno di informazione basic). Quello che solo da poco tempo si enfatizza è che Internet sembra in grado di rappresentare un problema anche per la televisione, capace se non di condurla alla tomba, certamente di spedirla in ospedale a meditare sul proprio futuro.È cambiato il modo di usufruire del media televisivo, sono cambiati i tempi. Il passaggio dal sistema analogico al digitale terrestre ha moltiplicato il numero delle emittenti, polverizzando l’audience. Eventi come Rock Economy di Adriano Celentano, la scorsa settimana su Canale 5, hanno pubblici di vastità irripetibili dalla normale programmazione contemporanea. Sono eccezioni. Un tempo sarebbero stati la regola.AppetitiInternet mangia. La rete divora quote di pubblicità, talvolta nuova, più spesso sostitutiva. I valori sono ancora bassi, la crescita impetuosa come si addice alle start-up. Secondo una recente ricerca di Censis-Ucsi gli investimenti pubblicitari in Italia sono destinati per il 53,6 per cento alla televisione. La maggioranza assoluta. Ma Internet vale oggi circa il 7,4 per cento, una minoranza tutt’altro che silenziosa. Gli investimenti pubblicitari, secondo l’indagine presentata la scorsa settimana a Milano in occasione del forum dell’Interactive advertising bureau (Iab), raggiungeranno alla fine di quest’anno i 1.250 milioni di euro. Una crescita del 12 per cento rispetto al 2011, ma ancora lontani dai livelli raggiunti dagli altri partner europei confrontabili per dimensioni del mercato interno e della popolazione: Inghilterra 5,5 miliardi, Germania 3,9 miliardi, Francia 2,2 miliardi. Insomma, in Italia il livello di investimento pubblicitario nella Rete è appena superiore di quanto avviene nella piccola Olanda, 1.200 milioni.OttimismiIl presidente dell’Upa (le aziende che investono in pubblicità), Lorenzo Sassoli de Bianchi, la scorsa settimana su queste pagine si è ribellato al pessimismo imperante, lanciando un messaggio di ottimismo legato alla crescita attesa dalla raccolta pubblicitaria negli ultimi tre mesi dell’anno, dopo un’indagine sulle previsioni di investimento delle associate. Una crescita che, secondo i dati dell’Upa, dovrebbe ridurre il calo rispetto al 2011 dal 10 per cento attuale al 7,5 per cento di fine anno. A beneficiarne giornali e televisioni, sopra ogni altro media. Sarà così? Di certo l’impennata di fine anno non consentirà a nessuno di ignorare le potenzialità di Internet. «Non va dimenticato ? dice Francesco Siliato, docente di Sociologia della comunicazione al Politecnico di Milano ? che Natale è il momento dell’anno dove la pubblicità per i giochi raggiunge il massimo. Ma da qualche tempo le reti dedicate ai ragazzi, che convogliano la maggiore parte degli investimenti, sfuggono in qualche maniera ai grandi network. È anche questo frutto della polverizzazione della domanda». La televisione in movimento, la possibilità di rivedere nel momento migliore, stanno trasformando alla base il modo di fruizione dello spettacolo televisivo, dai gol delle partite di calcio, alle serie poliziesche. Così, mentre domani ricomincia Dallas, lo streaming e You Tube forniscono a un altro pubblico polpette premasticate e facilmente digeribili a qualsiasi ora, sul pc dell’ufficio o sul tablet di casa.IncertezzeI quattro angoli della televisione italiana stanno già confrontandosi con il progetto di televisione liquida. È passato un secolo da quando il cinescopio Rai metteva fine alle trasmissioni attorno a mezzanotte. Oggi tutto deve essere continuamente disponibile. I siti Internet di Rai, Mediaset, Sky e La7 cercano di intercettare questo genere di domanda, polverizzata ma esigentissima, con investimenti non sempre dal sicuro ritorno. La recente ricerca di R&S Mediobanca sul mondo della televisione evidenzia poi rigidità produttive che influiscono diversamente sui conti economici dei gruppi. Un dipendente Rai sviluppa un fatturato pari a 254 mila euro, che salgono a 333 mila per La7, a 687 mila a Mediaset e a 702 mila a Sky. Per cui, anche in televisione, il sentiero si fa sempre più stretto, gli equilibri precari.
Stefano Righi