Francesco Merlo, la Repubblica 16/10/2012, 16 ottobre 2012
LA FEBBRE DELL’ORO
GROSSETO È VERO che Schettino è già stato riempito di sputi, ma qui manca l’indignazione corale delle stragi a cui è stata abituata l’Italia, da Portella della Ginestra a Piazza Fontana, dall’Italicus a Ustica, dalla stazione di Bologna a via d’Amelio. E forse perché branchi di avvocati , assicuratori, consulenti e periti entrano ed escono dal teatro Moderno di Grosseto e si aggirano come le mosche del capitale nei romanzi di Volponi.
L’AVVOCATESSA Graziosi, che difende gli interessi di una naufraga, la modella Silvia Betti, racconta ai giornalisti che lì dentro «Schettino è come il marmo». Tutti fiutano il sangue, sgranocchiano il relitto e scavano il filone come Paperone nel Klondike. «Schettino? L’ho visto che si mangiava le unghie» riferisce il rappresentante del Codacons, l’associazione dei consumatori che ha messo in piedi una squadra di contro-periti, tutti volontari e tutti in guerra contro gli armatori, contro i ricchi. E c’è persino il paffuto naufrago, Luciano Castro, che cerca i giornalisti e racconta di essersi avvicinato a Schettino sul palco del teatro e di avere stretto la mano che il capitano gli tendeva. Nessuno gli fa uh! e lui insiste: «Eravamo insieme sulla stessa nave». A sera lo raggiungo e gli dico con allegria: «Come nei racconti di Conrad e di Melville, lei è il superstite che perde la testa e abbraccia il capitano». Gli piace, ma non capisce che la goffaggine è parodia.
L’Italia ha già condannato il capitano «torni-a-bordo-cazzo» alla fucilazione alla schiena, e dunque da ieri nel teatro di Grosseto, blindato come le aule-bunker dei maxiprocessi di Palermo, non si prepara, come tutti credono, il processo al fellone. Con il più affollato e spettacolare incidente probatorio della storia penale italiana, si mette invece in scena la
febbre dell’oro. A cominciare dalla valutazione in euro, per esempio, del dolore alla vertebre di «Carusotti Ernesto, sopravvissuto» che mi prende la mano e se la porta al cuore: «Qui, tocchi un po’ più sotto, ora un po’ più sopra, ecco ecco, aih aiah».
Mi viene da ridere, ma non voglio offenderlo e dunque, per trattenermi, alzo gli occhi e vedo sul frontespizio del teatro le due maschere, del riso e del pianto, non la bilancia dura lex sed lex ma il labile confine fra tragedia e comicità. Gli chiedo allora cosa prova nel ritrovarsi a faccia a faccia con Schettino: «Non provo nulla, non dico che sia una vittima anche lui, ma certo è il male minore». Anche l’avvocatessa Michelina Suriano, bruna, giovane, slanciata, aggressiva e sicura di sé usa le stesse parole: «Schettino è il male minore». L’avvocatessa Suriano difende, dice, «sette persone, tutte della provincia di Bologna». Ma cosa accomuna sette persone diverse, oltre la disgrazia? Hanno perso tutti la stessa valigia? Davvero vale per tutti il mal di naufragio esibito dalla signora Paola Falcone? «Io da quella notte non sono più la stessa». All’avvocato John Arthur Eaves junior che viene da Jackson, Mississipi, e qui difende più di centocinquanta naufraghi, inglesi e americani, indiani e anche italiani, chiedo quanto vorrebbe di risarcimento per ciascuno di loro. Mi risponde con una domanda e mi fissa negli occhi come se il giudice fossi io: «Quanto vale una vita umana, secondo lei?». Nasce dunque a Grosseto la class action all’italiana, una sorta di giudizio di classe, un risarcimento uguale per tutti. E infatti il Codacons parla di 125mila euro a passeggero, non si
sa se come evoluzione o come naufragio del diritto penale.
L’udienza è durata nove ore. Negli incidenti probatori non sono ovviamente previsti né il pubblico né i giornalisti. Un centinaio di esperti di diritto e di magheggi ha animato lo spettacolo delle procedure e delle eccezioni, delle perizie e delle controperizie. Qui i morti sono stati 32 — tanti — e siamo rimasti troppo a bocca aperta la notte della tragedia: Schettino con la moldava, Schettino e la cocaina sui capelli, Schettino e l’inchino, Schettino e la spavalderia, Schettino e la vigliaccheria, Schettino torni a bordo cazzo. Perciò Schettino oggi in questo teatro è ridotto ormai soltanto a un pretesto, vale meno dei Pooh che si esibiranno sabato prossimo ed è tutto già esaurito.
È vero che le strade sono transennate, il traffico è stato deviato, ma Grosseto non è Avetrana e non è Cogne, forse perché ha la ruvidezza del fustagno maremmano, e dunque non si mobilita, non
partecipa alla cultura dell’evento, è una provincia civile che rifiuta la mostrificazione: «Noi non ci lasciamo coinvolgere dall’epica del vigliacco, l’eroe negativo che non ha neppure capito quello che ha
fatto e quello che gli è successo» mi dice il tenente colonnello dei carabinieri che, tuttavia, si compiace perché gli alberghi in questi giorni sono pieni: «Grosseto — mi spiega — crede nell’industria del forestiero di passaggio, ma più che per Schettino ha interesse e pietà per Spaccalunotti, un maniaco che gira la città con una pietra e ha un orgasmo ogni volta che spacca un lunotto. Ogni tanto lo arrestiamo, o meglio lo ricoveriamo».
Solo la polizia e le telecamere, i giornalisti e le unità mobili delle televisioni presidiano le viuzze attorno al teatro. E nella piazzetta Tripoli dove il mercato rionale è stato sfrattato, protesta contro Schettino solo il pescivendolo Luigi Canuzzi: «Ho tremila euro di pesce. Sono pronto a incatenarmi se il Comune non mi risarcisce tre giorni di incasso».
E però anche Schettino deve campare, è stato licenziato e ha chiesto il reintegro ma intanto vende dichiarazioni e interviste, foto in esclusiva. Dorme in un
agriturismo segreto dove riceve — mi raccontano — gli inviati di un settimanale di gossip, prepara memoriali, firma contratti per improbabili libri ed è già in trattativa per l’Isola dei famosi. «Ma non è un dannato, solo un disgraziato» dice l’avvocato Gianni Marasca che difende la famiglia del musicista ungherese morto annegato «perché tornò a bordo a cercare il violino e a dare una mano». L’avvocato, che ha una bella faccia sincera, aggiunge che «è incalcolabile il valore del futuro di un artista com’era lui».
Schettino, che ha dunque evitato giornalisti non per pudore ma a custodia del suo tesoretto di dichiarazioni, rivelazioni e di prossime sceneggiature, oggi si è ritrovato davanti una comandante giovane ma sicura, Valeria Montesarchio, 39 anni, in magistratura dal 2004, il gip che l’ha messo in riga senza maltrattarlo come aveva fatto quel Di Falco che gli gridava «torni a bordo cazzo». La Montesarchio sta gestendo un inghippo enorme e inedito che ormai non è tanto penale quanto civile perché anche la galera conta meno dei quattrini. Come bisogna calcolare i danni subiti da quattromila persone? Chi può coprire i costi dei reati colposi? Chi si sente risarcito dagli anni di galera che probabilmente saranno inflitti a Schettino? La Montesarchio gli concesse i domiciliari perché «tutto il danno possibile l’aveva già fatto», contro il parere del procuratore capo di Grosseto — «Schettino? Uno scellerato» — che ha 73 anni e vuole sbrigarsi: «Entro l’anno si va giudizio».
Schettino sarà il suo trofeo di caccia.
È il turno dell’avvocato del comandante in seconda il quale si sente, dice, «tranquillo, molto tranquillo». Dalla borsa tira fuori una memoria: grafici, cifre, aritmetica. Il titolo è “il disgraziato sinistro” che sembra un Pirandello. Gli dico che potrebbe essere anche “onda su onda”, il naufragio come opportunità cantato da Paolo Conte. Gli avvocati organizzano vivaci conferenze stampa dentro il Paradise Café, il piccolo bar di fronte al teatro che è diventato improvvisamente come il saloon dei pionieri. Il sindaco del Giglio dice: «Abbiamo fame di giustizia ». Fame? Anche il Comune del Giglio sarà parte civile: «Il disastro ambientale è enorme».
Ma forse la giustizia non è solo danaro ed è bella la storia di Elio Vincenzi che ha posato in fondo al mare una lapide per la moglie, che quella notte è sparita e non è mai stata ritrovata. Per riportare a galleggiamento la Costa Concordia e poi per smantellarla ci vogliono tre milioni di euro. Quel relitto incastrato nel mare è diventato paesaggio antropizzato come un ponte di Calatrava o la statua di Michelangelo o lo Shard di Renzo Piano. È un sortilegio. Un azzardo di tecnica marinara, come il processo che sarà un azzardo di tecnica giuridica. Il 13 gennaio prossimo al Giglio è già tutto prenotato per l’anniversario. Nessuno poteva immaginare che tra tanti improduttivi relitti di terra — Pomigliano, l’Ilva, Termini Imerese, il Sulcis — solo il relitto di mare della Costa Concordia sarebbe diventato capitale, titolo di stato, bond.