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 2012  ottobre 15 Lunedì calendario

LA APPLE DI COOK, DOPO UN ANNO SENZA JOBS

Il lancio dell’iPhone5 ha coinciso con il massimo storico delle quotazioni della Apple. Era il 21 settembre, meno di un mese fa: quel giorno, mentre il chief executive officer Tim Cook decantava le lodi del nuovo modello e milioni di persone si preparavano a comprarlo, le quotazioni di Cupertino toccavano i 705 dollari, rafforzandone il primato mondiale per capitalizzazione di Borsa. Da allora, però, e proprio in coincidenza con il primo anniversario della morte di Steve Jobs, i titoli hanno cominciato a “ballare”. Giovedì scorso erano sui 630 dollari, con una flessione di più del 10 per cento rispetto al record di settembre. In pochi giorni sono stati bruciati più di 50 miliardi di dollari di valore azionario. Le ragioni? Solo tecniche, come si sono affannati a dire alcuni analisti, legandole alle incertezze dei mercati finanziari globali e al desiderio di molti gestori di liquidare le posizioni e incassare le plusvalenze in vista dei bilanci di fine anno? Oppure c’è qualcosa di più dietro a questa inversione di tendenza: come la scoperta di un’improvvisa fragilità? O magari una crisi di identità per l’assenza del fondatore e capo storico? “La Apple ha perso il suo vantaggio sui concorrenti, non vende più prodotti di gran lunga migliori degli altri, ed è quindi diventata vulnerabile”, sentenzia Doug Kass, fondatore della finanziaria Seabreeze partners. “Stanno emergendo nuove preoccupazioni sul futuro del gruppo per via di
alcune vicende come quelle dei difetti del iPhone5 o delle agitazioni alla Foxconn e come i dell’iPhone5”, gli fa eco Shaw Wu, analista della Sterne Agee, riferendosi alla società cinese che produce gli apparecchi di Cupertino e dove le condizioni di lavoro lasciano molto desiderare. Come stanno veramente le cose? Qual è la situazione reale della Apple a un anno dalla morte di Steve Jobs? E’ stato in grado, il suo successore Tim Cook, di raccogliere la sfida? E cosa è cambiato o sta cambiando nella vita di Cupertino? Nessuno per ora mette in dubbio le doti di Cook e la sua performance. Nonostante la recente flessione in Borsa, le quotazioni della Apple sono salite di circa il 70 per cento da quando si è insediato il nuovo chief executive. “Gli ultimi dodici mesi della Apple sono stati migliori degli ultimi dodici anni di molte grandi aziende”, commenta Michael Gartenberg della società di ricerche Gartner ricordando l’aumento degli utili (8,8 miliardi di dollari nell’ultimo trimestre rispetto ai 7,3 miliardi dello stesso periodo del 2011). Mentre le vendite totali di personal computer sono scese negli Stati Uniti del 13,8 per cento nel terzo trimestre 2012, facendo perdere alla Hewlett Packard il primato mondiale (ora in mano alla Lenovo cinese), la Apple ha aumentato la sua quota di mercato che ora è del 13,6 per cento. Gli iPhone continuano intanto ad andare a gonfie vele: finora ne sono stati venduti 243 milioni di esemplari di tutti i modelli (di cui una decina di milioni di iPhone5 in appena due settimane); si calcola che la cifra complessiva salirà entro il 2013 a 500 milioni di apparecchi, le cui vendite – non va dimenticato – rappresentano il 53 per cento del fatturato Apple e il 70 per cento degli utili. Cook ha anche impresso un suo marchio nella gestione del colosso, differenziandosi così dal celebre predecessore. Innanzitutto la Apple, cha ha 60mila dipendenti, è diventata più sensibile alle esigenze degli azionisti. Steve Jobs, che si ricordava come un incubo i tempi in cui non c’erano soldi in cassa e che è sempre stato relativamente indifferente ai malumori della “base”, non ha mai voluto distribuire dividendi e accumulava gli utili fino a superare un tesoro in contanti di 100 miliardi di dollari. A marzo 2012, invece, il nuovo Ceo ha deciso di cambiare strada varando un programma triennale di distribuzione di utili e di riacquisto di azioni proprie per un valore totale di 45miliardi di dollari. Gli azionisti hanno subito applaudito e le quotazioni sono schizzate. Sempre sotto la guida di Cook, la Apple sta consolidando le sue posizioni e in particolare la rete mondiale di negozi, che ormai sono 350. Ha anche intensificato l’offensiva giudiziaria per la difesa dei suoi brevetti affidandola a Noreen Krall, il legale di ferro del gruppo, che ad agosto di quest’anno è riuscita a far condannare la Samsung a un risarcimento di 1,05 miliardi di dollari per violazione delle norme sulla proprietà intellettuale (la casa sudcoreana rischia anche il blocco delle vendite di alcuni suoi prodotti). A dispetto di questi successi di Tim Cook e della sua squadra (da quando Jobs è morto le decisioni sono più collegiali), a Wall Street come a Cupertino cominciano a serpeggiare i primi dubbi sul futuro di medio-lungo termine del gruppo. Molti considerano emblematica la storia delle mappe sbagliate dell’iPhone5: il nuovo modello ha abbandonato quelle “collaudate” della arcirivale Google offrendo invece quelle prodotte dalla stessa Apple, ma rivelatesi subito inaffidabili. “Se Steve Jobs fosse ancora vivo, sarebbe furibondo”, ha detto Jay Elliot, ex-vice presidente esecutivo della Apple e collaboratore di prima ora del fondatore, intervistato da questo giornale. Jobs era ossessionato dalla perfezione estetica e tecnica. Non si accontentava mai. Era spietato con i suoi collaboratori (e ne avrebbe licenziato qualcuno per un incidente come quello delle mappe). Ma ora la tensione non appare più la stessa. E sta venendo meno – dicono alcuni insider – il desiderio di trovare sempre e comunque un prodotto rivoluzionario nuovo capace di stupire i consumatori: quello che gli americani chiamano “the next big thing” (la prossima grande cosa). Il rischio? Che la Apple finisca per perdere la “eccezionalità” cui ci aveva abituato ai tempi di Steve Jobs.