Andrea Secchi, ItaliaOggi 16/10/2012, 16 ottobre 2012
UNA NUVOLA BEN SIGILLATA
Si chiama trusted cloud, ovvero la nuvola fidata e di cui fidarsi ed è uno dei servizi pensati per far avvicinare al cloud computing anche le aziende più diffidenti o che, per la particolare delicatezza dei dati trattati, non possono permettersi la minima possibilità di intrusione.
Nel caso di Fujitsu significa che le imprese desiderose di portare nel cloud le funzioni delle infrastrutture informatiche hanno la garanzia di avere macchine virtuali blindate e separate da quelle dedicate ad altri. Fujitsu può destinare persino un singolo server al cliente che lo chieda, oppure optare per gruppi di aziende che condividono le stesse risorse fisiche, con camere virtuali ben definite e separate, sapendo però quali sono gli altri componenti del gruppo. Un plus che si paga e che non rappresenta la regola, bensì un’eccezione.
Questo non significa che il cloud pubblico (ovvero gestito da una società fornitrice, distinto dal privato realizzato all’interno dell’azienda) senza l’opzione «trust» non sia sicuro: anche perché uno dei punti senza il quale la tecnologia cloud non avrebbe senso di esistere è proprio la sicurezza. Ma, anche psicologicamente, è un modo per eliminare dubbi alle aziende.
Uno dei clienti di Fujitsu che ha utilizzato i servizi cloud, ospitati in un server «riservato», è Vbh, un produttore tedesco di ferramenta per porte e finestre presente in 40 Paesi compresa l’Italia e ha 3 mila dipendenti in 130 filiali.
Il fatto che utilizzi la trusted cloud di Fujitsu, in verità, è legato anche ad altri fattori. Vbh ha calcolato infatti che non affidandosi alla nuvola ma facendo da sé, con hardware e personale It proprio, avrebbe speso il 25% in più e non avrebbe avuto l’agilità attuale.
L’esigenza di Vbh era infatti di gestire l’espansione nei nuovi paesi, fra i quali l’Italia e la Russia, in maniera efficiente. Grazie al cloud non c’è stato bisogno di aggiungere datacenter fisici in ciascun paese, né impiegare ulteriori risorse da destinare all’It. Semplicemente la nuvola di Fujitsu ospita il server cloud based, lo storage e persino i servizi di sicurezza, tutto in forma centralizzata. Per ora 400 dipendenti delle vendite all’ingrosso hanno accesso a questa infrastruttura, con l’obiettivo di arrivare a breve a 800.
«Fujitsu ha sei datacenter predisposti a livello internazionale per i servizi di cloud da giugno 2011», ha spiegato Denis Nalon, business program manager del gruppo in Italia, «per i quali la nostra società ha investito 1 miliardo di dollari, oltre agli altri 100 datacenter in giro per il mondo che intervengono sul cloud, per esempio per i backup. Riusciamo a erogare in tutto il mondo infrastrutture as a service». Il progetto di Vbh, ha proseguito Nalon, è personalizzato come spesso accade e portato avanti con un partner, Raber+Marcker. «C’è stata la scelta di centralizzare le infrastrutture per ridurre moltissimo i costi di gestione.
Ma, soprattutto, Vbh ha la possibilità di crescere solo nel momento in cui c’è bisogno».
L’attenzione di Fujitsu verso i clienti che lo richiedano è posta anche sulla reversibilità. Questo significa che molte aziende devono sentirsi rassicurate sul fatto che possono riportare in azienda funzioni affidate alle infrastrutture sul cloud. «Servono contratti chiari, le aziende temono il lock in (essere vincolate dopo una scelta di esternalizzazione, ndr)», ha spiegato il manager di Fujitsu, «e bisogna metterle nella condizione di rendersi conto fino a dove ci si può spingere».
Secondo l’esperienza di Fujitsu, in Italia l’utilizzo del cloud pubblico è limitato ad alcune applicazioni e casi di infrastrutture gestite con una logica as a service (il server o lo storage portato nella nuvola, per esempio). Le grandi aziende preferiscono invece utilizzare il private cloud, ovvero creare in casa un’infrastruttura virtualizzata e affidare a questa le applicazioni aziendali. In questi casi a volte si sfocia nell’ibrido, nel quale solo alcune funzioni sono portate all’esterno e quelle principali restano all’interno.