Roberto Giardina, ItaliaOggi 16/10/2012, 16 ottobre 2012
PERCHÉ NON COPIARE DAI TEDESCHI?
In Italia, puntualmente a ogni vigilia elettorale, si comincia a litigare su come votare. Secondo quale legge, quale sistema, copiamo dai francesi, dagli inglesi, dai tedeschi, o ci inventiamo qualcosa di tipicamente italiano? Una volta posi a un’amica berlinese una domanda sfrontata. Non pensate subito male. «Perché», le chiesi, «voi tedesche vi vestite ton-sur-ton?».
Cioè tutto abbinato: tailleur blu, e scarpette blu, cintura blu, borsetta blu, cappellino con strisciolina blu. Possibilmente tutto firmato dallo stesso stilista. Lei non si offese. «Perché non siamo sicure». Le italiane, spiegò, abbinano i colori come pare a loro, e ci riescono, con associazioni rischiose, sfoggiano una maglietta comprata su una bancarella e un paio di jeans da boutique. «Noi no, preferiamo affidarci a un solo stilista». Non so se avesse ragione, certamente era sincera.
Le italiane sono sicure di sé, ma i politici italiani non dovrebbero imitare le loro compagne. Invece di affidarsi a un unico «stilista», pretendono di poter assemblare il modello che gli fa comodo. Parlo di legge elettorale e non delle toilette create dai tedeschi Karl Lagerfeld o Jil Sander.
Indossiamo il modello francese o quello tedesco? Chanel o Lederhosen, i calzoncini di cuoio bavaresi? Questo o quello, si aggiunge sempre: «Quel modello, ma con gli opportuni correttivi». Un cappellino blu con fiocco arancione, stivali sadomaso e camicetta da educanda? Prendiamo solo quel che al momento ci fa comodo.
Un sistema andrebbe scelto in blocco. Ogni correttivo, sia pur minimo, lo snatura completamente. Non si può comprare una Porsche e adattarvi un carburatore da Fiat 500.
Abbiamo copiato lo sbarramento al 5% dei tedeschi (abbassandolo al 4%), ma in Germania non sono permesse le alleanze preventive di partitini per aggirare l’ostacolo, e separarsi subito dopo. Neanche ci pensano. Per loro sarebbe come barare.
Il sistema tedesco concilia centralità ed esigenze locali, proporzionale ed elezione diretta, con gli opportuni correttivi, e garantisce stabilità. Germania e Italia, insegna la storia recente, sono più simili di quanto piaccia credere, a noi e a loro. Gli elettori hanno due voti: il primo per la lista chiusa presentata dai partiti, che tanto piace ai nostri leader, ma il secondo voto è per il candidato, anche di un altro partito. Chi presenta persone poco degne viene punito. E per il partito che ottenga tre mandati diretti con il secondo voto, la clausola del 5% non vale più. Si ha un effetto paradossale: da due mandati si passa a quanti se ne avrebbe diritto con il proporzionale, in base al 3 o al 4,9 % dei voti. Una clausola che salvaguarda le particolarità locali, come avvenne per gli ex comunisti nelle regioni della ex Ddr.
Per assicurare stabilità, c’è la norma della sfiducia costruttiva, che nessuno da noi vuole copiare (facile capire il perché). Per fare cadere un governo non basta metterlo in minoranza, bisogna indicare con quale altra coalizione si intende governare. Anche in Germania esistono due camere, il Bundestag, il parlamento federale, e il Bundesrat, che chissà perché qualcuno si ostina a tradurre in camera alta, con i rappresentanti dei Länder, le regioni. Ogni Land manda i suoi rappresentanti in proporzione agli abitanti, e ai voti presi localmente dai partiti. La camera delle regioni ha diritto di veto su ogni legge federale che abbia effetti anche locali, di fatto quasi tutte, dagli impegni internazionali a difesa dell’euro alle centrali atomiche.
Per tradizione, al Bundesrat si forma una maggioranza quasi sempre di segno opposto a quella del parlamento federale, e così il governo centrale è spesso obbligato a una Grosse Koalition di fatto. Deve discutere con l’opposizione ogni legge, come avvenne al tempo di Schröder e dei suoi tagli sociali. Quanto alla grande coalizione, infine, auspicata a Roma, non si decide a tavolino prima delle elezioni, ma scaturisce dalle urne, una patta che obbliga i grandi partiti a collaborare. Un’intesa che permette di avanzare a piccoli passi, di compromesso in compromesso. Non un inciucio all’italiana per spartirsi il potere, ognuno per farsi gli affari suoi.