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 2012  ottobre 17 Mercoledì calendario

Da quanto tempo gli italiani non sentivano parlare di un progetto economico di durata decennale? La nuova strategia energetica nazionale, delineata nel Consiglio dei ministri di ieri, rappresenta il primo tentativo serio di uscire dalla deprimente quotidianità di un’economia in difficoltà, di affrontare grandi argomenti di interesse nazionale nel lungo periodo invece di spendere tutte le energie a discutere affannosamente di quanto dovrà o potrà succedere nei prossimi mesi

Da quanto tempo gli italiani non sentivano parlare di un progetto economico di durata decennale? La nuova strategia energetica nazionale, delineata nel Consiglio dei ministri di ieri, rappresenta il primo tentativo serio di uscire dalla deprimente quotidianità di un’economia in difficoltà, di affrontare grandi argomenti di interesse nazionale nel lungo periodo invece di spendere tutte le energie a discutere affannosamente di quanto dovrà o potrà succedere nei prossimi mesi. Il passaggio dal mondo degli «spread» e dei «rating», delle detrazioni Irpef e della prossima rata dell’Imu a quello dei kilowatt, delle energie rinnovabili, dell’efficienza energetica che potremo realizzare in dieci anni non può che rappresentare una boccata d’aria fresca. Si tratta di un tentativo di riappropriarsi del futuro, di fissare grandi obiettivi come la sensibile riduzione della dipendenza dall’estero, che oggi arriva in prossimità del novanta per cento, di delineare grandi idee su cui basare la nostra crescita, come la candidatura dell’Italia a diventare il punto nodale del commercio internazionale del gas nell’Europa del Sud. In questo modo si imposta una riflessione a molte dimensioni che va dall’ambiente alla realtà delle imprese, dalla geopolitica alle bollette delle famiglie. Il punto di partenza è naturalmente deludente: l’industria elettrica oggi non può che essere lo specchio del Paese, un settore stanco, con pochi investimenti, con prezzi alti (fino al 40 per cento in più dell’energia elettrica prodotta e venduta in Germania, come ben sanno le imprese italiane) e bassa produttività che ha però alle spalle un passato di estremo dinamismo. Aveva saputo rispondere efficacemente agli shock petroliferi del 1973-74 e del 1980 - pur in presenza del vincolo di non sviluppare il nucleare - diversificando le sue fonti di approvvigionamento e creando un’imponente rete di gasdotti; un settore che gestisce, in maniera almeno soddisfacente, una delle reti elettriche più difficili d’Europa per la complicazione della geografia italiana e la capillarità degli insediamenti produttivi e umani del Paese. Appare, del resto, naturale per l’economia italiana che i discorsi veramente concreti di lungo periodo ripartano di qui, dalla messa a punto di una strategia energetica decennale, L’Italia ha un’economia moderna grazie alla sua passata eccellenza elettrica; a fine Ottocento, la creazione di sofisticate reti idroelettriche nell’Italia Settentrionale e in altre parti del Paese, liberò risorse dedicate all’importazione del carbone e le rese disponibili per investimenti interni; e nel giro di una quindicina d’anni, l’Italia si trovò in prima fila in quasi tutti i settori industriali, dall’automobile, alla chimica, all’industria tessile. Ripartire dall’energia significa porsi a un crocevia al quale fanno capo sia le problematiche dell’ambiente e dell’inquinamento, con le emissioni di anidride carbonica, sia i bilanci famigliari e quelli delle imprese, con le bollette energetiche, sia infine equilibri internazionali di tipo non solo economico ma anche geopolitico. Se l’Italia economica ha un futuro, questo passa attraverso un programma (il governo ha prudentemente usato il termine «strategia» per evitare confusioni con le programmazioni del passato ma di programma finirà poi per trattarsi) di tipo energetico che metta fine all’insopportabile immobilismo degli ultimi anni, nei quali il veto di interessi incrociati ha bloccato quasi tutte le iniziative, tranne quelle di uno sviluppo disordinato dell’energia solare, prodotta dai privati, che ha incrinato i delicati equilibri del sistema impedendo un uso efficiente delle centrali a turbogas. L’immobilismo italiano è descrivibile attraverso due episodi, uno di grandi e uno di piccole dimensioni, verificatisi negli ultimi dodici mesi. Il primo è la rinuncia dell’inglese British Gas alla costruzione del rigassificatore di Brindisi (una struttura essenziale per migliorare le caratteristiche dell’intero sistema energetico italiano) dopo undici anni di tentativi frustrati da normative contorte e da un’opinione pubblica locale visceralmente ostile a qualsiasi novità. Il secondo è l’arresto della piccola centrale termoelettrica di Mercure, in provincia di Cosenza che ne ha impedito la trasformazione in un impianto moderno, capace di funzionare con il legname derivante dalla manutenzione del vicino Parco del Pollino, dovuto a una sentenza del Consiglio di Stato per il vizio di forma di un decreto regionale. Il fatto che si rimetta al centro degli interessi un problema disinvoltamente ignorato, ma sul quale concretamente si gioca una parte importante del nostro futuro, è di per sé di grande importanza. Gli obiettivi di recupero di competitività, di attenzione all’ambiente e alla qualità oltre che alla quantità della produzione elettrica, di sicurezza degli approvvigionamenti in un ambito di crescita sono a un tempo sufficientemente ambiziosi e sufficientemente realistici per rappresentare le basi di un grande dibattito. Il passaggio dall’uso del greggio a un mix di gas ed energie rinnovabili quale struttura portante del nuovo sistema, e lo spazio che viene aperto a nuovi investimenti privati, cercano di proiettare la strategia al di là delle ideologie e delle posizioni preconcette. La strategia energetica, in definitiva, potrebbe essere quel che ci vuole per dare una benefica scossa elettrica al Paese.