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 2012  ottobre 16 Martedì calendario

INSALATE HI TECH DENTRO IL GRATTACIELO ORA LA FATTORIA DIVENTA VERTICALE

La terra fertile è sempre più rara. In Africa, con il
land grabbing
che utilizza contratti capestro di 99 anni, viene rubata ai contadini dagli Stati di nuovo arricchimento e di antica crescita demografica. Negli Stati Uniti è sequestrata dalla siccità che la scorsa estate ha messo in ginocchio l’agricoltura facendo schizzare alle stelle i prezzi dei beni alimentari. E così l’America, allarmata dall’offensiva del cambiamento climatico e dal peso crescente della sovrappopolazione, coltiva un sogno: riconquistare con la tecnologia il cibo perso per la cattiva gestione ambientale, ricostruire in cielo il suolo dissipato, erigere grattacieli-serra per dimenticare la sconfitta sul terreno.
Il
Wall Street Journal
ha dedicato due pagine al
vertical farm,
l’agricoltura proiettata verso l’alto che dovrebbe compensare l’emorragia di suolo fertile provocata dalla crescita della domanda alimentare e dalla diminuzione della quota di acqua e di terra pro capite. La desertificazione minaccia un quarto del pianeta e oltre un miliardo di persone? Un quinto del cibo dipende da una capacità di irrigazione sempre più incerta? E dalla Columbia University parte la proposta di fattorie verticali in cui le piante possono essere coltivate all’interno di cassette che si spostano da un piano all’altro su una pista meccanica costruita all’esterno delle mura, dietro una facciata di vetro che consente di ricevere la luce naturale. Una linea di irrigazione porterà acqua e sostanze nutritive alle radici. Tutto piantato, coltivato
e raccolto nello stesso luogo: una fabbrica che prova a copiare la natura.
I sostenitori dei grattacieli-fattoria elencano i vantaggi della proposta. Il cibo viene prodotto accanto al luogo di consumo, risparmiando sul costo e sull’inquinamento legati al trasporto. Il ciclo energetico può essere ottimizzato usando anche fonti solari e biogas. In un ambiente così controllato decresce l’uso di pesticidi ed erbicidi. La produzione è al riparo dell’incognita climatica. Si riduce l’uso del suolo, elemento di scarsità crescente.
E se a Chicago, a Seattle e in Svezia c’è chi comincia a proporre progetti operativi di
verti-
farm,
non mancano le voci critiche come quella di George Monbiot, autore di best seller ambientalisti, che sostiene l’impossibilità di mantenere un equilibrio energetico accettabile in una struttura così complessa: l’uso di luci artificiali per compensare la carenza di esposizione ai raggi solari e l’alto fabbisogno energetico dell’edificio
annullerebbero i vantaggi.
«Questa proposta va interpretata come una sfida tecnologica: aiuta a mettere a punto strumenti che poi potranno trovare applicazioni utili in altri campi», commenta Massimo Iannetta, direttore del laboratorio di agrobiotecnologia dell’Enea Casaccia. «Imparare a gestire edifici con funzioni tanto articolate significa affinare le tecniche di governo dei cicli dei nutrienti, del-
l’acqua, dell’energia: tutte competenze che si riveleranno sempre più preziose in un pianeta sottoposto a stress ambientali sempre più severi. La vera battacal
glia è quella per il recupero dell’equilibrio degli ecosistemi».
L’irruzione del verde nello scenario urbano rappresenta inoltre una rottura dal punto di vista architettonico, l’inserimento simbolico di una nota green nel mondo del cemento e dell’asfalto. «Immaginare un terrazzo coltivato all’ultimo piano di un grattacielo adibito ad abitazione o a servizi commerciali rientra nel pacchetto di proposte nate con l’idea degli orti urbani»,
ricorda Andrea Segrè, preside della facoltà di Agraria di Bologna e ideatore della campagna contro gli sprechi alimentari. «Ma prima di progettare un’agrofabbrica in città occorre fare un serio bilancio economico ed ecologico dell’impresa. In ogni caso, evitare di dilapidare le risorse agricole presenti appare una via più rapida e convincente per rispondere alla crescente domanda di cibo: come è stato ricordato oggi in occasione della giornata mondiale dell’alimentazione, secondo stime Fao un terzo del cibo prodotto nel mondo è sprecato e in Italia buttiamo alimenti sufficienti a sfamare tutti gli spagnoli».