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 2012  ottobre 16 Martedì calendario

IL NORD CONTRO IL SUD, L’EUROPA SULLE BARRICATE

Un giorno usciremo dall’eurocrisi. Quando proveremo a trarne un bilancio, non dovremo valutare solo i danni economici, sociali e politici prodotti in questi anni di decrescita, di lacerazioni nel corpo delle nostre società, di delegittimazione delle istituzioni e della stessa vita pubblica. Dovremo censire anche gli effetti culturali della disputa intorno ai “caratteri nazionali”, presunta origine della crisi in corso. Come se un redivivo Luca Pacioli avesse elaborato una partita doppia geoculturale, è di moda contrapporre i viziosi meridionali ai virtuosi nordici, le cicale alle formiche, i fannulloni mediterranei agli operosi baltici.
Stampa da boulevard, blog da strapazzo? Anche. Non mancano però gli intellettuali e i leader politici impegnati in questo sport. Fioccano invettive incrociate fra nordici e meridionali all’insegna di un asserito destino che imporrebbe comportamenti sociali ed economici prestabiliti a seconda del clima o del parallelo di riferimento.
In tal modo è l’idea, anzi la storia stessa d’Europa, a essere violentata. Se davvero ciascuno di noi fosse confitto nel determinismo geografico, che senso avrebbe parlare di un progetto europeo? Se alcuni greci truccano i conti in quanto greci e non in quanto imbroglioni, di quale orizzonte comune discettiamo? E se un estone, un tedesco o un austriaco sono per definizione rigorosi in virtù dei rigidi inverni, perché mai dovrebbero scendere a compromessi con i pigri, goderecci abitatori del Belpaese o della penisola iberica?
In tempo di crisi la ragione va in soffitta. Si ricorre agli slogan. È il festival degli estremismi: le questioni vengono poste e asseritamente risolte a fil di spada – oggi una metafora, ieri meno e quanto al domani incrociamo le dita. Senza nemmeno curarsi di darcene spiegazione, molti tra coloro che fino a poco tempo fa inneggiavano al “mondo globale” e dipingevano i rapporti fra i paesi europei in termini di perfetta interdipendenza inclinano ormai al semplicismo bipolare. Nord contro Sud, Sud contro Nord. Bianco e nero, nero e bianco. Di qui al razzismo, il passo è breve.
Siamo nel campo delle “verità eterne”. Indiscutibili perché indimostrabili. Ma se le nostre società e le nostre economie sono rette da una regola inflessibile, se ciascuno di noi appartiene per nascita a una casta semidivina o irredimibile, che senso ha (avuto) tentare di allestire un’architettura comunitaria dal Mare del Nord all’Egeo?
Di recente, un diplomatico tedesco spiegava così il fallimento della logica di Maastricht: «Abbiamo cercato di nordificare i mediterranei. Solo se fossimo diventati omologhi anche nella cultura monetaria avremmo potuto gestire una divisa comune. A quanto pare, è stata un’illusione».
L’avventura dell’euro sarà giudicata dagli storici. Ma qui è in gioco molto più di un mezzo di scambio. Come avverte uno dei massimi storici dell’Europa contemporanea, Mark Mazower: «L’economia ha guidato il dibattito sulla crisi dell’Eurozona, ma è della politica che dovremmo preoccuparci. Dopotutto, il progetto europeo del dopoguerra si fondava sull’uso dell’integrazione economica e dei suoi benefici per emancipare il continente dal suo passato sanguinoso. Ma ora nell’Europa meridionale la violenza sta tornando in seguito ai programmi di austerità che vengono reclamizzati come prezzo per continuare a far parte dell’Eurozona. Il punto non è solo l’essere membro dell’Eurozona: in questione sono la natura e il futuro della democrazia». Di tutte le democrazie, meridionali e settentrionali.