Emanuela Audisio, la Repubblica 16/10/2012, 16 ottobre 2012
SENZA LIMITI
Quando stai lassù sul cornicione, in bilico sul mondo, è la fragilità che colpisce. Non la forza. Ti scopri piccolo davanti a una cosa grande. È l’affanno. È il respiro a singhiozzo. È tutto quello spazio sotto i piedi, quel vuoto, e laggiù casa. Non ti vengono in mente frasi trionfali, ma umiltà: «A volte bisogna andare veramente in alto per vedere come siamo piccoli». Pure se ti chiami Felix Baumgartner, hai 43 anni, e da sette programmi tutto, ti viene il dubbio: ce la farò? Un tuffo da 39.045 metri di altitudine, da un trampolino artificiale dove ti butti con i piedi e con la tuta da astronauta. Più veloce del suono. Sotto come piscina hai l’universo, dentro di te un mare di incertezze. Si sta come d’autunno, sugli alberi le foglie. Soprattutto se sei un puntino che scivola giù tra i piani nell’universo per quattro minuti e 11 secondi e a un certo punto si ribalta male, inizia a roteare, ad avvitarsi. «Ho visto l’inferno ». Ma dietro ha l’industria dell’estremo (RedBull Stratos) e otto milioni di persone collegate sul web, che a tanti ha fatto ricordare la Nasa e lo sbarco sulla luna. Chi non ricorda «Houston, we’ve got a problem » dell’Apollo 13? Mezzi scientifici, non solo eroismo fisiologico.
L’uomo che cadde sulla terra è stato sempre monitorato, nessuno era mai riuscito ad andare così in alto e poi così in basso, a 1.171 chilometri orari. Affannato il suo cuore e anche quello di chi guardava. Ha ammesso: «Quando ti lanci dalla cima del mondo diventi così umile che non è questionedirecordedidatiscientifici,l’unica cosa che conta è tornare a casa vivo. Non vuoi morire davanti agli occhi dei tuoi parenti, della tua fidanzata, di chi ti sta a guardare». A Felix mancava solo questo salto con il paracadute, il resto lo aveva già fatto: le Petronas Towers di Kuala Lumpur in Malesia, il Canale della Manica con una tuta alare in fibra di carboni, il viadotto di Millau in Francia, il Turning
Torso di Malmo, il Taipei 101.