Sergio Rizzo, Corriere della Sera 17/10/2012, 17 ottobre 2012
ROMA —
«In relazione agli impegni di natura istituzionale sopravvenuti in seguito alla elezione quale componente del consiglio giudiziario e alla nomina quale segretario del consiglio, tenuto conto del carico complessivo del ruolo, si dispone il rinvio del presente procedimento all’udienza del 4 giugno 2014». Firmato: il giudice della sezione specializzata in materia di impresa del Tribunale di Milano, Pierluigi Perotti.
Le multinazionali in causa con le discoteche che non pagano loro i diritti musicali dovranno dunque aspettare ancora un anno e mezzo. Ma le sezioni specializzate non dovevano servire a velocizzare la giustizia civile? Sulla carta. Il fatto è che i giudici sono pochi e gli impegni sono tanti. Talvolta anche oltre la pura e semplice amministrazione della giustizia. Questo, almeno, dicono i dati. La nostra magistratura è sotto organico di 1.255 unità: è vacante più del 13 per cento dei 9.605 posti teoricamente in organico.
Ma il buco è ancora più grosso. Perché ai 1.255 posti vuoti bisogna aggiungere i 219 magistrati ordinari occupati altrove: nei ministeri, nelle ambasciate, a palazzo Chigi, nelle authority. E senza contare i componenti del Csm, o i giudici che sono in politica: sindaci, assessori regionali, parlamentari. Altre 34 sedie libere. C’è chi dirà che il numero di «fuori ruolo» è addirittura inferiore al tetto dei 200 previsti dalle norme. Vero: a quei 219 si arriva contando anche gli incarichi che non rientrano in quel limite, per esempio quelli alla Consulta o al Quirinale. Senza di questi sono «appena» 179.
Soltanto al ministero della Giustizia ci sono 92 (novantadue) magistrati distaccati, anche se al massimo ve ne potrebbero essere 65. E qui non c’è destra né sinistra che tenga: è sempre stato così. Ed è così anche con il governo tecnico e un avvocato come Guardasigilli. Ragion per cui il ministero della Giustizia è quello che ha tradizionalmente i costi di struttura più elevati. È superfluo ricordare che le toghe hanno retribuzioni superiori alla media della dirigenza pubblica e in base a regole mandate in pensione soltanto ora dal governo di Mario Monti quelli «fuori ruolo» potevano sommare interamente allo stipendio da giudice l’indennità prevista per l’incarico al quale erano distaccati. Somma ora limitata al 25 per cento.
Nel gabinetto del ministro Paola Severino sono in quindici. Altri diciassette all’Ispettorato. Direte: svolgono compiti che possono fare soltanto i magistrati. Di sicuro non in tutti i casi. Perché debba essere un magistrato il direttore dell’Ufficio speciale gestione e manutenzione degli edifici giudiziari e non uno dei tanti normali dirigenti, per esempio, è mistero. Ma tant’è. La casistica ministeriale è infinita. È magistrato il capo dipartimento dell’organizzazione giudiziaria Luigi Birritteri, che fu candidato nel 2003 (senza fortuna) alla Provincia di Agrigento per i Democratici di sinistra. È magistrato il direttore delle risorse umane di quel dipartimento, Emilia Fargnoli, incidentalmente figlia dell’ex presidente del Tribunale dei ministri Giovanni Fargnoli. È magistrato Caterina Chinnici, capo del Dipartimento giustizia minorile, ex assessore della Regione siciliana, figlia del coraggioso Rocco Chinnici, bandiera della lotta alla mafia, assassinato dai sicari di Cosa nostra. È magistrato Augusta Iannini, già capo dell’ufficio legislativo di Paola Severino, ora nominata dal Parlamento componente dell’Autorità per la privacy, incidentalmente consorte del giornalista Bruno Vespa.
Ma è magistrato ordinario anche il vice segretario generale di Palazzo Chigi. Come pure i 21 «assistenti di studio» dei giudici costituzionali. O i 3 «collaboratori» della Presidenza della Repubblica. I 16 addetti al Consiglio superiore della magistratura, che sommati ai 16 componenti magistrati fa un totale di 32. Per non parlare di altri incarichi quale quello di «garante aggiunto europeo della protezione dei dati personali». Oppure di «consigliere per le riforme istituzionali» al ministero delle Riforme (un magistrato ordinario?). O ancora, quello di direttore del gabinetto del presidente del Senato, Renato Schifani, ricoperto da Annamaria Palma Guarnier, moglie del sottosegretario alla Salute, Adelfio Elio Cardinale. E si potrebbe proseguire con l’«esperto per gli affari di giustizia» all’ambasciata italiana di Washington (perché proprio questa e non altre ambasciate in giro per il mondo?): compito delicato al pari di quelli di «magistrato di collegamento» con i ministeri della Giustizia inglese e spagnolo (ma la Francia, il Belgio, la Germania...?).
Quali siano i criteri ispiratori di determinate scelte, difficile dire. Certo è che di fronte alle carenze degli organici e allo stato in cui versa la giustizia italiana, non quadra proprio tutto. E fa pensare l’emendamento riscritto nel disegno di legge anticorruzione che potrebbe allargare ancora la possibilità di far uscire i magistrati ordinari dai tribunali. Vedremo come sarà scritta la delega. Una cosa, invece, non è per niente chiara. Che cosa c’entra una norma del genere con la lotta alla corruzione?
Sergio Rizzo