Rainer Masera, Affari e Finanza 15/10/2012, 15 ottobre 2012
LA TORRE DI BASILEA SCHIACCIA LE BANCHE
I paesi “periferici” dell’Eurozona devono ritrovare rapidamente la crescita, anche per rispettare gli impegni presi sui saldi di bilancio. Ma le misure restrittive che il dogma del Fiscal Compact impone, la carenza di un approccio innovativo ed efficace per affrontare il problema dello stock di debito pubblico e gli spread sui tassi di interesse allontanano le prospettive di ripresa, pongono problemi di sostenibilità. Le stime del Fondo Monetario Internazionale nell’Outlook di ottobre confermano la gravità della situazione: in particolare si prevede sia per l’Italia, sia per la Spagna che la contrazione del Pil reale continuerà nel 2013. In Grecia la disoccupazione ha raggiunto il 25%, 50% tra i giovani. Solo la Bce è in grado di allontanare la crisi, evitando con interventi sui titoli di stato e a favore delle banche l’avvitamento. Ma queste azioni non possono, da sole, risolvere i problemi e innescare la ripresa. Perché questo avvenga è necessario che le banche tornino a sostenere l’economia con flussi di nuovi crediti, in particolare alle Pmi, che non hanno fonti alternative di finanziamento e sono un volano fondamentale per l’occupazione e la crescita. Ma, anche in questo caso, le prospettive non sono favorevoli per l’operare di un altro dogma: la forzata rapida ricapitalizzazione delle banche nell’alveo delle regole di Basilea 3 e di Cad 4. Pochi mettono in discussione l’esigenza di un durevole risanamento delle
finanze pubbliche e di bilanci bancari più solidi, ancorati a maggior capitale e a redditività sostenibile. Molti sottolineano che, come per il risanamento delle finanze pubbliche, anche per le banche è controproducente e pericoloso imporre tempi troppo stretti di aggiustamento, con forte ricapitalizzazione in condizioni di recessione. Lo stesso Fmi sottolinea i rischi di una riduzione della leva troppo rapida per le economie del Sud Europa, profilando scenari disastrosi. Anche aldilà della questione fondamentale del timing e della prociclicità, gli standard di Basilea continuano a manifestare profonde, intrinseche debolezze. Un sentiero più graduale di riassetto dei presidi patrimoniali consentirebbe di rivedere le regole ponderate per il rischio, senza disperdere i risultati positivi acquisiti. Occorre innanzitutto riconoscere che il costo di finanziamento in azioni può essere molto rilevante, contrariamente alla saggezza convenzionale di molti regolatori. E’ vero che il roe delle banche dipende non solo dalla leva, ma anche dalla rischiosità dell’attivo. Una leva meno elevata (più capitale) abbassa il rendimento richiesto dagli azionisti. Ma queste considerazioni sono valide in equilibrio, non in condizioni di stress, di recessione e di intreccio tra rischio bancario e rischio sovrano. Né è vero che, se i mercati non rispondono, il capitale può essere fornito dai governi senza gravi svantaggi. I costi derivano sia dal peggioramento del rischio sovrano, sia dall’azzardo morale che spinge le grandi banche e i loro banchieri a ricercare maggiori rischi, nel convincimento che i profitti sarebbero privatizzati, mentre le eventuali perdite sarebbero sopportate dai governi e, in ultima analisi, dal contribuente (banche troppo grandi per fallire). Le regole di Basilea sono comunque fondate su modelli analitici fragili e incapaci di tener conto del rischio endogeno e di quello sistemico; paradossalmente, costringendo tutte le banche ad agire sulla base degli stessi modelli, aumentano, invece di ridurre, l’instabilità. Soprattutto, le regole sono diventate estremamente, troppo, complesse. Ciò introduce ulteriori distorsioni competitive tra le poche grandissime banche internazionali che sono in grado di arbitraggiare i vincoli con l’utilizzo dei derivati e le banche medio-piccole, che vedono esplodere i costi di adeguamento alle regole. La pericolosità del “onesizefitsall” degli standard di Basilea è esaltata dalla mancata introduzione di idonee forme di separazione tra attività rischiose (casino banking) e attività tradizionali di banca commerciale (utility banking). Tutte queste considerazioni e altre ancora inducono a suggerire la rivisitazione dell’apparato di Basilea, semplificandolo, allineando gli incentivi, e diversificando le regole a seconda delle dimensioni e delle caratteristiche delle banche. Negli ultimi mesi queste proposte sono state avanzate, molto autorevolmente, anche all’interno del mondo dei regolatori. Il Rapporto Liikanen sulla riforma del sistema bancario in Europa ha sottolineato l’esigenza di separare le attività di banca di investimento da quelle di banca di deposito. Riprende cioè la cosiddetta Volcker Rule, fatta propria da Clinton, ma avversata dalle grandi banche americane, che hanno deciso di sostenere Romney per la Casa Bianca. Il Direttore Esecutivo della Banca d’Inghilterra Haldane ha mostrato la complessità e la dubbia efficacia delle regole di Basilea, proponendo un approccio più semplice, fondato su schemi non ponderati e ancorato alla vigilanza sulle banche, non sui modelli statistici delle banche; si potrebbe dire sulla base dell’approccio tradizionale di Banca d’Italia. Soprattutto, negli Stati Uniti, il Presidente della Fdic ha indicato che si appresta ad attivare strumenti efficaci di risanamento e di risoluzione delle grandi banche, senza sostegni pubblici e ha sottolineato l’attenzione che la Fdic pone alle quasi 5000 piccole banche locali americane, anche attraverso regole e supervisione dei rischi opportunamente tarate. Il Direttore della Fdic ha chiesto una drastica revisione dell’intero impianto di Basilea 3, mostrando che è troppo complesso per essere gestibile dagli stessi regolatori. In Europa operano oltre 4000 piccole banche che intermediano volumi di credito multipli di quelli delle banche locali americane, concentrati sulle famiglie e sulle Pmi. Non devono essere soffocate dalle spire della torre di Basilea.